Israele: 21 domande, 21 risposte
Luciano Tas, scrittore e giornalista, già direttore del mensile Shalom, ha pubblicato anni fa un utile documento per conoscere correttamente la questione israelo-palestinese.
L’antisemitismo è dilagante in Italia e troppo spesso è causato dalla disinformazione sui fatti salienti della Storia d’Israele, molta gente si schiera contro il sionismo “a priori” e indipendentemente delle opinioni della politica israeliana legata al momento storico. Il discutere dell’esistenza dello stato d’Israele non dovrebbe essere neanche tollerato, a meno che non si voglia rendere “discutibile” la nascita di tutti gli stati moderni, compresa l’Italia. Usando le argomentazioni di quelli che gettano discredito sul sionismo, sarebbe come se io dicessi che la nascita dell’Italia è il frutto dell’imperialismo dei Savoia…e per questo illegittima.
Le argomentazioni di Luciano Tas aiutano a smontare tanti miti antisionisti e antisemiti. Sono un’ottima base di partenza per affrontare un contraddittorio sulla questione mediorientale. Fatene buon uso.
2) Ma allora cos’è, di chi è la Palestina?
7) Ma Israele non ha voluto accogliere i profughi palestinesi.
9) Perché gli ebrei, che hanno tanto sofferto per il nazismo, fanno ai palestinesi quello che i tedeschi hanno fatto a loro?
Ecco un esempio di “parole malate”. L’abuso di certi termini finisce per distruggerne il significato. I nazisti sono quelli che hanno scientificamente sterminato sei milioni di ebrei, tra cui un milione e mezzo di bambini, che hanno prodi-toriamente invaso e saccheggiato i paesi europei, devastato, bruciato, distrutto e ucciso e fatto uccidere milioni di persone. I nazisti si erano prefissi di distruggere non un nemico, che in realtà esisteva solo nella loro mente malata, ma tutto un popolo, quello ebraico, con accuse immaginarie e folli. Non si trattava dunque di un conflitto, come quello che contrappone israeliani e palestinesi, ma di un genocidio. La differenza non è piccola.
Definire “nazisti” gli ebrei è quindi affermare il falso e commettere un’infamia. Se poi a dare una simile definizione sono degli europei, cui meglio converrebbe come minimo il silenzio per tutte le loro responsabilità, dirette e indirette, per le persecuzioni e lo sterminio degli ebrei, l’infamia diventa anche più abietta. L’occupazione israeliana di territori abitati da arabi non è stata sempre indolore. Nessuna occupazione militare lo è mai. Ma non è successo in Israele quello che è accaduto in Europa, dove decine di milioni di persone, dopo la seconda guerra mondiale, sono state cacciate dalla loro terra. In Israele vivono più di un milione di cittadini israeliani arabi con pieni diritti, e oltre due milioni di arabi vivono in Cisgiordania e a Gaza. Oggi nessuno in Europa, tedeschi, polacchi, italiani, rivendica la terra e le case abbandonate quando la guerra ha ridisegnato confini e proprietà, come normalmente accade quando dei paesi vincono una guerra e altri la perdono. Ma tutto in Europa ha finito per sistemarsi perché c’era la volontà generale di farlo e nessuno ha speculato sull’esodo forzato di milioni di persone.
10) Sionismo uguale a razzismo.
All’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove la maggioranza dei seggi appartiene ai paesi islamici e ai loro alleati, già una volta fu votata questa ignobile equiparazione. Le Nazioni Unite sono sicuramente una istituzione democratica, la maggioranza dei cui membri è però altrettanto sicuramente antidemocratica. E di tanto in tanto questa maggioranza automatica ci riprova.
Che cos’è il sionismo? E’ l’idea, affermata da Teodoro Herzl sul finire del XIX secolo, che l’antisemitismo non può essere vinto se non con la costituzione di uno Stato ebraico in grado di garantire la sicurezza degli ebrei che ne fanno parte, con un passaporto che li protegga ovunque si trovino: uno Stato che li accolga quando ne hanno bisogno, un governo che li rappresenti nei consessi internazionali, e un esercito pronto a difenderli. E ancora: il sionismo è oggi la realizzazione politica e nazionale di un sogno millenario mai dimesso. Il sionismo è uno Stato ebraico che offre un confortevole margine di sicurezza agli ebrei di tutto il mondo, garantendo con legge dello Stato (la “Legge del Ritorno”) il loro diritto permanente a entrare in Israele, diventandone immediata-mente cittadini. Con uno Stato ebraico non si ripeterà più quanto è accaduto nei secoli, e soprattutto prima della seconda guerra mondiale, quando nessun paese volle accogliere gli ebrei per salvai loro la vita. Questa l’idea di Teodoro Herzl, questo e nient’altro è il sionismo. E’ interessante osservare che nel 1897 nascevano a poche settimane di di-stanza il primo partito socialista russo in assoluto, l’Unione Generale Operaia Ebraica di Russia e di Polonia”, brevemente detta Bund e l’Organizzazione Sioni-sta Mondiale, le due anime dell’ebraismo dell’impero russo. Al di là delle formulazioni teoriche, il socialismo e il sionismo sono semplici da spiegarsi. Il primo risponde a un’esigenza di giustizia, molto forte nel dettato religioso ebraico, il secondo nasce da un giornalista austriaco, Theodor Herzl, che incontrando nella Francia uscita dalla grande Rivoluzione una imprevedibile campagna antisemita seguita al famigerato processo Dreyfus, si rese conto che l’antisemitismo non era eliminabile né dal liberalismo, né dal socialismo. Herzl arrivò alla conclusione che agli ebrei restava una sola strada valida: dar vita a un loro Stato indipendente e sovrano. Il sionismo è tutto qui. L’antisemitismo si è sempre mascherato dietro qualche nome: gli ebrei sono stati a lungo deicidi per la Chiesa, semplicemente giudei per i nazisti, che non avevano bisogno di mascherare le loro idee, cosmopoliti per Stalin, che non riteneva producente dichiararsi antisemita e basta, sionisti per larghi settori politici (che si vergognavano di dirsi antisemiti), a partire da quando la politica estera sovietica nel 1955 era cambiata radicalmente in favore dei paesi arabi. Ecco come la parola “sionismo” ha assunto una connotazione negativa.
11) Gli israeliani si sono macchiati della strage di Sabra e Chatila del 1982.
