Edizione 253 del 20-11-2007
La conferenza di Annapolis per il Medio Oriente rischia di nascere morta. E D’Alema cosa fa?
Il primo Hezbollah non si scorda mai
Condoleezza Rice mostra scetticismo sul processo di pace
di Dimitri Buffa
Il Libano è di nuovo sull’orlo di una guerra civile e in più la conferenza di pace israelo-palestinese che si dovrebbe svolgere ad Annapolis dal prossimo lunedì sembra già nascere morta. E in tutto questo il nostro ministro degli esteri Massimo D’Alema che fa? Si reca a Beirut e incontra per la seconda volta in due anni ministri ed esponenti politici del movimento terrorista armato Hezbollah. Il messaggio è chiaro: se il primo Hezbollah, quello preso a braccetto, non si scorda mai, il secondo può essere anche meglio. Come un amore maturo rispetto a una cotta a prima vista. Così mentre tutto il mondo pende dalle labbra del Quartetto e dell’America e di questa benedetta Annapolis, ma già ieri sera Condoleeza Rice aveva rilanciato la palla lontano promettendo un nuovo meeting per la primavera inoltrata del 2008, il nostro rappresentante diplomatico per eccellenza all’estero si è preoccupato di cementare l’amicizia italiana con il movimento islamofascista di Hassan Nasrallah.
E d’altronde non si tratta di imprudenza o di idiozia, ma di mosse calcolate. Altrimenti sarebbe veramente difficile capire con quale faccia lo stesso D’Alema nel settembre 2006, poco dopo la fine dell’ultima guerra tra Israele ed Hezbollah nel sud del Libano, avesse dichiarato al quotidiano israeliano Yedioth Aronoth che gli Hezbollah erano un partito politico e non solo un movimento armato. Per giunta facendo paragoni blasfemi con i movimenti armati della resistenza ebraica a ridosso della fondazione dello stato di Israele. Tanto che l’intervistatore all’epoca, gentilmente ma fermamente, gli fece notare che “se lei paragona veramente Hezbollah a Lechi e Etzel” (organizzazioni clandestine di resistenza al Mandato britannico che operarono prima della fondazione dello Stato di Israele, ndr) deve avere l’onestà intellettuale di ricordare “che le due organizzazioni non professavano la distruzione della Gran Bretagna e neppure colpivano civili…”.
Ma tant’è: Annapolis nasce morta e D’Alema si candida a diventare uno dei solerti becchini di questa inutile conferenza. Anche se Olmert, ormai al minimo storico della popolarità che un politico può avere in Israele, continua a fare sforzi per tenere in vita un dialogo appeso a un filo. Ieri altri 441 terroristi palestinesi liberati dalle carceri dello stato ebraico, per fare bella figura con la Rice. Mentre uno dei leader della destra nazionalista, Baruch Marzel del National Jewish Front, ammonisce: “Si tratta di nuove bombe ad orologeria umane, inutile poi lamentarsi quando esploderanno”. In genere Israele sembra disposto a concedere tutto e subito, compreso il congelamento di nuovi insediamenti nella Cisgiordania e il progressivo smantellamento di gran parte di quelli esistenti, mentre i mediatori palestinesi come il famigerato Saeb Erekat, non sono disposti a riconoscere neanche la natura ebraica dello stato che dovrebbe essere il loro vicino.
Per non parlare di Hamas che già fa sapere, per bocca del capo in testa esule in Siria, Khaled Meshaal, di avere intenzione di ripetere nella Cisgiordania ciò che ha compiuto a Gaza, ossia un golpe e un bagno di sangue, non appena l’odiato nemico sionista gli lascerà il campo libero anche in Cisgiordania. Invece che “terra in cambio di pace” a molti la situazione sembra degenerata nello slogan “terra in cambio di terroirsmo”. La Siria, per bocca di Bashir Al Asad, da parte sua vuole, anzi pretende, che ad Annapolis si parli all’apertura e alla chiusura dei lavori delle alture del Golan, ma intanto manda i propri emissari a Teheran a chiedere ordini e consegne ad Ahmadinejad. In questo quadro in cui la malafede, l’incompetenza e l’ambiguità poltica sono le tre principali protagoniste, ci mancava solo la ciliegina sulla torta e ce l’ha messa D’Alema ri-prendendosi metaforicamente a braccetto per la seconda volta un bel ministro di Hezbollah. E trasformando la storia che si ripete in vera e propria farsa.
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