Hezbollah dà lezioni di terrorismo ad Al Qaeda
di Leonardo Tirabassi
Mentre continua la discussione su chi ‘veramente’ abbia fatto saltare in aria Imad Mugniya a Damasco, è utile mettere in rilievo la connessione tra Hezbollah, Iran e in generale il terrorismo di matrice sciita, e quello di Al Qaida di origine sunnita e saudita. Gruppi che siamo soliti vedere, sulla base della guerra civile in Iraq, contrapposti in modo micidiale, ma andando in profondità le cose stanno diversamente.
La liaison, sottovalutata dalla gran parte della opinione pubblica occidentale e divenuta lampante dopo la vittoria di Hamas a Gaza nel 2006, è stato ben presente, invece, anche prima dell’11 settembre agli strateghi e alle agenzie d’intelligence americane ed europee; liaison ora rimessa al centro della riflessione anche da un documento, che giunge a proposito, elaborato da Thomas Joscelyn per conto del think thank conservatore The Claremont Institute, dal titolo eloquente: Iran Proxy War Against America.
Nel documento finale della Commissione d’inchiesta americana sull’11 settembre, nella sezione intitolata Assistance from Hezbollah and Iran to al Qaida, si poteva leggere: “La relazione fra al Qaida e l’Iran dimostra che le divisioni tra sunniti e sciiti non necessariamente creano una barriera insormontabile per la collaborazione nelle operazioni terroristiche”. E ancora: “Membri di al Qaida hanno ricevuto addestramento e consulenze dagli Hezbollah”, rapporti di collaborazione che dopo l’11 settembre l’Iran e gli Hezbollah hanno sempre cercato di nascondere per ovvi motivi, cioè per non finire immediatamente nell’occhio del ciclone.
Vediamo nel dettaglio i momenti della collaborazione. Nel report delle Nazioni Unite sulla situazione in Somalia nel novembre 2006, si parlava esplicitamente del coinvolgimento di Iran e Siria nelle vicende interne di questo martoriato paese. Un lancio d’agenzia della Reuters metteva in risalto come i circa 720 militanti somali (sunniti), reclutati da Adan Hashi Farah detto ‘Ayro’ un veterano dell’Afghanistan, si trovassero in Libano per combattere Israele in cambio di armi e addestramento. I soldati terroristi delle Corti islamiche somale per i loro servizi ai libanesi Hezbollah sarebbero stati anche pagati circa 2 mila dollari, mentre i loro familiari in caso di morte ne avrebbero ricevuto 30 mila. Il 15 novembre 2006, il Daily Telegraph affermava che l’Iran stava cercando d’ispirare anche le azioni di Al Qaida, ospitando e nascondendo il figlio di Bin Laden, Said, assieme a Saif al-Adel, uno dei cervelli strategici dell’organizzazione, e a un centinaio di guerriglieri di medio rango. La presenza dei figli di Bin Laden in Iran era ben nota alle fonti d’intelligence occidentali fin dal 2003 (Washington Post, 14 ottobre, Douglas Farah, Dana Priest “Bin Laden Son Plays Key Role in Al Qaida”), protetti da un gruppo d’élite della sicurezza iraniana chiamato la ‘forza di Gerusalemme’. E, sempre secondo fonti dei servizi americani riportate dalla Reuters, l’attentato contro la base USA a Riyadh in Arabia Saudita nel settembre del 2003, dove morirono cinque americani, fu organizzato da quel Saif al-Adel, fuggito dall’Afghanistan durante l’operazione Enduring Freedom in compagnia di 500 terroristi di al Qaida, e addirittura la moglie più giovane di Bin Laden, Amal al-Saddah, fu aiutata da Mugniyah, di stanza in Iran, a fuggire dall’Afghanistan con il figlio verso il natio Yemen.
In realtà, già tra il 1991 e il 1992 in Sudan vi erano già stati numerosi contatti tra estremisti sciiti e sunniti sotto gli auspici del leader islamista sudanese Hassan Al Turabi, che cercava di persuadere i leader delle due grandi versioni dell’Islam a collaborare per sconfiggere il nemico comune. Bin Laden si dimostrò particolarmente interessato ad imparare i metodi terroristici di Imad Mugniya, anch’egli presente ai vertici.