Il 6 giugno 1982 Israele lancia un attacco con 60.000 soldati in Libano, dove l’OLP ha istituito una specie di Stato nello Stato, e da dove partono gli attentati contro i villaggi israeliani al confine settentrionale. L’OLP è costretto a trincerarsi dentro Beirut, già dal 1975 in preda alle convulsioni della guerra civile. Sotto il controllo di forze dell’ONU francesi, americane e italiane, alla fine d’agosto una parte dell’OLP lascia il Libano. Alla fine dell’anno successivo sarà costretto a lasciarlo definitivamente anche Arafat. La vittoria israeliana nel sud e al centro del Libano è salutata con entusiasmo dai libanesi cristiani, che eleggono alla Presidenza del paese un loro illustre combattente, Bashir Gemayel, l’uomo della pace con Israele. Prima ancora di prendere possesso della carica, Bashir Gemayel viene assassinato. I libanesi cristiani vogliono vendicarsi dell’assassinio del loro condottiero Bashir. Così penetrano nella parte occidentale di Beirut in mano israeliana, dilagano nei due quartieri di Sabra e Chatila e compiono un vero e proprio massacro. Quasi mille palestinesi vengono sgozzati. La carneficina riempie d’orrore l’opinione pubblica di tutto il mondo, che subito punta il dito contro Israele che controllava la zona. Qui però Israele dimostra la sua robusta collocazione democratica. Il governo (di destra) non esita a nominare una commissione d’inchiesta che dimostra la sua assoluta indipendenza e, senza guardare in faccia nessuno e nemmeno farsi condizionare dalla delicatezza della situazione politica (estera e interna) d’Israele, accerta la responsabilità oggettiva dei comandi militari, ma anche quella politica del governo. I responsabili, riconosciuti colpevoli di non essere intervenuti a impedire la strage, sono tutti esemplarmente puniti. Il ministro della Difesa Ariel Sharon è costretto a dimettersi. La crisi farà poi cadere il governo. Il bilancio libanese di tanti anni di feroce guerra civile, in gran parte fomentata e diretta dalla Siria, è disastroso. Tra i 1975 e la fine degli anni Ottanta sono morti 150.000 libanesi, su una popolazione di poco più di due milioni.
12) Ma perché i palestinesi non possono tornare a casa loro?
Chi può essere qualificato “profugo palestinese”? Secondo l’ONU era considerato profugo palestinese qualunque arabo che avesse vissuto in Palestina per due anni, e che avesse lasciato il paese nel 1948. Due anni di permanenza ed ecco che anche un siriano, un iracheno, un giordano, tutti sono trasformati in palestinesi e profughi. Quando nella Dichiarazione Balfour del 1917 si garantiva agli ebrei una National Home in Palestina, per Palestina non s’intendeva il territorio al di qua del Giordano, ma in realtà tutta la Palestina, cioè il territorio del futuro Mandato nella sua interezza. Quindi la National Home ebraica doveva essere costituita su una parte della Palestina e non su una parte di una piccola parte della Palestina. Il distacco della Giordania, che rappresentava il 75% della Palestina, fu un atto arbitrario di Londra ed una violazione della Dichiarazione Balfour. Quanto ai profughi palestinesi del ’48/’49, il loro numero, come abbiamo già visto, non superava i 4/500.000, anche considerando “refugees” chi era entrato in Palestina solo due anni prima. Se nelle ultime richieste di Yasser Arafat, quel numero viene moltiplicato per dieci, è evidente che non c’è volontà (o possibilità) di giungere a un accordo definitivo. Nessun paese al mondo potrebbe assorbire un numero di immigrati pari all’80% della sua popolazione.
Non vi sono precedenti nella Storia di un “diritto al ritorno”, né la giurisprudenza internazionale lo prevede. Giusto o sbagliato che sia, l’orologio della Storia non può esser rimesso indietro di oltre mezzo secolo. E’ curioso poi che tale “diritto” sia stato preteso non per il ritorno dei palestinesi in uno Stato palestine-se, ma nello Stato d’Israele.
13) Ma perché gli israeliani vogliono avere proprio Gerusalemme come capitale? Che diritto ne hanno, dopo esserne stati assenti per quasi duemila anni?
Gli ebrei non hanno mai lasciato Gerusalemme e anzi, secondo tutte le stati-stichenote, vale a dire dalla metà dell’8OO, a Gerusalemme gli ebrei hanno sempre costituito la maggioranza relativa della popolazione, che a una delle prime rilevazioni statistiche ammontava in totale a 15.000 persone.
Nel 1876, assai prima dunque della nascita del sionismo, vivevano a Gerusa-lemme 25.000 persone, delle quali 12.000, quasi la metà, erano ebrei, 7500 musulmani e 5500 cristiani.
Nel 1905 gli abitanti erano saliti a 60.000. Di questi 40.000 erano ebrei, 7000 musulmani e 13.000 cristiani.
Nel 1931 su 90.000 abitanti, gli ebrei erano 51.000, i musulmani 20.000 e i cristiani 19.000.
Nel 1948, alla vigilia della nascita dello Stato ebraico, la popolazione di Gerusalemme era quasi raddoppiata: 165.000 persone, di cui 100.000 ebrei, 40.000 musulmani e 25.000 cristiani. La presenza ebraica a Gerusalemme ha sempre costituito il nucleo etnico numericamente più forte. Con Gerusalemme gli ebrei hanno sempre avuto un forte legame religioso, storico, nazionale, e di nessun altro popolo Gerusalemme è mai stata capitale. E’ quindi una leggenda l’affermazione che gli ebrei siano stati assenti da Gerusalemme per quasi venti secoli o che costituissero una insignificante percentuale della popolazione gerosolimitana.
14) Israele non ha voluto portare a compimento gli accordi di Oslo del 1993.
E’ vero il contrario, e cioè che Arafat ha volutamente fatto saltare quegli accordi quando si è accorto che potevano sul serio essere realizzati. L’accordo di Oslo del 1993, perfezionato nel 1995, prevedeva il progressivo ritiro israeliano da gran parte della Cisgiordania e da Gaza, fatte salve tutte le misure di sicurezza necessarie. Il territorio evacuato da Israele sarebbe stato gradualmente affidato “in ge-stione a una Autorità palestinese”.
