Israele e il fronte della menzogna
Israele è sotto assedio intellettuale e morale, in Europa, nei giorni del suo sessantesimo compleanno. Minoranze faziose e rumorose contestano brutalmente il suo diritto alla festa, alla presenza come stato ospite, dunque come paese e come popolo, come identità nazionale, in manifestazioni culturali come le fiere del libro di Torino e di Parigi. C’è diritto al dissenso, sebbene il «boicottaggio» e il rogo delle bandiere siano livelli di rottura delle convenzioni polemiche, e di odio, duri da sopportare. Ma la questione vera è: che cosa significa questo dissenso?
Siamo sempre allo stesso punto, sebbene proprio questo punto sia futilmente, ipocritamente negato: è in discussione il diritto all’esistenza di uno stato ebraico in Medio Oriente. Alcuni tra gli odiatori di Israele negano che questa sia la posta in gioco e si rifugiano nella distinzione fra la critica della politica dei governi, legittima, e l’inimicizia verso lo stato. Altri, più duri ma più chiari e sinceri, stanno sulla scia di Tariq Ramadan, il controverso predicatore e agitatore islamista euro-occidentale che vuole uno stato senza radici ebraiche al posto di Israele, cioè la scomparsa del sionismo, del focolare nazionale degli ebrei.
Teoricamente Israele potrebbe voltarsi dall’altra parte e occuparsi della vera minaccia alla sua sicurezza, che è la minaccia nucleare dell’Iran di Mahmoud Ahmadinejad. A 60 anni quel paese benedetto, quella democrazia unica in quelle forme in Medio Oriente, quello stato-guarnigione uscito dalle tragedie del Novecento e da sogni plurisecolari gode per certi aspetti di buona salute, ha fatto immensi progressi. Nell’analisi del Financial Times, gli israeliani «hanno molte ragioni per guardare con soddisfazione alla loro storia e con fiducia al loro futuro». Il loro è un paese ricco, robusto, con una rete di alleanze solida, a partire da quella con il paese più potente del mondo, gli Stati Uniti; e hanno un esercito non invulnerabile ma che torreggia sui vicini, come d’altra parte primeggiano le loro tecnologie, il loro grado di felice integrazione di etnie, lingue ed esperienze diverse, la forza delle istituzioni e della cultura laica e religiosa. Ma Israele non si volta dall’altra parte, e ha ragione di non farlo, davanti alle provocazioni ideologiche delle élite e dei gruppi militanti antisionisti in Europa.
Quando Gianni Vattimo, un filosofo che ama scherzare con le proprie idee nichiliste, rivaluta i Protocolli degli anziani savi di Sion, cioè il clamoroso falso antisemita che l’Europa ha esportato in terra islamica e ora reimporta dopo nuovi nutrimenti e consolidamenti in lingua araba, il veleno della delegittimazione e dell’odio ricomincia a circolare e il disagio prenucleare di Israele, quello che conta come pericolo imminente e chiaro, si ripropone in tutta la sua portata. Gli ayatollah e Ahmadinejad hanno giocato la carta del negazionismo e dell’antigiudaismo in modo chiaro, hanno costruito ponti con la comunità intellettuale europea invitando i suoi studiosi antisemiti a convegni storici parodistici ma insidiosi, l’assedio di Israele stringe insieme un fronte molto più robusto e ampio di quanto non sembri, da Teheran a Torino, a Oxford, alla Rive gauche: il fronte della menzogna.
Israele può essere minacciato esistenzialmente perché non esiste nelle carte geografiche su cui studiano generazioni di arabi e di iraniani, e può essere messo in stato d’assedio perché la sua storia viene negata in Europa. Negata come vicenda umana fatta di emigrazione, di guerre contro il rifiuto arabo, di lotta per l’indipendenza sotto il mandato britannico. Negata come fatto e come diritto sancito dalle Nazioni Unite
Giuliano Ferrara
(Fonte: Panorama, 14 Maggio 2008 )