Finanziare i palestinesi? Una cattiva idea
di Daniel Pipes
Jerusalem Post
21 dicembre 2007
http://it.danielpipes.org/article/5279
Pezzo in lingua originale inglese: Fund the Palestinians? Bad Idea
Elargire denaro a Mahmoud Abbas e all’Autorità palestinese per conseguire la pace è un pilastro della politica occidentale, inclusa quella israeliana, da quando Hamas si è impossessata di Gaza nel giugno scorso. Ma questo rubinetto aperto ha sortito dei risultati controproducenti e va chiuso con una certa sollecitudine.
Alcuni antefatti: Paul Morro del Servizio ricerche del Congresso riferisce che, nel 2006, l’Unione europea e i suoi paesi membri dettero 815 milioni di dollari all’Autorità palestinese, mentre gli Stati Uniti inviarono 468 milioni di dollari. Incluse le somme offerte da altri donatori, l’incasso complessivo ammonta a circa 1,5 miliardi di dollari
La manna continua a fioccare. A ottobre, il presidente George W. Bush ha chiesto un supplemento di 77 milioni di dollari da devolvere entro i primi mesi del 2008. Il Dipartimento di Stato giustifica questa munifica somma sulla base del fatto che essa “consolida un impellente e cruciale bisogno di supportare un nuovo governo dell’Autorità palestinese (AP) che tanto gli Stati Uniti quanto Israele considerano un autentico alleato per la pace”. Nel corso di una recente udienza, Gary Ackerman, presidente del sottocomitato della Camera sul Medio Oriente e sull’Asia del Sud, ha approvato la proposta di donazione supplementare.
Non contenta di spendere il denaro dei contribuenti americani, il 3 dicembre, il segretario di Stato Condoleezza Rice ha lanciato una “Partnership pubblico-privata tra gli Stati Uniti e i palestinesi”, coinvolgendo finanzieri del calibro di Sandy Weill e di Lester Crown, per foraggiare come asserisce la Rice “progetti che riguardano direttamente i giovani palestinesi che siano in grado di prepararli in maniera tale che le responsabilità di cittadinanza e leadership possano assumere un forte impatto positivo”.
Un rapporto mostra che quest’anno l’Unione europea ha convogliato ai palestinesi circa 2,5 miliardi di dollari.
Guardando avanti, nel corso della “Conferenza dei donatori per l’Autorità palestinese”, tenutasi lunedì a Parigi, cui hanno partecipato una novantina di paesi, Abbas ha annunciato di voler conseguire l’obiettivo di raccogliere la somma di 5,8 miliardi di dollari in aiuti finanziari per i prossimi tre anni, dal 2008 al 2010. (Utilizzando la stima più attendibile della popolazione composta da 1,35 milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania, si raggiunge una sbalorditiva somma di oltre 1.400 dollari l’anno pro-capite, all’incirca ciò che un egiziano guadagna annualmente.) Appoggiato dal governo israeliano, alla Conferenza dei donatori Abbas ha trovato quasi per intero quella somma per il 2008.
Bene, è un buon accordo se funziona. Non è vero? Alcuni miliardi di dollari per porre fine a un pericoloso conflitto secolare: è in realtà un’occasione da non perdere.
Ma uno studio innovativo condotto da Steven Stotsky, un analista del Committee for Accuracy in Middle East Reporting in America (CAMERA), rileva che un afflusso di denaro ai palestinesi sortisce storicamente l’effetto opposto. Basandosi sui dati forniti dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale e su altre statistiche ufficiali, Stotsky compara due grafici, partendo dal 1999, riguardanti gli aiuti relativi al budget forniti annualmente all’Autorità palestinese e l’ammontare degli atti di violenza perpetrati ogni anno dai palestinesi (includendo tanto le attività criminose e terroristiche quanto le vittime israeliane e palestinesi). Rappresentati graficamente insieme i due diagrammi mostrano una strana risonanza:
La correlazione è perfino più chiara quando gli aiuti di un anno si sovrappongono agli atti di violenza dell’anno successivo.
In poche parole, ogni 1,25 milioni di dollari in aiuti relativi al budget si traducono in una vittima l’anno. Come osserva Stotsky “Queste statistiche non stanno a indicare che gli aiuti stranieri sono causa di violenza; ma esse sollevano degli interrogativi in merito alla efficacia di utilizzare le donazioni provenienti dall’estero per promuovere la moderazione e combattere il terrorismo”.
