Al Qaida ha un nuovo Bin Laden
di Gian Micalessin
È il braccio armato di Osama Bin Laden. Nel luglio 2005 è stato il cervello della strage al metrò di Londra. L’anno dopo distillava esplosivo liquido per abbattere gli aerei in volo tra Londra e New York. Lo scorso autunno tentò di colpire Copenaghen. Oggi è l’invisibile artefice dell’attacco all’Europa promesso dal capo di Al Qaida nell’ultimo messaggio. Ma è anche un imprendibile fantasma, un artista della sopravvivenza sospeso tra il mondo dei vivi, dove continua ad operare, e quello dei morti dove tentano di relegarlo gli uomini della Cia, che lo ha di recente individuato come l’«emergente» del gruppo terroristico.
Lo chiamano Abu Ubaida Al Masri, ma non è neppure il suo vero nome, significa semplicemente «padre di Ubaida l’egiziano». La sua unica foto è custodita gelosamente dalla Cia e le sue tracce passano anche dall’Italia, probabilmente da quella moschea milanese di via Jenner tappa obbligata, negli anni Novanta, per i volontari islamici diretti al fronte bosniaco. La sua presenza tra le Brigate islamiche dei Balcani è un dato certo, ma la sua carriera incomincia già nell’Afghanistan degli anni ’80, dove gli egiziani sono il nocciolo duro dell’integralismo combattente da cui emergerà Al Qaida. La sua prima identificazione risale a un dossier dei servizi segreti italiani tradotto dal tedesco che parla di lui e delle due dita perse in Cecenia. Al Masri, a quei tempi, è solo un comprimario dell’internazionale del terrore che si va strutturando intorno a Bin Laden. Nel 1995 fa domanda d’asilo a Monaco di Baviera e frequenta uno studente d’informatica marocchino che qualche anno dopo sposerà la figlia del numero due di Al Qaida, Ayman Zawahiri.
Secondo i servizi segreti occidentali l’ascesa di Al Masri incomincia con l’espulsione dalla Germania nel 1999 e l’arrivo nei campi afghani di Al Qaida. A quel tempo è già un veterano vicino alla quarantina – «un uomo muscoloso e abbronzato, ma con barba e capelli mezzi grigi» – racconta Shadi Abdallah, l’ex guardia del corpo di Bin Laden passata all’Occidente. È l’istruttore perfetto per gli aspiranti terroristi ansiosi di usare bombe ed esplosivi. Nel dicembre 2001, quando Osama fugge inseguito dagli americani, Al Masri è con i veterani dell’unità 055 pronti a dare la vita per il grande capo. L’esperienza lo sottrae alla morte e lo porta in Pakistan. A quel punto le sue doti di fuggitivo lo proiettano ai vertici di Al Qaida. «È capace e pericoloso, ma non esce dai vertici dell’organizzazione, ci arriva prendendo il posto di quelli che vengono catturati o uccisi» dicono di lui fonti dei servizi segreti inglesi.
Dopo la cattura nel 2003 di Khalid Shaikh Mohammed, l’artefice dell’11 settembre, Al Masri diventa ufficialmente il responsabile dei nuovi attacchi all’Occidente. Lui e Abdul Hadi, un ex ufficiale iracheno riparato in Pakistan, selezionano alcuni volontari inglesi e li preparano alla grande strage del metrò del 7 luglio 2005. In pochi mesi inglesi e americani risalgono a lui e nel gennaio 2006 lo danno per eliminato nel bombardamento del villaggio pakistano di Bajaur.
L’attacco, pianificato dalla Cia, uccide 18 persone, ma non Al Masri. Lui sta già sperimentando gli esplosivi liquidi destinati ad abbattere gli aerei in volo da Londra a Washington. Sogna un nuovo 11 settembre e un numero incalcolabile di vittime, ma non fa i conti con la permeabilità delle proprie strutture. I servizi segreti inglesi hanno già infiltrato le sue cellule e nel luglio 2006 arrestano tutti i suoi uomini poco prima dell’ora zero. Lui ci riprova con Copenaghen, la capitale danese colpevole di aver permesso la pubblicazione delle vignette su Maometto, ma gli infiltrati si rivelano ancora una volta il suo autentico tallone d’Achille. Lo scorso autunno la polizia danese sbatte in galera i due pakistani mandati a colpire Copenaghen dopo un addestramento nelle basi del Waziristan. A gennaio i missili americani tentano nuovamente di cancellare Al Masri dalla faccia della terra. Ma è un’altra cilecca.