La Stampa
Data: 28/11/2007
“Gaza urla il suo “no” ma la gente stanca”
Gaza urla il suo “no” ma la gente è stanca
Alle 18 la famiglia Al Hellou, sette fratelli divisi tra oppositori e sostenitori del vertice di Annapolis come in un derby calcistico, è riunita nel diwan, il salotto arabo, intorno alla grande televisione LG. Gli operatori di al Aqsa TV, l’emittente di Hamas e l’unica di Gaza, raccontano una manifestazione «oceanica», «decine di migliaia di persone in marcia contro il tradimento del popolo palestinese». Dal palco, nella piazza del Parlamento di Gaza City, il premier deposto Haniyeh condanna i Paesi arabi tentati dalla «normalizzazione dei rapporti con il nemico sionista», in strada i militanti ripetono l’inno-mantra dei rifugiati, «Aedun, aedun», ritorno.
Ahmed Al Hellou, 39 anni, titolare di un negozio di mobili, è andato a dare un’occhiata: «È un successo della Resistenza, tutto si è svolto senza incidenti». Nelle stesse ore in Cisgiordania la polizia palestinese ha sparato sui dimostranti anti-Annapolis, un uomo è morto a Hebron. Il prezzo dello scontro intestino voluto da Hamas, si scalda Mohammed Al Hellou, 30 anni, il fratello simpatizzante di Fatah: «A protestare a Gaza erano quattro gatti. Il presidente Mahmud Abbas almeno ci sta provando, la strategia del muro contro muro invece cosa ha prodotto?». Il padre, l’anziano Abu Al Hellou, elettore storico di Hamas, oggi fa il tifo per «i sognatori» riuniti in Maryland.
Gli Al Hellou sono divisi, i palestinesi sono divisi, Gaza è divisa. La manifestazione organizzata ieri mattina da Hamas e Jihad Islamica ha deluso le aspettative. Nonostante la precettazione negli uffici pubblici e nelle scuole, in piazza c’erano circa 50 mila persone: la sola Forza Esecutiva, la polizia di Hamas, conta 25 mila agenti. «Un fallimento che conferma quanto Hamas abbia accusato la partecipazione della Siria ad Annapolis», osserva Mukhaimar Abu Saada, analista politico e docente di storia all’università Al-Azhar di Gaza. Ma che rafforza le frange radicali.
«Abbiamo un esercito di kamikaze che fanno la fila per immolarsi in Israele», annuncia sotto al palco Abu Khaled, uno dei più anziani leader delle Brigate Izzadin al Qassam. Sui tetti dei palazzi intorno al Parlamento si contano più cecchini che antenne paraboliche. Pochi metri più in là Bha, un ragazzino con la t-shirt nera della Jihad Islamica, spiega che «Mahmoud Abbas sta svendendo la Palestina agli ebrei». Lui, a 11 anni, non vede l’ora di «diventare un martire». Come Aisha, 20 anni, il niqab nero che lascia scoperti solo gli occhi e intorno alla fronte la fascia verde di Hamas: «Il mio massimo desiderio è farmi saltare in aria in un locale di Tel Aviv».
La corda è tesa. L’ala politica di Hamas, rappresentata da Haniyeh, arretra. «È il momento dei leader massimalisti come Mahmoud al Zahar», nota il politologo Hasad Abu Sharek. Eppure, fiaccato dal caro-sigarette più che dalla nostalgia per la moschea al Aqsa, a Gaza cresce il dissenso. Bastava andare ieri davanti alla Al Karmel Secondary School, un liceo maschile, il vivaio della Resistenza, per capire l’umore degli studenti precettati per la manifestazione. Rashid, 16 anni, felpa Nike e medaglietta al collo con la foto dello sceicco Yassin, fondatore di Hamas. Alle sue spalle Kaled, Mohammed, Nasser, addestrati a ripetere in coro che «la Palestina non si tocca», ma convinti che il miglior leader mondiale oggi sia… Condoleezza Rice.