Libano. L’attentato di ieri inasprisce il timore jihadista
mercoledì 16 gennaio 2008
L’attentato avvenuto ieri a Beirut, ai danni di una vettura dell’Ambasciata statunitense, nel quale sono morte tre persone e altre sedici sono rimaste ferite, ha gettato nuove ombre sul Paese dei Cedri, che secondo molti osservatori, si avvia ad essere il nuovo punto caldo di un’area mediorientale dilaniata da una situazione di crisi perpetua e crescente.
All’indomani della strage appare logico domandarsi di chi sia la firma sull’attentato.
Giorni fa, un uomo che ha dichiarato di essere il leader di Fatah al-Islam, Shaker al Abssi, aveva minacciato attacchi contro l’esercito libanese ed il fatto che l’esplosione sia stata comandata a distanza e sia avvenuta in concomitanza con il passaggio del Suv satunitense, lascia trasparire ulteriormente la filigrana della matrice jihadista dietro l’attentato, forze qaediste che nel Paese stanno vivendo una preoccupante diffusione, basti pensare alla battaglia ingaggiata nel settembre scorso contro l’organizzazione terroristica Fatah al Islam, battaglia vinta, ma costata la vita a oltre 160 militari e costata la vita, in tempi più recenti, al generale Francois Hajj, capo delle operazioni militari nel campo profughi di Nahr al Bared (Tripoli) nel quale quella vittoria avvenne.
Ma la vittoria di una battaglia non significa aver vinto la guerra, una guerra che sembra in via di inasprimento, stando a quanto comunicato dai servizi di intelligence israeliani, secondo i quali sarebbero oltre un centinaio i terroristi sopravvissuti all’assedio di Nahr al-Bared, reduci fuggiti poi in Egitto e a Gaza, dove, sempre secondo i servizi segreti israeliani, avrebbero eletto come loro capo, Rahman al-Ghazawi, e messo a punto i razzi “Zarqawi”.
Ipotesi più che plausibile, secondo l’analista palestinese Issam Nassar, per il quale i terroristi, viste le difficoltà riscontrate in Iraq, avrebbero deciso di “trasferirsi” in Libano, Paese meno presidiato militarmente e interessante strategicamente, vista la possibilità di colpire Israele. Colpire Israele in una sorta di “monopolio del terrore”, visto il campo lasciato parzialmente sgombero da Hamas, più interessata alla vita parlamentare, secondo i jihadisti. In questo clima di crescente insicurezza, aumenta anche la cancrena della politica, nella perdurante assenza di un presidente, sebbene ci sia da mesi una convergenza di massima sulla nomina di Michel Suleiman, anche se la maggioranza ritiene “inaccettabili” le condizioni dettate da Hezbollah, che chiede garanzie sulla formazione del futuro governo. Per il momento la nuova data per l’elezione del presidente è fissata per il 21 gennaio, ma non è difficile ipotizzare un nuovo, ennesimo, rinvio.
In questo clima di inasprimento dell’incertezza va sottolineato come il 25 agosto 2006 l’Unione Europea abbia disposto l’invio di circa settemila militari, nel contesto del nucleo centrale della forza multinazionale di interposizione nel Libano meridionale (UNIFIL), missione da circa un anno guidata dall’Italia.