Sinistra e apartheid delle idee
Boicottare Israele e la Fiera del Libro: il pregiudizio antisemita della cultura
di GADI LUZZATTO VOGERA
Dietro il dissenso molti equivoci sul Medio Oriente
Giovanni De Luna (La Stampa 30 gennaio) propone a ragione il dialogo e il confronto come arma della cultura per combattere i muri (fisici e intellettuali) che affollano la scena mediorientale. «Non capisco – scrive De Luna – perché all’ingiustizia dei muri fisicamente concreti eretti dagli israeliani si debbano contrapporre altri muri, costruiti con i materiali dell’intransigenza, del giudizio a priori, del rifiuto di ogni tentativo di dialogo». E giusto, il pre-giudizio (lui lo chiama pudicamente «giudizio a priori») non è comprensibile con il normale strumento della logica. Tuttavia, una volta accertato che esiste ed è radicato, bisognerebbe per lo meno denunciarlo con forza e isolarlo.
E arcinota la presenza sottopelle in settori piuttosto ampi della sinistra europea di sentimenti antisemiti che periodicamente emergono in rigurgiti in- controllati. Spesso sono episodi molto espliciti, altre volte – come nel caso della proposta di boicottaggio della presenza israeliana alla Fiera del Libro di Torino – sono prese di posizione ammantate da motivazioni pseudo-politiche legate a una visione manichea della tragedia mediorientale (esemplare l’intervento di Gianni Vattimo su La Stampa del 4 febbraio). Si tratta, in questo caso, di una questione nazionale, che tuttavia ha assunto anche connotati locali. La lettera-appello pubblicata dal direttore di Rinascita Maurizio Musolino ha riproposto la classica strategia politica che cavalca la tragedia dei palestinesi per suscitare manifestazioni che nulla hanno a che fare con Gaza o con i campi profughi del Libano o della West Bank. L’operazione – Musolino lo sa bene – riesce sempre: ondate di lettere e appelli indignati di solidarietà vengono raccolte da Liberazione o dal Manifesto, magari si riesce anche a organizzare una bella manifestazione di piazza (che in campagna elettorale fa sempre comodo), e i problemi dei palestinesi rimangono immutati o aggravati, senza che gli autori di questa mobilitazione abbiano attivato azioni politiche che concretamente aiutino almeno in prospettiva a risolvere la loro tragedia. Il gioco è riuscito solo in parte, perché a sinistra c’è sempre qualcuno che ragiona: in questo caso Valentino Parlato non è stato zitto e ha denunciato con fermezza e coraggio la strumentalità del boicottaggio chiamandola con il suo nome: antisemitismo.
Ma ci sono anche dei risvolti locali, che a mio parere dovrebbero allarmare la realtà piemontese. Non è, infatti, la prima volta che i libri collegati in qualche modo a Israele vengono presi di mira. E ancora calda la cenere del rogo che negli anni ‘80 incendiava la libreria Luxemburg, notoriamente dedita alla diffusione dell’editoria israeliana ed ebraica in genere. Ed è passato solo qualche mese da quando – in occasione del Festival della Storia di Saluzzo e Savigliano – si è organizzata una sessione in cui in maniera più che esplicita si denunciava la politica di Israele verso gli arabi palestinesi come una politica unicamente definibile con i criteri del razzismo e dell’apartheid, senza peraltro che fosse previsto uno spazio di dibattito e di approfondimento, il che per un festival dedicato alla Storia fa un pò specie.
Con questi presupposti (ma si potrebbero citare altri episodi), non può stupire che proprio da ambienti politici della sinistra torinese sia partita l’idea di boicottaggio: a monte di questa proposta c’è un lavorio intellettuale costante, a volte colpevolmente avallato – come nel caso del Festival di Storia – anche da enti pubblici e fondazioni. L’iniziativa della Fiera del Libro è in questo caso due volte opportuna: invitando alcuni fra i maggiori esponenti della letteratura israeliana contemporanea (notoriamente assai critici con il Potere) mostra quanto fragile, inutile e strumentale sia lo stereotipo che ci racconta uno Stato di Israele fondato solo sul razzismo e sull’apartheid, e nel contempo fa emergere una Torino intellettuale libera da pregiudizi e disposta a usare l’arma del confronto intellettuale per contribuire a rafforzare i percorsi della pace e del dialogo.
Fonte: La Stampa, 7 Febbraio 2008, pag. 40