L’operato palestinese si conforma a uno schema più ampio, come osservato da Jean-Paul Azam e Alexandra Delacroix in un articolo del 2006, “Aid and Delegate Fight Against Terrorism”. Essi hanno rilevato “un ottimo risultato empirico comprovante che l’offerta di attività terroristiche da parte di qualunque paese è del tutto correlata con la quantità di aiuti stranieri ricevuti da quel paese” – vale a dire più aiuti stranieri, più terrorismo.
Se tali studi procedono in direzione diametralmente opposta alla supposizione convenzionale che l’indigenza, la disoccupazione, la repressione, “l’occupazione” e il senso di malessere inducono i palestinesi alla violenza letale, essi non fanno altro che suffragare la mia argomentazione di vecchia data in merito al fatto che “l’euforia palestinese” rappresenta il problema. Maggiori finanziamenti riceveranno i palestinesi, più forti essi diventeranno, e più motivati saranno a imbracciare le armi.
Una interpretazione rovesciata dell’economia di guerra è prevalsa in Israele sin da quando presero il via i negoziati di Oslo, nel 1993. Piuttosto che privare i loro nemici palestinesi delle risorse, gli israeliani hanno seguito le riflessioni mistiche di Shimon Peres, specie il suo tomo del 1993 dal titolo “The New Middle East”, per conferir loro più potere a livello economico. Come scrissi nel 2001, ciò “equivale a inviare le risorse al nemico, mentre ancora si combatte: e ciò non è un’idea molto brillante”.
Piuttosto che finanziare ulteriormente la bellicosità palestinese, i paesi occidentali, a partire da Israele, dovrebbero bloccare tutti gli aiuti finanziari destinati all’Autorità palestinese.
Da:http://it.danielpipes.org/article/5279
#1Am Israel Hai
Soldi alla Palestina? Solo se finanziano una cultura di pace
Hamas predica e pratica la violenza contro Israele, ma l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) di Abu Mazen è moderata. I fondi europei vanno all’Anp e non a Hamas.
Quindi l’Ue sta finanziando i moderati e aiuta la pace. Tutto vero? Niente affatto. “E’ sbagliato pensare che ci sia una Hamas che educa alla guerra e un’Anp che predica la pace. I messaggi di odio sono regolarmente veicolati in tutti i media palestinesi. Stiamo parlando di media pubblici, finanziati dall’Anp. E i fondi europei per la Palestina sono destinati proprio all’Anp. Quel che importa è la trasparenza. Se io potessi sapere esattamente chi riceve gli aiuti europei e il modo in cui li usa, non darei un solo centesimo a chi finanzia la propaganda dell’odio e l’istigazione alla violenza”. A parlare è Susie Squire, “campaign manager” della TaxPayers’ Alliance, un’organizzazione non profit britannica, con più di 20mila sostenitori, che sensibilizza i contribuenti su come vengono usati i soldi delle loro tasse. Inutile dire che molti di questi contributi obbligatori vanno in Medio Oriente, tramite l’Unione Europea: 420 milioni (lo 0, 37% del bilancio Ue) nel solo 2007. Anche gli italiani danno il loro contributo: 26, 8 milioni donati dal governo e altri 53, 1 milioni tramite l’Ue. E questo nel 2007, prima della conferenza di Sharm el Sheik per la ricostruzione di Gaza e prima della promessa del premier Silvio Berlusconi per un “nuovo Piano Marshall” per la Palestina. La TaxPayers’ Alliance non è sola, visto che il problema è continentale. A chiedere maggior trasparenza e responsabilità nel finanziamento degli aiuti allo sviluppo è una piccola rete di think tank, fra cui l’italiano Istituto Bruno Leoni, la Taxpayer Association of Europe che opera in Francia e in Germania e lo Stefanik Conservative Institute slovacco.
