RASSEGNA STAMPA – martedì 5 febbraio 2008
Mentre in America si attende con il fiato sospeso l’esito del Supertuesday, da noi continuano a imperversare le polemiche sulla presenza di Israele alla Fiera del Libro di Torino.
Un boicottaggio orribile, che dimostra come, anche in campo culturale, l’antisemitismo mascherato da antisionismo imperversi, e come persino da parte di chi difende l’invito a Israele, venga fatta una differenziazione tra scrittori ebrei “buoni” (quelli che si dichiarano anti-governo) e “cattivi” (quelli che non criticano pertmente Olmert). Come se il giudizio politico fosse un metro per valutare la cultura.
Tra le molte voci, la più interessante viene dall’editoriale non firmato del Foglio, in cui si denuncia “l’gnobile equidistanza” del quotidiano di Torino “La Stampa”, noto da sempre per la sua civiltà che stavolta “si presta ad ospitare le farneticanti allucinazioni di Vattimo che scambia Israele con il Sudafrica dell’apartheid” (si riferisce all’opinione del filosofo apparsa ieri sul quotidiano torinese) . L’editorialista condanna quanti, per aprire il dibattito “mettono sullo stesso piano la faziosità illiberale del boicottaggio e lo spirito di dialogo e accoglienza che ha ispirato la decisione di invitare Israele”.
Fiamma Nirenstein sul Giornale denuncia chi difende la presenza di Israele giustificandola con il fatto che gli scrittori israeliani sono quasi tutti di sinistra e contrari a Olmert; allora quelli di destra non hanno il diritto di esprimersi?
Aldo Grasso sul Corriere si chiede perché gli intellettuali di sinistra che fanno tanti bei programmi di cultura in Tv si sono finora ben guardati dall’esprimersi contro il boicottaggio.
Sulla Stampa Dario Fo e Moni Ovaia, pur condannando chi attacca Israele auspicano che il Salone del Libro inviti ufficialmente anche la Palestina. Sposando la causa di una cultura politicizzata che inevitabilmente porta alla distruzione della cultura stessa.
Interessante su Libero la testimonianza del giovane scrittore israeliano Etgar Keret, che insieme al palestinese Samir El-Youssef, suo traduttore, ha scritto Gaza Blues, tradotto in Italia da E/O. Keret racconta di aver incontrato El-Youssef a una manifestazioen letteraria in Norvegia, che il palestinese si era rifiutato di sedersi vicino a lui, ma che dal dibattito nacque l’amicizia e la collaborazione: segno la conoscenza reciproca e amore per la letteratura possono creare un ponte.
Intanto, la notizia dell’attentato kamikaze a Dimona, il primo in Israele dal gennaio 2007, riapre il dibattito sulla frontiera di Rafah con l’Egitto, da dove pare siano venuti i due attentatori.
Alessandra Coppola sul Corriere intervista Ari Shavit, editorialista di punta di Haaretz, che ritiene necessaria la costruzione di un nuovo muro, che sarebbe più semplice del primo perché il confine con l’Egitto è internazionalmente ratificato e non si presta a contestazioni.
Francesca Paci sulla Stampa riporta l’umore della popolazione, che si aspettava l’attentato, da quando il valico di Rafah ha ceduto.
Originale e inquietante la riflessione non firmata del Riformista, che si chiede se i kamikaze vengano davvero da Gaza e non, come suggeriscono voci di strada da Hebron. Questa ipotesi sarebbe molto più pericolosa, perché dimostrerebbe che sta finendo la luna di miele tra Abu Mazen e i gruppi armati palestinesi, pronti ad agire di concerto con Hamas.
Le Monde pubblica una lunga analisi di Michel Bole-Richard sulle ragioni per cui Olmert non è caduto, nonostante l’impopolarità, i sospetti di corruzione e la poca simpatia di cui gode. La stessa Commissione Winograd sarebbe stata morbida con il premier , consapevole che la sua è l’unica chance di arrivare alla pace, e che, minandolo, si arriverebbe a un successo elettorale dei conservatori oltranzisti.
Sempre Le Monde una testimonianza di Daniel Baremboim sulla necessità di integrazione dei palestinesi all’interno di Israele, che va di pari passo con la creazione di uno Stato palestinesi fuori, e su come questa consapevolezza lo abbia portato ad accettare la doppia cittadinanza.
La Repubblica pubblica un estratto dal nuovo libro di Marek Halter “La mia ira” edito in Italia da Spirali. Secondo lo scrittore Bin Laden sta già vincendo, cioè ha ottenuto ciò che il terrorismo degli anni ‘70 predicava: “trasformare la crisi politica in conflitto armato tramite azioni violente che forzeranno il potere a rrasformare la democrazia in situazione militare”, come scriveva Carlos Marighela, brasiliano, nel “Piccolo manuale del guerrigliero”. L’ira di Marek Halter nasce dal la progressiva contrazione, già in atto, delle libertà civili per difendersi dal terrorismo.
E il terrorismo continua le sue minacce con la voce di Ahamdinejad, che ora ha dato il via al lancio di un missile per mettere in orbita satelliti. I giornalisti si chiedono se anche questa sia una manifestazione della volontà di perseguire armamenti nucleari da parte del presidente iraniano.
E infine, due notizie di cultura. Il Foglio recensisce il libro di John Freely Sabbatai Sevi, il Messia perduto, una ricostruzione storica delle controverse vicende del cabalista e mistico che diceva di essere il Messia e si convertì all’Islam.
E il Corriere, in un lungo articolo di Elisabetta Rosaspina, riporta le polemiche sul musical ispirato ad Anna Frank, che sta per andare in scena a Madrid. Il cugino di Anna Frank si oppone alla trasformazione del dramma in spettacolo musicale, mentre la Fondazione è favorevole e ha collaborato alla messa in scena.
E’ giusto che una tragedia diventi musical? Si può accettare la giustificazioni che così si avvicinano i giovani alla tragedia della Shoah? Difficile rispondere, ma il problema si sta ponendo sempre più spesso (come è successo con il film di Lizzani) ora che la Seconda Guerra Mondiale si sta storicizzando.
Viviana Kasam