Preliminare ad ogni passo verso la concreta attuazione dell’accordo erano il rifiuto ad ogni atto di terrorismo e il. reciproco riconoscimento. Molti termini di questo preaccordo erano in parte stati deliberatamente tenuti nel vago: ognuna delle due parti li avrebbe interpretati come voleva, ma non impegnavano nessuno. I nodi cruciali del contenzioso israelo-palestinese, dopo l’offerta del Premier israeliano Barak di evacuare il 95-98% della Cisgiordania (e naturalmente tutta Gaza) erano sostanzialmente questi:
Primo. Gerusalemme, per la quale i palestinesi volevano una soluzione che non li escludesse da quella che consideravano la loro capitale. Israele aveva offerto all’Autorità palestinese il controllo del quartiere orientale della città e un compromesso per il Monte del Tempio (o Spianata delle Moschee).
Secondo. Quanti insediamenti israeliani nelle zone che sarebbero andate all’Autorità palestinese sarebbero stati smantellati? Presumibilmente sarebbero rimasti sotto l’autorità israeliana solo quegli insediamenti di sicura stabilità che avrebbero garantito la sicurezza militare dello Stato ebraico e alcuni altri che rappresentano motivi cari ai religiosi. Il discorso rimaneva aperto.
Terzo. E questi insediamenti che status avrebbero avuto? Secondo Israele a-vrebbero dovuto godere di una sorta di extra-territorialità. Anche qui l’applicazione degli accordi avrebbe richiesto lunghe consultazioni israelo-palestinesi in un clima di pacificazione.
Quarto. Quale sarebbe stato il disegno finale del nuovo spiegamento israelia-no di forze, quali i punti considerati strategici?
Quinto.Gaza come sarebbe stata collegata con la Cisgiordania? Si ipotizzava una strada sopraelevata extraterritoriale a sorveglianza mista israelo-palestinese.
Se questi negoziati si sono impantanati, ciò è stato determinato dal fatto che Arafat ha dimostrato di non avere l’intenzione o la possibilità di concludere la pace. Di fronte all’offerta del Premier laburista israeliano Ehud Barak di cedere all’OLP il 95-98% della Cisgiordania, oltre a Gaza e a un settore arabo di Gerusalemme per costituirvi la capitale della “entità palestinese”, Arafat rifiutava e “rilanciava’, chiedendo, come abbiamo visto, che Israele assorbisse entro i suoi confini quattro milioni, quattro milioni e mezzo di profughi arabi, vale a dire i figli, nipoti, bisnipoti, parenti e amici dei quattro, cinquecentomila profughi del 1948/49. Invece di mettere una firma o di presentare una controproposta, il leader pa-lestinese organizzava una nuova e più cruenta Intifada, prendendo a risibile pretesto una passeggiata considerata provocatoria (ma effettuata dopo accordi precisi presi con l’autorità musulmana delle Moschee) di Ariel Sharon, non ancora Premier e in quel momento capo dell’opposizione, sulla Spianata delle Moschee (o Monte del Tempio, a seconda dell’ottica). Per questo si sono acuite l’insicurezza e i timori degli israeliani, che già si era-no divisi sull’iniziativa di pace di Rabin.
Insicurezza e timori resi più acuti dai crescenti atti terroristici palestinesi, perpetrati proprio per sabotare ogni nego-ziato. Una visione distorta e degenerata del dettato religioso aveva fatto armare la mano di un giovane ebreo, ortodosso fanatico, che la sera di sabato 4 novembre 1995 uccise il Premier Yitzhak Rabin, artefice degli accordi di Oslo. Da quel momento i governi israeliani, di sinistra o di destra, sono risultati tutti indeboliti. Shimon Peres, Benjamin Netanyahu, Ehud Barak, e oggi in parte forse anche Ariel Sharon, non hanno più avuto quella larga maggioranza di consensi necessaria per affrontare i forti nodi da sciogliere.
Non può meravigliare che i timori e il senso d’insicurezza degli israeliani siano molto aumentati dopo il fallimento della proposta di Barak, che lo pagò con una bruciante sconfitta elettorale. Ovviamente timori e insicurezza indeboliscono Israele. L’atteggiamento di Arafat di fronte alle offerte di Barak spiega inoltre come mai l’opinione pubblica e per la prima volta gli intellettuali d’Israele si siano compattati intorno a Sharon. Gli intellettuali israeliani si sono sempre schierati in larghissima parte con il fronte politico progressista e pacifista. Scrittori noti anche in Italia, come Abraham Yehoshua, Amos Oz, David Grossman, Yoram Kaniuk, Uri Orlev, Meir Shalev e così via, hanno sempre sostenuto con forza i diritti dei palestinesi. Il movimento “Shalom Achshav”, Pace Subito, ha riempito spesso le piazze d’Israele. Di fronte alla palese intenzione della dirigenza palestinese di non voler concludere alcuna pace, ma anzi, di costringere Israele a una resa senza condizioni, questo non poteva essere accettato neanche dal più ostinato dei pacifisti.
15) Gli israeliani rispondono con le armi al lancio di sassi da parte di ragazzi.
E’ un ragazzino di 11 anni quello che in Macedonia ha ucciso con un sasso un soldato inglese di 20, arrivato con altri soldati europei per dare una garanzia di pace alla zona. I sassi possono uccidere, come è accaduto in Italia con quelli gettati dai cavalcavia sulle strade e autostrade. Se gli adulti non temono, come fanno gli estremisti arabi nei territori dell’Autonomia palestinese di farsi scudo di ragazzi e di bambini per proteggere il cecchinaggio, la responsabilità ricade interamente su di loro. E talvolta è il fuoco arabo che uccide i bambini arabi, anche se la loro propaganda che ha successo nei media internazionali, accusa sempre e soltanto Israele.
16) Ma le rappresaglie israeliane? L’uccisione mirata dei capi dei movimenti palestinesi nei territori dell’Autonomia?
Quale risposta alternativa ci sarebbe alle stragi nei supermarket, nelle discoteche, nei ristoranti, nelle strade e piazze d’Israele? Che cosa potrebbe dissuadere coloro che mandano dei poveri esaltati fanatici a farsi saltare in aria insieme a israeliani presi a caso, se non forse la loro eliminazione fisica? Se un bandito o un pazzo compie una strage, non si cerca di catturarlo ed eventualmente ucciderlo per evitare altre stragi? C’è poi da notare che ogni volta che Israele distrugge per rappresaglia qual-che posto di polizia palestinesi, lo fa sapere in anticipo. Altrimenti non si capirebbe come un attacco portato da carri armati, aerei, elicotteri e navi, non produca che un numero minimo di vittime e quasi nessuna tra la popolazione civile.
17) Gli attentatori suicidi, i kamikaze palestinesi, sono dei martiri che si sacrificano per ottenere una patria.
