Non sempre le cose sono come sembrano: manipolazioni, educazione all’odio, disinformazione a senso unico
L’analisi di Federico Steinhaus
Testata: Informazione Corretta
Data: 27 dicembre 2007
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: «Non sempre le cose sono come sembrano: manipolazioni, educazione all’odio, disinformazione a senso unico»
Ogni volta che abbiamo occasione di proporre una breve panoramica sugli avvenimenti non evidenziati dai nostri media dobbiamo riconoscere che le radici dell’odio arabo/islamico nei confronti di Israele si perpetuano secondo un modello violento e profondamente interiorizzato.
E’ tornato ad essere protagonista della televisione ufficiale palestinese (quella di Abu Mazen, non di Hamas) un video che esalta la Shahada – la morte ricercata per rendere onore ad Allah – che era stato trasmesso più volte al giorno nel corso degli anni della seconda intifada (2000-2005). Questo video mostra un “martire” che sale in Paradiso e viene accolto come un eroe dalle Vergini dagli occhi scuri: una donna viene uccisa con colpi di fucile sparati nella schiena da soldati israeliani, e viene immediatamente trasportata in Paradiso, dove si unisce alle altre Vergini che come lei portano lunghi abiti bianchi e danzano gioiosamente in attesa del loro sposo. L’amico della donna viene ucciso dagli israeliani mentre si reca sulla tomba della sua donna, che egli raggiunge in Paradiso.
Il video, che ha una suadente colonna sonora musicale, è stato trasmesso regolarmente nel settembre 2006 ed ora, dopo un anno, è stato nuovamente trasmesso ogni giorno nello scorso mese di novembre (lo si può vedere su YouTube cliccando http://www.youtube.com/watch?v=Qdx50q64Z- o).
Secondo Debka lo scorso 19 dicembre i maggiori leaders di Hamas si sono recati alla Mecca per il tradizionale pellegrinaggio e qui hanno incontrato il presidente iraniano Ahmadinejad ed i dirigenti delle Brigate Al Qods; pare anche che abbiano avuto colloqui con Musa Abu Marzuk, un terrorista dirigente di Hamas che risiede a Damasco e con il comandante di Al Qaeda nello Yemen, Sheikh Abdulmajeed Zindani. Questa delegazione di Hamas era passata attraverso il valico con l’Egitto, mentre centinaia di fedeli residenti a Gaza avevano potuto andare in pellegrinaggio dopo essere stati trasportati da pullman israeliani fino al confine giordano (il che smentisce seccamente ogni pregiudizio sul mancato rispetto delle religioni da parte di Israele). Pare anche che in questo numeroso gruppo di pellegrini si siano infiltrati molti militanti delle Brigate Ezz a din al Qassam facenti capo ad Hamas, diretti invece in Iran per partecipare ad un corso di 6 settimane sull’uso dei missili e sulle azioni di sabotaggio.
Dunque la rete di complicità che l’Iran ha realizzata in Iraq, Libano, Siria e Gaza si rafforza e penetra con maggior vigore anche all’interno della società palestinese.
In un approfondito articolo pubblicato dal settimanale egiziano Roz Al-Yousef e tradotto da MEMRI il giornalista Asma Nassar ha indagato su un commento al Corano per bambini pubblicato con l’ approvazione dell’Accademia di Ricerche Islamiche Al-Azhar, la più prestigiosa del mondo arabo. Uno degli autori che ne hanno scritto l’introduzione è il presidente delle scuole coraniche egiziane ed esperto dell’Università di Al-Azhar, Ahmad ‘Issa Al-Ma’Sarawi.
Questo commento – ripetiamo, dedicato ai bambini – fornisce una interpretazione distorta di alcuni dei passi salienti del Corano e ne trae un incitamento all’odio nei confronti di ebrei e cristiani. “La conseguenza inevitabile – scrive il giornalista- è che nel futuro migliaia di bambini vorranno farsi esplodere compiendo operazioni terroristiche contro non musulmani. Questo è il pericolo rappresentato da questo libro. Lo scopo del libro non è di interpretare versetti ma di instillare deliberatamente nei bambini idee che li incitino all’estremismo”.
Questo commento al Corano era stato pubblicato per la prima volta dieci anni fa; da allora ne sono state pubblicate 5 edizioni ed è stato tradotto in molte lingue tra le quali l’indonesiano, il malese, il turco.
PMW (Palestine Media Watch) è un sito di monitoraggio dei media palestinesi che gode di forte credibilità e negli anni si è conquistato l’apprezzamento degli addetti ai lavori. Ora perfino nel mondo arabo si va facendo strada la preoccupazione per questa attività, di cui non esisteva una consapevolezza. Le emittenti televisive di Fatah e di Hamas si sono recentemente prese la briga di replicare – a modo loro, cioè con invettive prive di argomentazioni – a quanto PMW via via traduceva. Quando ad esempio in novembre la televisione di Fatah ha trasmesso un appello all’annientamento di Israele (“Libereremo la Terra di Palestina che è araba nella sua storia ed identità…da Gerusalemme ad Akko, da Haifa…e Giaffa, Beer Sheba e Ramle, da Nablus alla Galilea, da Tiberiade a Hebron”) e PMW lo ha ritrasmesso con la traduzione in didascalia, Fatah ha accusato il sito di essere “razzista”. Anzi, l’emittente televisiva ha assicurato che continuerà a trasmettere questo appello alla “liberazione” dell’intera Palestina.