Susie Squire presenterà oggi a Bruxelles un paper in cui sono esposti esempi eclatanti di propaganda ed educazione all’odio dell’Anp. “La Palestina è il nostro sogno, fratelli. Oh masse leali a Fatah, la terra è assetata del sangue dei martiri. Jaffa, Haifa e Acri chiamano. Nablus e Gaza: ‘Quando ci incontreremo e spezzeremo le catene?’ Milioni di martiri marciano alla volta di Gerusalemme”: questo è un tipico messaggio dei programmi della Tv pubblica palestinese. Pagato con i nostri soldi di contribuenti europei. “O eroi, Allah vi ha promesso la vittoria… Non lasciatevi persuadere dalla fuga… I nostri nemici desiderano la vita, mentre voi desiderate la morte. La morte non ha un sapore amaro per i credenti”, si legge in un libro delle elementari. E noi lo paghiamo.
La campagna della TaxPayers’ Alliance non mira a interrompere gli aiuti, ma a renderli più efficaci. “Siamo convinti che sia importante la ricostruzione di Gaza” – spiega a L’Opinione Susie Squire – “Ma più che restaurare case, si deve ricostruire l’educazione. E’ meno utile ricostruire un edificio che magari sarà distrutto nella prossima guerra. Meglio rimuovere direttamente le cause del conflitto, in una popolazione in cui il 42% è costituito da minorenni”. Si dovrebbe, invece “… fare tutto ciò che possiamo per assicurarci che l’Autorità Palestinese educhi il suo popolo alla pace”. Il precedente esiste: il programma Educational for Mutual Understanding del 1989, finanziato dal governo britannico, contribuì a far cessare la guerra nell’Ulster tramite l’educazione al rispetto reciproco delle nuove generazioni cattoliche e protestanti. Per la Palestina non esiste ancora niente del genere: “Ogni anno centinaia di milioni di euro sono destinati ai territori palestinesi e molto spesso questi soldi vanno a foraggiare l’educazione all’odio” – spiega la Squire – ” Nella conferenza di Sharm el Sheik si è deciso di finanziare la ricostruzione di Gaza, ma non ci si è chiesti quale sia la causa della guerra e della sua distruzione. Si sa che l’Ue non darà mai soldi a Hamas, ma non basta. Come ho detto prima non è solo Hamas a predicare e praticare la violenza. E non abbiamo nemmeno la certezza che non ci siano trasferimenti di soldi dall’Anp a Hamas”.
Prima di educare i palestinesi al rispetto, tuttavia, bisogna sensibilizzare i contribuenti: “Io penso che l’aiuto alla Palestina sia un dogma in quasi tutti i Paesi europei. La nostra causa viene spesso confusa: si pensa che noi non vogliamo aiutare i palestinesi e passiamo dalla parte dei cattivi, ma non è così. Non vogliamo interrompere gli aiuti, vogliamo renderli più trasparenti. Dare soldi senza fare domande non è una politica responsabile”. Secondo Susie Squire, attualmente solo nella Nuova Europa si può affrontare un dibattito aperto: “I Paesi dell’Europa orientale sono più consapevoli, anche perché loro stessi sono in via di sviluppo. E, contrariamente agli europei occidentali, non danno per scontata la libertà, che hanno appena conquistato. Si chiedono: perché aiutare Paesi mediorientali quando quegli stessi soldi sono necessari a casa nostra? Le stesse nazioni, quando facevano parte del blocco sovietico, erano costrette ad aiutare gruppi rivoluzionari del terzo mondo. Ora sono sicuramente più consapevoli dei danni e degli errori commessi in passato”.
E’ strano, invece, che proprio nella cultura dell’Europa occidentale, così intrisa di idee pacifiste non si capisca un concetto molto semplice: che gli aiuti per la ricostruzione non servono, o producono l’effetto contrario, quando vanno a finanziare una continua propaganda di guerra. Il paper della TaxPayers’ Alliance si conclude con una citazione di John Fitzgerald Kennedy: “La pace non risiede solo negli accordi e nei trattati. Risiede nei cuori e nelle menti di tutte le persone”. Le Ong terzomondiste che giustificano Hamas prendano nota.
Intervista a Susie Squire, TaxPayers’ Alliance di Stefano Magni
Tramite il sito dell’Istituto Bruno Leoni
#2Am Israel Hai
Dimenticavo la fonte:
#3Am Israel Hai
http://www.mascellaro.it/web/linkest.php?linkest=http://www.brunoleoni.it