I kamikaze erano piloti giapponesi che, a guerra ormai perduta, volevano sal-vare l’onore della loro patria, secondo una concezione molto lontana dalla cultura e dalla civiltà occidentali, e si gettavano, facendo esplodere i loro aerei, sulle tolde delle navi da guerra USA. Navi da guerra, non ristoranti e discoteche. Chi si fa saltare insieme ai ragazzi che ballano o agli avventori di una pizzeria o tra i banchi di un mercato, non compie alcuna azione eroica, né tutela un onore che così anzi viene offeso e calpestato.
18 ) Anche gli ebrei per conquistare la loro indipendenza hanno richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica compiendo attentati terroristici.
Dopo la seconda guerra mondiale e negli anni del Mandato britannico, di fronte all’ostinata politica filoaraba e antiebraica dell’Inghilterra, ci fu un episodio terroristico ebraico, quando fu fatto saltare un albergo di Gerusalemme, il King David, che ospitava il quartier generale militare inglese. Prima di farlo saltare, i suoi occupanti furono avvisati e si salvarono quasi tutti. Non si ricorda che una, e una sola azione terroristica ebraica, ormai lontana nel tempo, contro la popolazione civile araba, e nel corso di una guerra. Non si può dire altrettanto del terrorismo arabo.
19) Israele organizza azioni belliche con armi pesanti, elicotteri e aerei, contro popolazioni civili.
Ma è proprio quello che evita bagni di sangue. Le azioni sono sempre mirate con sorprendente accuratezza. Non si capirebbe altrimenti come un missile po-trebbe essere guidato con precisione millimetrica (un ufficio, una finestra) sull’obiettivo prefissato. Talvolta purtroppo succede che dei civili vengano coinvolti, ma è la conseguenza del terrorismo organizzato a freddo dalla direzione palestinese.
20) Che il “falco” Sharon sia stato eletto capo del governo israeliano è una provocazione, ed è la dimostrazione che gli israeliani non vogliono la pace.
Probabilmente se Arafat avesse accettato le proposte del precedente Premier israeliano, Ehud Barak, la pace sarebbe ora vicina e il popolo d’Israele lo avrebbe confermato alla guida del paese. Si può quindi affermare che è stato Arafat a determinare il successo di Sharon, che oggi, secondo tutti i sondaggi, gode dell’appoggio del 70% della popolazione, la quale evidentemente non erede più alla buona fede di Arafat, o alle sue effettive possibilità di controllare i suoi quadri. Di fronte al rifiuto di Arafat il governo israeliano di coalizione (della destra e della sinistra) ha prontamente accettato tutti gli accordi precedenti quel rifiuto.
21) Se gli israeliani hanno la coscienza a posto, perché non accettano la presenza di osservatori internazionali?
Gli osservatori internazionali non potrebbero impedire le azioni terroristiche palestinesi, ma impedirebbero le risposte israeliane, perché le prime sono evidentemente sempre clandestine e sfuggono ad ogni controllo. I terroristi potrebbero continuare a compiere i loro attentati nei luoghi affollati d’Israele senza preoccuparsi della presenza di osservatori neutrali. Israele, che è un paese sovrano, membro dell’ONU, riconosciuto internazionalmente, non potrebbe rispon-dere se gli osservatori neutrali coprissero, magari involontariamente, le basi da cui partono gli attentatori. L’esperienza degli osservatori in Libano e successivamente in Bosnia non offre sufficienti garanzie. Nessun accordo davvero e finalmente fattivo può essere raggiunto senza una vera tregua e prima che l’Autonomia Palestinese abbia debellato le sue frange estremiste, sotto qualunque sigla si nascondano.
#1Lady Ginevra
Posso copiare questo testo sul mio blog, naturalmente citando la fonte?
Pregherei gentilmente di rispondermi al mio indirizzo e-mail privato.
Grazie.
#2Alex
Certo Lady Ginevra, in pubblico o in privato fa lo stesso.
Il testo di Luciano Tas è un bene che venga diffuso il più possibile.
#3Marino
Vorrei inviare l’articolo ad un mio amico.Potreste aprire una finestra come c’è sul “Il Giornale”:invia ad un amico.
#4Lady Ginevra
Marino, io personalmente non uso mai quella funzione, perché non mi va di comunicare l’indirizzo e-mail dei miei amici: sarò fissata, ma preferisco fare direttamente io un e-mail inviando il link, e questo l’ho inviato, pubblicato, e gli ho dato quanta più diffusione potessi, perché sono stanca di certi stereotipi con cui la gente si riempie la bocca senza sapere di che sta parlando.
Un saluto a tutti.
#5Emanuel Baroz
@DM: Grazie…..
#6Lady Ginevra
E di che Emanuel? Io amo Israele, e amo la verità.
E uno più uno fa due…
#7Am Israel Hai
Palestina, un approccio geopolitico
da un saggio di George Friedman apparso su Strategic Forecast
Il concetto di geopolitica della Palestina è di per sé controverso, perché c’è chi sostiene che non esiste un’identità specifica palestinese, né una nazione palestinese. Il che era vero forse 50 anni fa, ma non ora. L’identità si è forgiata in battaglia. E – come sempre – assume caratteri legati alle caratteristiche e alla storia della regione abitata.
Iniziamo dalla storia.
L’Impero Ottomano dominò il Medio Oriente dal 1517 al 1918. Gli Ottomani lo divisero in province, fra cui la provincia di Siria, che includeva quelli che oggi sono Siria, Libano, Giordania e Israele. Alla fine della prima guerra mondiale, gli Ottomani furono fra i perdenti. Francia e Inghilterra, potenze vincitrici, si divisero la provincia di Siria in base all’accordo Sykes-Picot, lungo il parallelo che passa sul Monte Hermon: a nord di tale parallelo assunsero il potere i Francesi, a sud gli Inglesi, nella forma giuridica di Mandato Internazionale rilasciato dalla Società delle Nazioni (precursore dell’ONU).
La parte francese venne suddivisa in due stati: la parte della Siria abitata da una maggioranza relativa di Cristiano-Maroniti divenne il Libano. I Francesi e i Maroniti erano stati alleati sin dall’epoca delle rivolte anti-turche degli anni 1860. Con la creazione di un Libano indipendente dalla Siria i Francesi intendevano crearsi un alleato stabile nella regione.
