23.11.2007 Incontro con Bassem Eid, palestinese che difende i diritti umani e denuncia la corruzione, eredità di Arafat
Testata: Shalom
Data: 23 novembre 2007
Pagina: 10
Autore: Angelo Pezzana
Titolo: «La corruzione è l’eredità che ci ha lasciato Arafat»
Da SHALOM del novembre 2007, un articolo di Angelo Pezzana:
Bassem Eid è un quarantottenne palestinese coraggioso che nel 1996, a Ramallah, ha fondato il “ Palestinian Human Rights Monitoring Group “, che dirige insieme a una dozzina di collaboratori. Non ha avuto una vita facile, ha vissto nel campo profughi di Shufat, vicino a Gerusalemme, per 13 anni, ma ne accenna brevemente, non ha l’aria di volerne fare un argomento significativo, anzi, da come ne parla, mi sembra molto contrario all’uso politico che dei rifugiati è stato fatto dall’Onu in questi sessant’anni. Ricorda Arafat mal volentieri, un dittatore corrotto, che lo fece arrestare per due giorni quando fondò il suo centro di ricerca. “ Mi tennero due giorni in una stanza della Mukata, senza particolari interrogatori “, mi dice “ volevano capire quali erano le mie idee, e dopo averle ascoltate mi hanno rilasciato,evidentemente erano talmente all’opposto di quelle che formavano l’Olp, che non venni ritenuto pericoloso, tanto sarebbero stati ben pochi a condividerle”.
Bassem Eid ha sempre considerato Arafat un ostacolo verso un futuro democratico dei palestinesi, era cresciuto in paesi dittatoriali, troppo a lungo per poter essere un leader capace di mantenere gli impegni che pure ad Oslo si era assunto. Lo rilasciarono, e lui fondò il suo gruppo per monitorare le violazioni dell’Autorità palestinese, quasi un suicidio, in una società che non tollera la benchè minima opposizione. Quel che l’ha mantenuto vivo è la mancanza di un vero pubblico palestinese che possa interessarsi e condividere il suo progetto, le sue idee trovano più ascolto all’estero, dove viene regolarmente invitato da università e istituzioni pubbliche e private, per esprimere quello che secondo lui dovrà essere il futuro dei palestinesi.
“Purtroppo la corruzione li ha coinvolti sin dall’inizio della nascita di Israele nel 1948, quando le organizzazioni internazionali hanno costruito dei meccanismi di finaziamento di enorme portata economica, per cui oggi una soluzione del conflitto metterebbe sul marciapiede migliaia e migliaia di funzionari, soprattutto non palestinesi, li priverebbe di alti stipendi che verrebbero a mancare se scomparissero i rifugiati e uno stato dovesse nascere”, mi dice, citando anche a mo’ d’esempio, il finanziamento, solo uno dei tanti, di 10 milioni di dollari concesso ad Arafat nel 1997 per la riforma del sistema giuridico. Ma di quella somma enorme l’80% andò nelle tasche dei funzionari sotto la voce casa,macchina,stipendio, e la riforma non fu mai fatta. Questo spiega perchè i finanziamenti sono sempre arrivati sotto forma di denaro e non attraverso realizzazioni concordate, come scuole,ospedali, ecc.”
Anche sullo stato che dovrà nascere ha delle idee originali. “Dovrà essere smilitarizzato per essere pacifico, perchè i palestinesi, dal ’47 in poi, hanno perso tutte le occasioni, che con si ripresenteranno più. Aveva visto giusto Sharon con il suo piano di separazione, quando guardo a quanto ha saputo fare Israele in questi anni e lo paragono con quello che abbiamo fatto noi, mi prende lo sconforto, abbiamo solo saputo dare la colpa ad Israele”. Vive a Jericho, ogni giorno attraversa due checkpoint, uno palestinese e uno israeliano. Gli chiedo cosa ne pensa dei controlli di Tsahal, che sono sovente oggetto di pesanti critiche, e anche qui la sua risposta è sorprendente. “ Uno stato ha il dovere di difendere i propri cittadini, se non ci fossero stati gli attacchi suicidi, i check point non ci sarebbero, come la barriera di sicurezza, non c’è una volontà collettiva di umiliazione, ma solo responsabilità individuali”, mi dice, in contro tendenza persino con le organizzazioni umanitarie israeliane che non perdono occasione per allinearsi con le posizioni palestinesi più estremiste. “ Sono realista, non ottimista, ma non sono un nazionalista, non voglio più vedere sangue, voglio coesistenza,amicizia”, conclude, con una critica alla prossima conferenza internazionale di Novembre. “ Non è con i palestinesi che andrebbe fatta, ma con gli stati arabi, E’ soprattutto loro la responsabilità se la pace non c’è ancora”.