27-11-2007
Avviare rapporti normali con Israele
Da un editoriale del Jerusalem Post
Il risultato del summit pre-Annapolis della Lega Araba viene pubblicizzato come un grande successo per Washington. Adesso ci si attende che una ventina di paesi arabi siano presenti alla conferenza di Annapolis a livello di ministri degli esteri. Ma il sottotesto di questa adesione desta la preoccupazione che alcuni arabi abbiano piuttosto l’intenzione di minare Annapolis ed anche il processo di pace che Annapolis dovrebbe rilanciare.
“La Lega Araba parteciperà per la prima volta a una conferenza che vede una presenza israeliana”, ha dichiarato il segretario generale della Lega Araba Amr Moussa, in modo abbastanza fuorviante dal momento che gli stati arabi, comprese Siria e Arabia Saudita, parteciparono già alla Conferenza di Madrid del 1991. Poi Amr Moussa ha aggiunto: “Andremo ad Annapolis a dire che non vi può essere alcuna normalizzazione (dei rapporti con Israele) se non nel quadro dell’iniziativa di pace araba e di una pace globale”. Il che suona come una inquietante riaffermazione della tradizionale posizione secondo cui la normalizzazione potrebbe arrivare solo al termine di un processo che offra piena soddisfazione alle rivendicazioni arabe, mentre è del tutto evidente che proprio un graduale processo di normalizzazione sarebbe cruciale per il successo di qualunque sforzo di riconciliazione.
Ancora più clamoroso, la risposta che ha dato il principe Saud al-Faisal, ministro degli esteri saudita, alla domanda se avrebbe stretto la mano del suo omologo israeliano Tzipi Livni: “Non siamo disponibili per uno show teatrale… Non andiamo ad Annapolis per stringere la mano a qualcuno né per fare mostra di sentimenti che non proviamo”. Persino Yasser Arafat strinse la mano di Yitzchak Rabin. Ma i sauditi, pur figurando come propositori di un piano di pace, pretendono di essere più palestinesi dei palestinesi.
Nessuno chiede ai sauditi di iniziare a costruire un’ambasciata a Gerusalemme, anche se sarebbe un’idea eccellente per promuovere la pace. È tuttavia necessario che gli stati arabi aprano la strada verso la pace, anziché farsi trascinare. Come ha detto Tzipi Livni mentre era in volo per Annapolis, “non c’è un solo palestinese che possa arrivare a un accordo con Israele senza il sostegno del mondo arabo: questo è uno degli insegnamenti che abbiamo appreso sette anni fa”.
È sempre stato vero, ma non è mai stato così evidente, che i palestinesi sono tropo deboli, troppo divisi e troppo estremisti per fare la pace da soli o per aprire la strada verso la pace trascinandosi dietro gli stati arabi. Non a caso Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha implorato i paesi arabi di venire ad Annapolis, e Hamas si è infuriata con la Lega Araba per aver dato retta alle preghiere del presidente palestinese.
Ma qui non si tratta di uno di quei casi dove basta fare atto di presenza. Gli stati arabi devono decidere se vogliono o meno che nel futuro prossimo la prospettiva due popoli-due stati diventi realtà. Se non lo vogliono, allora possono andare avanti come hanno fatto finora e potranno stare tranquilli che non accadrà. Ma se il mondo arabo, per suoi motivi e interessi – vuoi perché il conflitto ha bloccato il loro sviluppo, vuoi perché hanno paura che l’Iran si impadronisca del conflitto per suoi propri scopi – se il mondo arabo desidera porre fine ufficialmente al tentativo di distruggere Israele, allora può mettere il vento in poppa al processo di pace in qualunque momento.
Amr Moussa dice che non vi sarà nessuna normalizzazione “gratis”. Ma Israele ha già pagato: lo ha fatto rinunciando all’aspetto per lui più importante della Road Map, e cioè quella sequenza che prevedeva la fine del terrorismo prima dell’inizio dei negoziati.
In base alla Road Map, le questioni relative all’assetto definitivo dovevano essere negoziate solo nella Fase Tre, ben dopo che i palestinesi, nella Fase Uno, si fossero impegnati in “operazioni durature, mirate ed efficaci per contrastare tutti coloro che sono implicati nel terrorismo e smantellare l’infrastruttura e le risorse dei terroristi”. Nella Fase Due, gli stati arabi avrebbero dovuto “ristabilire i legami che avevano con Israele prima dell’intifada (uffici commerciali, ecc.)”, nonché “ripristinare gli impegni multilaterali su questioni come le risorse idriche regionali, l’ambiente, lo sviluppo economico, i profughi e il controllo degli armamenti”.
Se Israele ha già fatto una enorme concessione accettando di procedere con la Fase Tre della Road Map mentre deve tuttora battersi contro le strutture del terrorismo palestinese che, semmai, stanno aumentando anziché diminuire, perché mai i paesi arabi dovrebbero considerarsi svincolati dagli impegni della Fase Due?
In definitiva, comunque, un processo di pace non si giudica calcolando i punti, bensì valutando se porta da qualche parte. Nessun “orizzonte politico” che Israele possa offrire potrà sostituire ciò che gli stati arabi possono e devono fare per creare un clima favorevole alla pace. Alcuni di questi stati hanno chiassosamente protestato di non essere interessati a una semplice foto di gruppo. Ma se mantengono il loro aperto rifiuto persino di stringere la mano agli israeliani, per non dire di normalizzare i rapporti con Israele, Annapolis e i negoziati che seguiranno si ridurranno proprio a questo.
(Da: Jerusalem Post, 26.11.07)
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