Anche la parte inglese venne divisa, e anche qui ogni nuovo stato venne assegnato a dinastie locali che avevano aiutato gli Inglesi contro gli Ottomani: gli Hashemiti e i Sauditi, i quali per altro erano in guerra fra di loro per il possesso della penisola arabica. Negli anni ’20 i Sauditi scacciarono gli Hashemiti dall’Arabia. Gli Inglesi allora crearono uno stato a nord dell’Arabia attorno alla città di Amman per gli Hashemiti, e lo chiamarono Transgiordania, perché si trovava oltre il fiume Giordano. La Transgiordania assunse poi l’attuale nome di Giordania.
Nel 1921 gli Hashemiti avevano ricevuto dagli Inglesi anche la sovranità sull’Iraq. Qui nel 1958 un colpo di stato di ufficiali nasseriani cacciò gli Hashemiti e instaurò la repubblica.
La parte inglese della vecchia Siria ottomana a ovest del Giordano, nota come Palestina (dal nome degli antichi Filistei il cui Golia aveva combattuto contro Davide) rimase sotto amministrazione inglese fino al 1948, con capitale Gerusalemme.
Gli abitanti dell’impero ottomano non avevano il concetto di nazione che avevano gli Europei. Si differenziavano chiaramente fra Turchi e Arabi. Si differenziavano per religione. E fra gli Arabi c’erano antiche rivalità tribali e dinastiche, che talvolta sfociavano in guerre, che però non venivano pensate come guerre nazionali.
Fin dal 1880 c’era stato un flusso di Ebrei europei nella regione. Costoro andavano ad aggiungersi alle relativamente piccole comunità di Ebrei che vivevano da molti secoli nella regione, così come in tutti gli altri paesi arabi (dai quali vennero espulsi dopo il 1948). Si trattava di Ebrei sionisti, cioè nazionalisti second il concetto europeo di nazione, che aspiravano a creare uno stato autonomo ebraico nella regione. I Sionisti si stabilivano su terreni incolti o semi- incolti, aridi o paludosi, comprandoli dal Fondo Nazionale Ebraico o acquisendoli da proprietari feudali che stavano al Cairo o a Istanbul. Poi trasformavano queste superfici in fertili aziende agricole collettive, in cui finirono col non trovare più né ruolo né spazio i pastori e i contadini arabi che vivevano stentatamente su quei terreni da secoli. Con l’accrescimento del flusso degli Ebrei europei negli anni ‘2! 0 e ’30 e all’inizio della Seconda Guerra Mondiale quello che era iniziato come un processo di sviluppo fondiario e imprenditoriale della Palestina divenne uno scontro sociale e politico aperto fra Ebrei e Arabi per il diritto alla terra e alla sovranità. Alla fine della guerra gli Ebrei europei sopravvissuti alla Shoah cercarono di raggiungere gli Ebrei di Palestina, aggiungendo ulteriore pressione. A questo punto gli Inglesi abbandonarono la Palestina, lasciando all’ONU la patata bollente. L’ONU decretò la spartizione di quella minuscola regione in due stati autonomi ma federati, uno per i Palestinesi Ebrei, uno per i Palestinesi Arabi. Gli Ebrei accettarono la spartizione, gli Arabi no, e iniziò una lunga catena di guerre, in cui Israele inaspettatamente riuscì sempre a vincere, o per lo meno a non essere sconfitto.
Durante la prima metà del ‘900 fra le popolazioni del Medio Oriente avvenne un cambiamento culturale: nel passaggio dall’Impero Ottomano al Mandato Inglese e Francese anche le tribù e le dinastie arabe acquisirono il concetto europeo di nazione, e iniziarono a ragionare in termini nazionalisti. Coloro che entrarono a far parte del nuovo stato di Siria, ad esempio, incominciarono a pensare che tutte le regioni che avevano fatto parte del distretto amministrativo ottomano chiamato Siria dovessero far parte del territorio nazionale siriano, e che perciò l’indipendenza di Libano, Giordania e Palestina (o Israele) fossero lesive dei diritti nazionali dei Siriani. Nella retorica nazionalista siriana erano (e sono) presenti elementi di nazionalismo pan- Arabo e pan-Islamico, ma nella sostanza i Siriani consideravano di aver diritto a estendere il proprio potere statale su tutti i territori della vecchia provincia o! ttomana di Siria.
Infatti i Siriani nel 1970 invasero il Libano per impossessarsene, e anche per sconfiggere e scacciare gli aderenti all’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) che si erano installati nel sud del Libano. Infatti nel 1948 i Giordani assunsero il controllo della Cisgiordania e lo mantennero fino al 1967, ma non si adoperarono né allora né mai per offrire l’indipendenza ai Palestinesi di Cisgiordania, ma al contrario contrastarono l’OLP, e nel settembre del 1970 (Settembre Nero) combatterono una guerra sanguinosa contro quest’ultima e Fatah, cacciando l’esercito guerrigliero fuori della Giordania, fino in Libano. Gli Hashemiti hanno sempre avvertito i Palestinesi come il maggior pericolo alla stabilità del loro regno, hanno sempre temuto di essere rovesciati da un colpo di stato di Palestinesi intenzionati a costruire un grande stato palestinese al di qua e al di là del Giordano.
Nel 1948 gli Egiziani assunsero il controllo di Gaza e lo mantennero fino al 1967, ma non si adoperarono neanche loro per dare l’indipendenza ai Palestinesi. Consideravano Gaza come una appendice del Sinai. La visione di Nasser era ancora più radicale: considerava la Palestina come parte della Repubblica Araba Unita, che effettivamente venne proclamata come federazione fra Siria e Egitto dal 1958 al 1961. Arafat assunse un ruolo chiave nella lotta dei Palestinesi contro Israele proprio in quanto sostenitore della visione nasseriana di un nazionalismo pan-arabo, che non contemplava uno stato palestinese indipendente nei confini tracciati dall’ONU, ma aspirava al rovesciamento delle monarchie Hashemite e Saudite per creare la grande Repubblica Araba Unita.
Siria, Giordania, Egitto, Arabia Saudita si opposero da sempre alla creazione dello Stato di Israele e tuttora vedrebbero con favore ancora oggi la cancellazione dello stato d’Israele, ma non per questo hanno voluto né vogliono la creazione di uno stato autonomo palestinese, che avvertono come una potenziale minaccia ai propri interessi statali e al proprio ruolo nella regione. La politica degli stati arabi del Medio Oriente dal 1948 in poi ha sempre mirato a mantenere viva e attiva l’ostilità dei Palestinesi contro Israele, senza mai metterli in condizioni di raggiungere davvero l’indipendenza.
