Vecchi vizi
Da un editoriale del Jerusalem Post
Martedì 11 dicembre l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Dan Gillerman ha potuto celebrare per la prima volta l’approvazione in una commissione Onu di una risoluzione proposta da Israele. “Per Israele è una novità sensazionale, ed è una giornata storica per le Nazioni Unite – si è accalorato Gillerman – Ciò fa di Israele un membro dell’Onu molto più normale e accettato. Uno dei nostri principali obiettivi è di non essere più un paese ridotto a una sola questione, rendendo anzi consapevole il resto del mondo dell’eccellenza di Israele in tanti campi”.
Dispiace dover gettare acqua su questo entusiasmo, ma va detto che il “momento storico” è guastato dall’incessante campagna araba volta a delegittimare Israele. L’ineccepibile risoluzione israeliana, che chiedeva agli stati membri di assistere con moderne tecnologie agricole i paesi in via di sviluppo, è passata con 118 voti favorevoli e zero contrari, ma con ben 29 astensioni e un numero ancora maggiore di paesi registrati come “assenti”.
La maggior parte dei paesi che non hanno trovato il fegato di votare a favore di questa ovvia risoluzione solo perché era proposta da Israele sono paesi arabi o musulmani, compresi molti di quelli i cui ministri degli esteri avevano appena fatto bella mostra di sé ad Annapolis, ad una conferenza che si supponeva concepita per promuovere la pace con Israele. Tra gli altri, anche l’Egitto, l’Arabia Saudita e la Giordania. Ma la lista dei paesi che non hanno voluto trovarsi a fianco di Israele neanche nel favorire i paesi in via di sviluppo, per lo più africani, comprende anche stati come il Sud Africa, il Lesotho, lo Zambia e lo Zimbabwe.Molti stati africani hanno appoggiato la risoluzione, ma molti altri si sono astenuti o si sono fatti registrare come assenti.
In breve, se la svolta rappresentata da questa risoluzione può essere citata come prova dell’isolamento in cui versa il blocco arabo, essa tuttavia illustra anche in modo drammatico il rifiuto dei paesi arabi, e di altri paesi che ciecamente si appiattiscono sul voto arabo, di trattare anche lontanamente Israele al pari di una nazione come tutte le altre, vale a dire una nazione con il diritto di esistere, per non dire come una democrazia sotto attacco terroristico e che desidera la pace.
Il che non sarebbe gravissimo se questo blocco anti-israeliano fosse a sua volta messo coerentemente e costantemente in schiacciante minoranza anche su risoluzioni più sostanziali. Ma naturalmente non è così. Anzi, il blocco arabo è tuttora perfettamente in grado di brandire il sistema Onu come un randello nella sua campagna per la delegittimazione di Israele.
Come ha sottolineato l’esperto di Onu e diritti umani Anne Bayefsky, l’anniversario dello storico voto dell’Onu del 29 novembre 1947 sulla spartizione del Mandato Britannico in due stati, uno arabo e uno ebraico – una giornata celebrata ogni anno da tutti gli israeliani – da tempo all’Onu è stato trasformato in una ricorrenza annuale di lutto e di propaganda anti-israeliana. Nel 2005, mentre era segretario generale Kofi Annan – ha ricordato Bayefsky in un recente articolo su National Review Online – il 29 novembre venne addirittura esibita una mappa Onu del Medio Oriente in cui non compariva lo stato di Israele, e venne osservato un minuto di silenzio in onore del sacrificio degli attentatori suicidi. Nel 2006, dopo che questo scandalo era stato pubblicamente denunciato, la mappa scomparve e il minuto di silenzio venne cancellato. Al suo posto, la sala del Trusteeship Council dell’Onu venne addobbata con una serie di pannelli in cui tutta la storia del conflitto arabo-israeliano era riscritta soltanto dal punto di vista arabo, in cui si parlava di sette-otto milioni di palestinesi che rivendicano il ‘diritto al ritorno’ (numero più che sufficiente per annientare il carattere ebraico della stato di Israele) e venivano esaltati i successi della sanguinosa intifada palestinese”.
Quest’anno, in cui il 60esimo anniversario della risoluzione di spartizione coincideva con la settimana della conferenza di Annapolis, riferisce sempre Bayefsky, l’Onu ha deciso – per dirla con le parole di un suo funzionario – di “mantenersi nei limiti della correttezza”. Il che si è tradotto nell’issare solo le bandiere dell’Onu e della “Palestina”, ma non quella di Israele. Evidentement, per le Nazioni Unite i “limiti della correttezza” significano ancora “senza Israele”: anche nell’anniversario del voto con cui le stesse Nazioni Unite, spartendo il Mandato Britannico, legittimarono la nascita di Israele; anche nel giorno in cui il Segretario Generale dell’Onu partecipava a una conferenza internazionale ufficialmente consacrata alla soluzione “due popoli-due stati”.
(Da: Jerusalem Post, 13.12.07)
Nella foto in alto: La mappa senza Israele esposta all’Onu, tra le bandiere Onu e palestinese, nella ricorrenza della spartizione del Mandato Britannico in due stati, uno arabo e uno ebraico
L’insostenibile leggerezza del razzismo arabo