L’antisemitismo integrato
Questa mattina ripensavo alla faccenda di Maradona. Ovviamente non per quello che è l’ex campione argentino, era un fesso rimasto così. La questione è un’altra, riguarda l’oscura diffusione dell’antisemitismo, e pone una serie di domande.
Prima. Se uno come Maradona (a cui di norma si associa calcio, droga e camorra) fa una dichiarazione tanto sopra le righe, così profondamente anti israeliana e antisemita (le due definizioni per me sono una sola), che c’è in giro per il mondo?
Seconda. Quanto è connaturato alla società l’antisemitismo di oggi?
Terza. C’è modo di dare una misura all’antisemitismo, in sostanza qualcuno è in grado di dire quanto negli ultimi trent’anni si è sviluppato, dove (a est e a ovest), e quanto è radicato, cioè quanto fa parte della società senza che questa si accorga di essere antisemita?
Dico questo perché l’altro giorno sentivo una collega al telefono che riferendosi ad una terza persona, evidentemente avara, diceva “quello è un rabbino”. L’ho sempre sentito dire, già a scuola trent’anni fa. In genere chi pronuncia quella frase non è antisemita (o non necessariamente lo è), ma è sempre stato un segno per me di antisemitismo integrato. Ovvero è un modo di pensare e di esprimersi che è la parte razzista di ciascun di noi, ebrei compresi. Un leghista dice terrone a un meridionale, un bianco dell’Alabama chiama negro uno con la pelle colorata, è possibile che in Israele si definiscano gli arabi con appellativi simili. E’ l’uomo che è così, lo era duemila anni fa, lo è oggi.
Ben più inquietante è invece l’antisemitismo integrato, cioè quello per cui una società è antisemita senza più sapere di esserlo. L’aspetto che mi fa pensare a questo è il cambiamento di opinione che la gente ha nei confronti degli ebrei. Ci sono persone che pubblicamente esprimono concetti al limite della propaganda nazista, che negano l’esistenza dei campi di concentramento e che guardano ad Israele come al covo del terrorismo giudaico internazionale. E quando lo dicono non genera negli altri (chi ascolta, chi partecipa alla discussione, chi osserva) un senso di ripulsa, nessuno dice “sei un nazista”, o sente disagio. Ecco il punto. La società accoglie concezioni antisemite, come potrebbe discutere di sport, di finanza o di economia. E’ l’antisemitismo integrato. E’ entrato dalla porta, c’è, e non so fino a che punto può arrivare, ecco perché ho fatto domande alle quali mi farebbe piacere avere risposte, magari con esperienze diverse da quelle che io sento.
#1luca cesana
Sono d’accordo; anche a me capita di sentire frasi del tipo “quello è un rabbino” e mi danno particolarmente fastidio, anche se sono frutto di ignoranza e non di antisemitismo; un pò come dare di “genovese” a un taccagno diciamo.
Su Maradona trovo scandaloso lo spazio che i media danno ai suoi deliri (questo sì segnale di un antisemitismo consapevole come testimoniano gran parte degli articoli o servizi riguardanti Israele e/o palestinesi, per tacere del Premio Nobel per la pace al criminale, assassino e corrotto Arafat che resta una delle pagine più oscure della storia assai poco gloriosa del Nobel)
#2Salv
Parole sante. L’articolo centra in pieno un grosso problema nella socità italiana di oggi, cioè quello del razzismo come un vero e proprio stile di vita. Ciò secondo me deriva in parte dalla secolare predisposizione italiana alla faziosità, dall’altra a una certa tendenza negli ultimi anni ad affermare la propria “identità” (per modo di dire) attraverso l’offesa di quella altrui.