Soltanto nel momento dell’accordo di pace fra Egitto e Israele prima e fra Giordania e Israele poi, l’Egitto ha rinunciato a rivendicazioni su Gaza, e la Giordania ha rinunciato a rivendicazioni sulla Cisgiordania e su Gerusalemme. I due hanno lasciato Palestinesi ed Israeliani a vedersela fra di loro, faccia a faccia.
Arafat è considerato il padre del nazionalismo palestinese. I nemici del nazionalismo palestinese non furono soltanto gli Israeliani, ma anche, di volta in volta, la Siria, la Giordania, l ‘Arabia Saudita e l’Egitto. Anche nel 2009 nessuno stato arabo si è seriamente opposto all’ operazione Piombo Fuso su Gaza. Nessuno è andato oltre affermazioni retoriche, neppure la Siria, che anzi si è adoperata perché gli Hezbollah nel sud del Libano non attaccassero Israele dal nord durante la guerra con Hamas a Gaza.
Quando si dice che il nazionalismo palestinese si è forgiato nella lotta, si intende non soltanto la lotta contro Israele, ma anche quella meno evidente e meno propagandata, ma non meno dolorosa, contro gli altri stati arabi. Si può ipotizzare che, se Israele cessasse di esistere, gli stati arabi vicini si opporrebbero attivamente alla creazione di uno stato indipendente palestinese. È interesse dei vicini mantenere Palestinesi e Israeliani in uno stato di guerra, che impedisce sia agli uni sia agli altri di diventare forti e di rappresentare un pericolo per l’egemonia locale cui gli altri stati aspirano.
È da notare che nessuno stato arabo ha mai esplicitamente dichiarato di sostenere il diritto dei Palestinesi ad un proprio stato: hanno sempre sostenuto il diritto dei Palestinesi arabi a non voler riconoscere la sovranità israeliana su terre arabe. Ora sono gli Iraniani a sostenere attivamente i Palestinesi fornendo armi, propaganda e denaro ad Hamas: questo rende gli Arabi ancora più timorosi di una possibile indipendenza palestinese sotto l’egemonia iraniana.
Passiamo ora ad esaminare come la geografia condiziona la cultura e le prospettive nazionali dei Palestinesi.
La Cisgiordania e Gaza sono separate fra di loro. Gaza è oggi una trappola, in cui i Palestinesi in fuga da Israele sono stati confinati dagli Egiziani, che non li hanno voluti in Egitto. La Cisgiordania è stretta fra due diversi concorrenti ostili: Israele e la Giordania. Sia la Cisgiordania che Gaza dipendono da Israele per il proprio sviluppo economico. Israele potrebbe fornire lavoro, tecnologia, apertura ai mercati, innovazione. Ma il conflitto impedisce la collaborazione che potrebbe mettere in moto l’economia palestinese.
Molti Palestinesi aspirano a distruggere Israele per ottenere l’indipendenza sull’intera regione, in modo da poter godere di autonomia economica oltre che politica. Ma da soli non riusciranno a distruggere Israele: occorrerebbe la piena collaborazione degli altri stati della regione, che, come abbiamo visto, non sono favorevoli alla creazione di uno stato autonomo palestinese, nonostante le tante espressioni di solidarietà puramente verbale. Né è facile immaginare una situazione diversa, che inverta i rapporti di forza al punto che i Palestinesi possano prevalere sugli Israeliani. L’unica possibilità di un totale sconvolgimento degli equilibri di forza regionali è quella, paventata ugualmente dagli stati arabi e dall’Occidente, di un attacco atomico dell’Iran a Israele in appoggio alla Siria, che si espanderebbe di nuovo a incorporare il Libano, e forse la Palestina e la Giordania, tornando ad essere la G! rande Siria d’epoca ottomana.
Inoltre per la loro posizione geografica e per la conformazione del territorio, la striscia di Gaza e la Cisgiordania dovranno seguire modelli di sviluppo diversi: la Cisgiordania è a vocazione agricola, Gaza è una grande città costiera, fittamente popolata, che potrebbe diventare un porto commerciale, dotato di industrie specialistiche. Se le due parti si unissero in un unico stato, ma senza pace e cooperazione con Israele, Gaza non potrebbe sviluppare un’economia sufficiente a garantire la vita della popolazione e dovrebbe continuare a vivere di assistenza internazionale, oppure mandare parte della propria popolazione in Cisgiordania, che probabilmente non saprebbe come ospitare e garantire un livello di vita decente a tante persone.
In breve, lo sviluppo economico dei Palestinesi dipende dalla collaborazione e dalla integrazione economica con Israele. Ma per ottenerla i Palestinesi dovrebbero rinunciare all’indipendenza politica e all’unità territoriale cui aspirano.
#8Alberto Pi
CONOSCERE I FATTI
FATTI CHE NON SI POSSONO NEGARE E SI DEBBONO TENERE PRESENTI
1) Si dice che i Palestinesi lottano per “riavere” la loro terra, occupata dagli Israeliani.
Invece:
– il territorio della Palestina è stato per secoli (fin dalle Crociate) sotto l’Impero Ottomano (turco);
– nessuno mai, per secoli, dalla dominazione romana in poi, ha stabilito un regno od una nazione in quella zona;
– Gerusalemme non è mai stata capitale per nessuno tranne che per il popolo ebraico;
– dopo la 1a Guerra Mondiale, vinto e dissolto l’Impero Ottomano, il territorio della Palestina è passato
su disposizione della Società delle Nazioni – sotto il Mandato inglese;
– alla fine del Mandato inglese, il 29 novembre 1947 (Risoluz. N.181) venne proposta dall’ONU la creazione di due stati: uno arabo ed uno ebraico (133 voti a favore, fra cui quello dell’URSS, e 13 contrari).
Gli ebrei accettarono e, il 14 maggio 1948, dichiararono la fondazione del loro Stato: Gli arabi rifiutarono e, il 15 maggio 1948, sferrarono con 5 eserciti (Egiziano, Siriano, Libanese, Transgiordano ed Irakeno) il primo attacco concentrico;
– l’11 maggio 1949, con la Risoluzione n.273, lo Stato d’Israele veniva ammesso all’ONU.