Nel 1995, a quanto afferma Bob Baer, un agente della CIA sulle tracce del terrorista saltato in aria, uno dei sicari al suo servizio aiutò i membri di al Qaida in uno dei suoi primissimi attentati il 19 novembre 1995 contro l’ambasciata egiziana a Islamabad in Pakistan. Se pare certa la responsabilità dell’hezbollah Mugniyah nelle bombe del 25 giugno del 1996 a Khobar in Arabia Saudita, dove morirono diciannove soldati statunitensi, la Commissione d’inchiesta sull’11 settembre non poté non segnalare scambi di telefonate tra Osama Bin Laden e i terroristi implicati. Ma ben più rilevante è la loro collaborazione a proposito degli attentati in Kenya e Tanzania del 7 agosto del 1998. In quella circostanza, al Qaida mutuò la tecnica dell’autobomba sull’esempio libanese (attentato alle caserme americane e francesi a Beirut, 23 ottobre 1983) e sembra addirittura che avesse chiesto e ottenuto supporto operativo e di addestramento agli sciiti filoiraniani: Mugniyah in persona avrebbe insegnato quelle tecniche ai membri di al Qaida. Anche gli altri gruppi sunniti alleati di Bin Laden, come l’egiziano Gama’at al Islamiyya, hanno stretto contatti con Imad Mugniyah fino a costituire, per Bob Baer, “ la più formidabile coalizione terrorista nella storia” (Thomas Joscelyn sul Weekly Standard del 9 ottobre 2000).
Più nota è la vicenda dell’11 settembre. Sempre secondo il rapporto americano sugli attentati di New York e Washington, e secondo la stessa fonte CIA riportata nell’articolo sul settimanale neoconservatore, è probabile che i terroristi abbiano compiuto numerosi viaggi tra l’ottobre 2000 e il febbraio 2001 tra Arabia Saudita e Iran, e che su un volo dall’Arabia Saudita verso Beirut, con a bordo quegli stessi uomini di al Qaida, vi fosse anche Imad Mugniyah.
La conclusione è che le due centrali del terrorismo islamista, partendo da realtà religiose, ideologiche e strategiche diverse, sono in lotta anche cruenta per l’egemonia nel mondo musulmano; ma il nemico che combattono è comune – l’Occidente, gli Stati Uniti, Israele (anche se non sempre in questo ordine) – e contro di esso possono trovare delle alleanze. Gli sciiti, inferiori di numero rispetto ai sunniti e con una storia minoritaria, hanno però alle spalle un paese che ha fatto la più grande rivoluzione popolare del ‘900, ha una potenza economica enorme, cerca un ruolo egemone nella regione, e non solo, ed esercita una notevole forza di attrazione nei confronti di tutti i movimenti, come dimostra il caso di Hamas. Inoltre, la realtà delle organizzazioni sciite, su tutte Hezbollah, o costruite sul modello sciita, come Hamas, non può essere ridotta al solo uso del terrorismo. Si tratta infatti di organizzazioni di massa che si occupano della gestione dell’intero ciclo vitale della propria popolazione. Lo stesso non si può dire di al Qaida come dimostrano i fallimenti a cui sta andando incontro in Iraq e il baratro dove ha gettato l’Afghanistan: al Qaida è sempre alla ricerca di una base territoriale, sempre alla ricerca di un popolo, mero strumento da utilizzare come carne da macello.
La vicenda del super terrorista Imad Mugniya è esemplare e dimostra il ruolo predominante del fondamentalismo sciita rispetto a quello sunnita, il suo radicamento in Medio Oriente, la capacità di articolare l’azione politica che comprende anche l’uso di un terrorismo non meno micidiale di quello di Bin Laden, ma che dispone anche di altri strumenti, dalla diplomazia, al petrolio, all’azione istituzionale. Se è permesso un confronto, con una formula da terza internazionale, al Qaida è una formazione avventurista, malata di militarismo, che compie continue fughe in avanti e forzature riducendo lo scontro con il nemico al solo piano militare. Il risultato consisterà, se la NATO reggerà in Afghanistan, nel rafforzamento del movimento rivoluzionario sciita, retroterra sicuro per i reduci iracheni. Il modello Hezbollah, non riducibile solo al piano militare, si è dimostrato alla lunga l’unico vincente e in grado di sfidare l’Occidente.