Ma non è solamente nei media arabi o islamici che si annidano il pregiudizio e l’odio. Spesso i media occidentali, ed in particolare quelli che seguono un precostituito indirizzo ideologico, sono poco accurati quando non superficiali nel riferire i fatti: i loro inviati si avvalgono in genere di “interpreti” e “guide” palestinesi per indagare sulla realtà che vogliono descrivere e non hanno spesso la capacità (o la voglia) di usare i loro occhi, le loro orecchie ed i loro cervelli per dare ai lettori informazioni non filtrate o manipolate.
Un ottimo esempio di quanto affermiamo ci viene offerto proprio in questi giorni. Il 21 dicembre nel villaggio di Umm Salamunah nei pressi di Betlemme è stata inscenata da poche decine di persone, a beneficio della stampa internazionale presente per “coprire” l’evento natalizio,una protesta contro il “muro”. L’agenzia AFP (fotografo Musa al-Shaer, palestinese) ha pubblicato una fotografia della dimostrazione in cui si vedono un soldato israeliano ed un palestinese con in mezzo un personaggio travestito da Babbo Natale, con una didascalia secondo la quale soldati israeliani stavano picchiando un dimostrante palestinese vestito da Babbo Natale. La Reuters (operatore Nayef Hashlamoun, palestinese) ha mandato alla stampa un breve filmato con una analoga didascalia. Ma la Associated Press (fotografo Kevin Frayer, americano) ha inviato ai giornali una fotografia della medesima scena presa da una diversa angolazione, con una didascalia che indica chiaramente come si sia trattato di un palestinese che, vestito da Babbo Natale, tentava di impedire con la forza l’arresto di un dimostrante da parte dei soldati israeliani. Cambiando semplicemente l’angolazione della ripresa dunque si è reso evidente qualcosa che altrimenti sfuggiva all’attenzione, opportunamente indirizzata altrove da una didascalia faziosa.
Gli esempi che si possono fare, rimanendo ai soli ultimi 5 anni, sono numerosissimi ed eclatanti e spesso sono stati rivelati da altri giornalisti più onesti e professionali. Noi oggi ci limiteremo, in considerazione della coincidenza con il Natale, alla situazione della minoranza cristiana che vive a Betlemme.
L’Associated Press, la rete ABC e la Reuters hanno scritto che Betlemme rimane isolata dal resto del mondo a causa dell’alto muro di cemento costruito da Israele attorno alla città e che la sua presenza ha costretto molti cristiani ad abbandonarla.
In realtà Betlemme non è circondata da alcun muro ed Israele ha solamente costruito un breve tratto di muro a protezione della strada che unisce Betlemme a Gerusalemme, dove molte volte automobilisti di passaggio sono stati bersaglio di cecchini palestinesi. E’ vero invece che è dal 1995 – da quando l’Autorità Palestinese ha assunto la responsabilità di amministrare la città – che la popolazione cristiana di Betlemme è vittima di intimidazioni, di minacce e violenze da parte di bande armate locali; Arafat destituì immediatamente i politici cristiani che la amministravano e li sostituì con musulmani, installò la sua residenza ufficiale in un monastero greco-ortodosso vicino alla Chiesa della Natività , tollerò una politica di costante confisca di terre di proprietà cristiana da parte delle gang mafiose musulmane.
Nel 1948 i cristiani erano l’80% della popolazione di Betlemme. Oggi sono, calcolando anche gli abitanti delle città satellite Beit Sahur e Beit Jala, il 23%. Centinaia di cristiani se ne sono andati ogni anno, dal 1995 ad oggi.
Sembra quasi un paradosso, eppure ogni conferenza internazionale che si proponga di promuovere la pace fra arabi / palestinesi ed israeliani fa emergere maggiormente le tensioni e sottolinea la distanza che ancora separa i contendenti.
Sul versante arabo cambiano nel corso dei decenni gli stati che cavalcano l’estremismo: una volta erano Egitto, Arabia Saudita, Iraq e Siria, ora sono l’ Iran e –sempre, ma con minore convinzione – la Siria. Il Libano , più di quanto fosse anni fa, è ricettacolo di violenza e di radicalismo sponsorizzati e finanziati dall’esterno (Iran e Siria ) ma ha in sé anche gli anticorpi di una lunga tradizione culturale democratica che consente di nutrire qualche flebile speranza. All’interno della composita realtà palestinese il terrorismo di Arafat e dell’OLP è stato rimpiazzato da quello, più sofisticato ed attento all’immagine pubblica, di Hamas. Ma nei fatti il risultato non cambia col cambiare dei protagonisti.
Sul versante israeliano, invece, da troppo tempo si sente la mancanza di una classe politica autorevole, universalmente stimata, capace di esprimere culturalmente una progettualità a lungo termine; le risse e le indecisioni non favoriscono che soluzioni provvisorie e pertanto insoddisfacenti e la loro debolezza intrinseca lascia spazio al radicalismo del nemico.