2) I terreni appartenevano a ricchi latifondisti (sceicchi, emiri) e venivano lavorati da pochi contadini,
quasi servi della gleba: Erano terreni deserti e malarici:
– gli ebrei comprarono la terra dai latifondisti arabi a prezzi esosi (anche a 1.000,00 – 1.500,00 $ per acro)allorché, nello stesso periodo, la ricca terra dello Iowa (USA) veniva venduta a circa 110,00 $ per acro (M.Auman – Land ownership in Palestine – 1880/1948). L’hanno bonificata e l’hanno poi avuta sotto il loro controllo a seguito delle molte sanguinose guerre di autodifesa;
– nessun paese, che si sappia, ha mai restituito territori acquisiti in guerra: Israele ha restituito il Sinai nel 1982 ed il Sud-Libano nel 2000.
3) Si crede che gli Israeliani abbiano compiuto, in questo secolo, un’invasione.
Invece:
– la popolazione totale era, 150 anni fa, nell’ordine di circa 200.000 abitanti: oggi ammonta a circa 10.000.000 (quasi 7 milioni in Israele e circa 3 milioni nei Territori).
– gli ebrei erano presenti nella Giudea (poi Palestina) già 2.400 anni prima che l’Islam la occupasse. Comunque vi sono stati degli ebrei sempre, senza interruzione (27 sinagoghe nella sola Gerusalemme Vecchia);
– i palestinesi, come popolo, sono nati in questo secolo: erano arabi provenienti dai paesi limitrofi (soprattutto Giordania), venuti in massa in Palestina sotto il Mandato inglese in cerca di una vita migliore dato lo sviluppo che l’immigrazione ebrauca dava a quel territorio: gran parte di loro furono cacciati e uccisi a migliaia dal governo giordano nel “settembre nero” del 1970.
4) Aggressione?
– Israele ha sempre agito ed agisce per legittima difesa: non solo nella guerra cominciata già all’indomani della fondazione dello Stato, ma anche sempre successivamente, fino ad oggi. Nessun attacco è mai venuto da Israele, mentre si accettano come normali quelli terroristici commessi per anni dagli arabi come hanno documentato le cronache e la TV.
5) Accordo.
– finché Israele non ha occupato i territori, e cioè dal 1948 al 1967, gli arabi li hanno avuti nelle loro mani: avrebbero potuto creare lo Stato palestinese ma non l’hanno fatto. Arafat ed i suoi hanno anche recentemente rifiutato di averlo accanto a quello d’Israele, dimostrando così di avere l’intenzione di non contentarsi mai di quanto loro offerto (oltre il 98%), né di accettare un compromesso su Gerusalemme; di volere perciò (come da sempre) “ricacciare in mare l’invasore”.
6) Interessi religiosi.
– si può osservare che i palestinesi – come tutti i mussulmani – vanno in pellegrinaggio alla Mecca e pregano rivolti verso la Mecca; gli ebrei, da sempre, verso Gerusalemme;
– le due moschee furono – non per caso – edificate sulle rovine del Tempio di Salomone. Non si può sostenere che la “spianata” sia di prima ed unica sacralità per gli arabi come lo è per gli ebrei. Comunque, nello Stato d’Israele e nei territori sotto controllo israeliano c’è piena libertà di culto, libertà che mancò totalmente per gli ebrei quando Gerusalemme era sotto il dominio giordano (accesso al Luoghi Santi impedito, cimiteri profanati e distrutti).
7) Profughi.
– Israele ha accolto i profughi cacciati dai paesi arabi, in numero anche superiore (800.000) a quello dei palestinesi incitati dalle autorità dei paesi arabi a fuggire dal neonato Stato d’Israele al momento della sua fondazione (1948) cioè circa 600.000 (v.rapporto UNRWA – Agenzia dell’ONU per i Rifugiati) contro i circa 4.000.000 di cui oggi si chiede il ritorno;
– Israele ha inserito i suoi profughi ebrei, e perfino quegli arabi-palestinesi che non fuggirono nel 1948 (che hanno i loro seggi nel Parlamento) mentre gli Stati arabi ed Arafat hanno costretto i profughi palestinesi nei campi e li hanno abbandonati a sé stessi, usandoli a scopo politico per il conflitto, rendendoli frustrati ed aggressivi e sperperando e dirottando ad altri scopi i miliardi (!) di $ erogati dall’UNRWA e da alcuni Stati arabi.
8) Oppressione.
– i palestinesi dei Territori hanno avuto da Israele strade, elettricità ed altre infrastruttire, nonché assistenza sanitaria e sei università.
9) La pace.
– a Camp David si è arrivati ad un passo dalla pace, ma la risposta palestinese è stata, di nuovo, il rifiuto ed il ricorso alla violenza, proponendo – tra l’altro – immagini false di bambini oppressi, che venivano invece cinicamente utilizzati come riparo davanti ad adulti armati.
10) Odio.
– soprattutto occorre che i palestinesi pongano fine all’insegnamento dell’odio fin dalle scuole elementari. Esistono documenti sul carattere orribile di quello che si insegna.
11) Negoziati.
– anche per gli insediamenti, Israele ha dimostrato di essere disposto a negoziare, purché in un clima di compromesso e non di violenza. Israele oggi chiede di riprendere e completare gli accordi a suo tempo raggiunti per porre fine alla violenza che non può dare risultati positivi per nessuna delle due parti.
#9Fabrizio
la cecità dettata dalla non conoscenza voluta, ricercata, perseverata, porta a questi aborti di comunicazione, dove si comprende solo la Vostra goffa, a dir poco, intenzione di plasmare la realtà a vostro univoco modo di vedere le cose. Più che sito di informazione mi pare una forma di propaganda nazional socialista delle peggiori destre criminali, celate dal buonismo e vittimismo perenne, acritico e bieco. Vi consiglio la lettura di “la guerra che non si può vincere” di David Grossman Ediz. Mondadori
cordialmente
#10Emanuel Baroz
Una critica del genere, che non entra minimamente nello specifico dell’argomento ma che si limita a spargere accuse a destra e a manca, non fa che ricordarci ancora una volta quanto sia utile un sito come il nostro
#11Emanuel Baroz
grazie del consiglio. Lo leggeremo. Ma ciò non toglie che quanto contenuto in questo articolo sia pura verità
#12Francesco
Voi parlate di terre poco coltivate e di piccoli gruppi arabi che vivevano quella terra da secoli…anche nelle altre parti del mondo agli inizi del 900 la situazioen era questa…ed ora sono regioni densamente popolate e sviluppate…non è che se una regione nel 1900 non era economicamente sviluppata vuol dire che le persone che ci vivevano non avevano diritti su quella terra o non hanno il diritto di difenderla…o sbaglio??
senza fare nessuna polemica , la mia è solo un’osservazione che mi è venuta leggendo
Grazie
#13Emanuel Baroz
il problema è che quelle terre oltre ad essere poco coltivate non erano abitate, almeno per la maggior parte, e quindi la tesi che va per la maggiore, e cioè quella secondo la quale gli arabi abitavano già quelle terre, non ha basi storiche. La realtà è che agli inizi del ‘900 quella regione era per la maggior parte disabitata, salvo alcuni villaggi arabi ed alcuni insediamenti di ebrei in città come Gerusalemme o Zfat (Safed)
#14Francesco
Lasciando stare le basi storiche, hanno basi demografiche, a livello proprio di censiemento…ero più questa la mia domanda. cmq grazie per la risposta
#15Bruno
Io avrei maturato la convinzione che tutto ciò che riguarda la storia d’Israele
è costruito su base religiosa.Se è giusto o meno che la riconquista produca delle aberrazioni di carattere etico,o generi violenza è discutibile.
Quello che è giusto chiedersi è se gli ebrei stiano agendo in maniera giusta.
Quello che mi chiedo ancora è se ciò che viene definito da essi stessi antisemitismo,è una maschera,una costruzione,oppure risponda a dei fatti reali.
#16Emanuel Baroz
Non credo che l’antisemitismo si possa definire una maschera…..esiste ed è ben presente in molte teste ancora oggi, purtroppo. Io credo invece che lo Stato di Israele sia nato perchè fosse giusto che gli abitanti di quelle regioni, prevalentemente ebrei, che avevano sempre vissuto lì anche quando non c’era nessun altro, avessero un proprio stato. Il problema è che da quando esiste uno stato ebraico l’odio antisemita ha trovato nuova linfa per sfogare le proprie frustrazioni
#17Sergio
Non è con questi tassi di approssimazione storica che si combatte il fanatismo. In quanto alla mancanza di qualsivoglia accenno al problema dei coloni, la cosa si commenta da sé. Peccato, davvero, perché la chiarezza e l’onestà sarebbero veramente d’aiuto E perché se si pensa di poter andare avanti così, muro contro muro, le più elementari cognizioni storico-demografiche possono dirci come andrà a finire.
#18Emanuel Baroz
approssimazione storica?! La nostra?! Hahaha!!!
#19Shalom-Pace
@ Am Israel Hai
ma la terra araba della Palesrtina già esistente ancora prima della nascita di gesù,era degli inglesi e francesi?? L’hanno occupata senza il consenso della popolazione locale.La decisione di cedere una quota ad Israele,doveva spettare agli arabi,non agli anglo.francesi.
Presuppongo che lei sia israeliano,quindi dovrebbe conoscere l’Antico Testamento,libro sacro degli ebrei,scritto dai loro saggi sacerdoti.
E dove stà scritto che la Palestina è sempre stata terra di Israele?
se la memoria non mi inganna,furono le tribù di israele ad impossessarsi di una terra non loro ancora 3 millenni fa,scacciando le popolazioni locali.
#20Emanuel Baroz
@Shalom-Pace: possiamo risalire anche ad Giacobbe se vuoi….che viveva in quella che oggi è Israele. il punto è che nessun popolo come quello ebraico ha il diritto di vivere in quelle terre, proprio perchè ha storicamente sempre vissuto lì. Quelli che oggi vengono chiamati palestinesi fino al 1967 non sapevano neanche cosa fosse la Palestina!
#21DAVID
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=vdNKohTbuWw
#22nora
cioè: gli ebrei possono tornare in israele, ma i palestinesi non possono tornare in palestina? due pesi e due misure. ovvio.
#23Emanuel Baroz
i palestinesi?! E chi sarebbero i palestinesi?! Fino al 1964 i palestinesi erano gli ebrei che vivevano (per l’appunto) in Palestina, sotto il domiino romano, ottomano e inglese
#24Parvus
Eccellenti le domande. Le risposte no.
Dato che non occorre convincere noi stessi, automaticamente esse si rivolgono ai nemici di Israele. Gente che ha imparato a memoria qualche dozzina di slogans per fingere di essere in grado di condurre una conversazione. Brevi e secche risposte sarebbero forse in grado di comprenderle: ma se si risponde con lunghi discorsi, non arriverà nessuno di loro alla fine della prima risposta.
#25Jessica
http://www.youtube.com/watch?v=SblB2O7AfP4 Dopo guardare questo video ti prego di avere il coraggio di rispondermi con così tanta convinzione con la quale hai affermato tutte le ciò che hai scritto qui sopra.
#26barbara
@Jessica: OOOOOHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Il nostro Vittorino dolce! Quello che invocava i cani lupo (cani lupo: ricorda qualcosa?) nei confronti degli israeliani. Quello che chiamava gli ebrei ratti di fogna. Quello che a una figlia di sopravvissuti alla Shoah ha detto in faccia: “Mi dispiace che non abbiano gassato i tuoi genitori”. Quello che ha dedicato la sua vita intera al sostegno di terroristi assassini dalle mani grondanti di sangue. Quello – non a caso – glorificato dopo morto dai nazisti di Forza Nuova. Davvero c’è qualcuno che riesce a guardare la sua faccia e a leggere o ascoltare le sue parole senza vomitare? E che magari, dopo averlo guardato e letto e ascoltato senza vomitare, ritenga anche di essere “umano”?
#27nicola
MA CHI E’ QUESTO SIGNORE CHE SCRIVE???
DI TUTTE LE ASSURDITA’ CHE HA DETTO E DALLLA FALSIFICAZIONE DELLA REALTA’ RISULTA DALLA SUA MENTE LUCIDA E OCULATA CHE SOLO GLI EBREI SIANO I BUONI E GLI ARABI I CATTIVI.
MA LA SMETTA E SI VADA AD INFORMARE,ANZI LEI E’ INFORMATO CORRETTAMENTE,CONOSCE I FATTI,MA LI NASCONDE E FA PROPAGANDA.
VERGOGNA!!!!
#28Emanuel Baroz
ma si vergogni lei che viene qui ad insultare senza neanche prendersi la briga di argomentare le sue tesi!
#29ted
Questo mondo occidentale ANTISEMITA va sradicato dalle fondamenta!!! Altro che ignoranza…
IL SUO NOME è – INEQUIVOCABILMENTEEEEEE… – ANTISEMITISMOOOOOO!!!!!…
Ps: nota x i detrattori, gli scettici e gli antisemiti… NON soffro di mania di persecuzione… sono cattolico apostolico romano!!!