Samir Kuntar: uno spietato infanticida mai pentito

 
admin
17 luglio 2008
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Oggi esce di galera, col ricatto, uno spietato infanticida mai pentito

Per quasi trent’anni non era stata autorizzata la pubblicazione del contenuto completo del dossier Samir Kuntar (File No. 578/79) depositato negli archivi del tribunale di Haifa. Ora, alla vigilia della prevista scarcerazione di Kuntar, accogliendo la richiesta del quotidiano israeliano Yediot Aharonot il tribunale ha autorizzato la visione della deposizione di Kuntar, delle numerose prove, di altre testimonianze e del testo completo dell’atto di incriminazione e della sentenza. Finora questo materiale era coperto da segreto e nelle poche occasioni in cui era uscito dagli archivi, era stato accompagnato da una scorta armata. Lunedì scorso il giudice Ron Shapira ha autorizzato la pubblicazione di tutto il contenuto del dossier, ad eccezione della testimonianza di una sola persona. Il giudice ha anche chiesto di non pubblicare i referti anatomopatologici né altri dettagli che possano ledere la memoria delle vittime. “Non vedo ragione di limitare l’accesso all’atto di incriminazione e al verdetto – ha spiegato il giudice, respingendo la richiesta del pubblico ministero – E’ fuor di dubbio che la questione della scarcerazione di Kuntar, e dunque anche le circostanze della sua detenzione, sono argomenti di profondo interesse pubblico. Pertanto sono convinto che la richiesta del quotidiano sia giustificata”.

Samir Kuntar, druso libanese, aveva 17 anni quando guidò un commando terroristico del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Da allora non ha mai espresso alcun rimorso per aver ucciso Einat Haran (4 anni), il padre Danny Haran (32 anni) e l’agente di polizia Eliyahu Shahar (24 anni). Kuntar e Ahmed Assad Abras, l’altro membro del commando sopravvissuto all’attentato, vennero condannati a cinque ergastoli più 47 anni di carcere. Durante l’attentato, che avvenne a Nahariya il 22 aprile 1979, morì anche Yael Haran (2 anni) mentre si nascondeva con la madre Smadar per sfuggire ai terroristi.

Salvo ritardi dell’ultimo momento nell’applicazione del recente accordo di scambio con Hezbollah, mercoledì mattina Kuntar saluterà i suoi compagni della cella 33, ala 3, del carcere di Hadarim, verrà trasportato al valico di frontiera di Rosh Hanikra fra Israele e Libano e potrà festeggiare il suo 46esimo compleanno a casa sua, nel villaggio di Aabey, vicino all’aeroporto di Beirut.

La notte del 22 aprile 1979 Kuntar e i suoi complici partirono dal Libano su un gommone e sbarcarono sulla spiaggia di Nahariya. Qui spararono a un’auto di pattuglia della polizia uccidendo l’agente Eliyahu Shahar. Proseguendo, fecero irruzione nel vicino appartamento della famiglia Haran, al 61 di Via Jabotinsky, e trascinarono sulla spiaggia Danny e la figlia Einat di 4 anni. Smadar e l’altra figlia, Yael, di 2 anni, si nascosero acquattandosi in un soppalco dove Yael morì inavvertitamente soffocata dalla madre che cercava disperatamente di impedirle di gridare per non essere scoperte dai terroristi. Intanto sulla spiaggia, mentre si svolgeva uno scontro a fuoco con le sopraggiunte forze di sicurezza, Kuntar sparava a bruciapelo nella schiena a Danny e uccideva anche la figlia Einat.

Nell’azione morirono anche due terroristi, mentre Kuntar e Abras venivano arrestati e processati.

Immediatamente dopo l’arresto, all’udienza per la conferma del suo stato di detenzione, Kuntar ammise d’aver ucciso la piccola Einat colpendola ripetutamente sulla testa col calcio della sua arma. Successivamente, invece, durante la deposizione davanti alla Corte, Kuntar ritrattò la confessione. “Arrivai sulla spiaggia di Nahariya alle 2.30 del mattino – dichiarò il 6 gennaio 1980 – Legammo la nostra imbarcazione alle rocce. Avevamo istruzione di non aprire il fuoco, prendere degli ostaggi e portarli con noi in Libano. Io ero al comando della cellula. Avevo deciso di bussare alla porta di una delle case. Majeed ed io camminammo verso l’edificio. Gli dissi di suonare il campanello ma di non parlare perché avevo deciso di parlare in inglese con quelli che ci abitavano. Quando arrivammo, Majeed suonò a uno degli appartamenti e parlò in arabo alla donna, e quella risposte in ebraico. Fu un errore e la donna non aprì la porta. In quel momento sentii il suono di un’auto che si avvicinava e si fermava… Feci fuoco e poi entrammo in uno degli appartamenti da dove tirammo fuori un uomo e la sua ragazzina per portarli via con noi. Decisi che avremmo dovuto portare con noi anche la ragazzina per garantirci di restare vivi, per poi restituirli dal Libano attraverso la Croce Rossa. Mentre eravamo con loro ci furono degli spari verso di noi… Esplosi alcune raffiche verso quella gente con il mio Kalashnikov e colpii uno di loro che cadde a terra. Quando vidi che il gommone era stato colpito… cercammo di ritirarci via terra e sfuggire al fuoco verso di noi… I soldati lanciarono un attacco contro di noi… Volevo trovare un modo per dir loro di smettere di spararci perché l’unico nostro obiettivo era portare in Libano gli ostaggi. Ma non avevo un megafono… Fui colpito da cinque proiettili”.

Kuntar proseguì la deposizione al processo sostenendo che Danny Haran sarebbe stato colpito dagli stessi soldati israeliani durante lo scontro a fuoco. “Io – aggiunse – perdevo molto sangue e svenni. Non so cos’altro sia accaduto fino quando mi sono svegliato e mi sono ritrovato nelle mani dei soldati. Non ho fatto nulla alla ragazzina e non ho visto come sia morta”.

Tra le varie testimonianze dell’accusa, il testimone n. 4 ha invece raccontato alla Corte d’aver visto molto bene Danny Haran in piedi che gridava “Non sparate, c’è qui la mia bambina” e subito dopo Kuntar che gli sparava nella schiena. Al processo ha testimoniato anche il medico legale che ha accertato che la morte di Einat è stata direttamente causata da colpi inferti con un oggetto smussato come un bastone o il calcio di un fucile.

Le udienze in tribunale furono quasi insopportabili per la madre, Smadar Haran, unica sopravvissuta della famiglia. Durante una delle sedute, mentre la difesa di Kuntar cercava di sostenere che il suo assistito era stato maltrattato in carcere, Smadar mormorò qualcosa all’indirizzo dei due imputati obbligando la Corte a chiederle di scusarsi. Smadar decise di abbandonare l’aula del tribunale, ma si rifiutò di porgere le sue scuse.

Il giorno della lettura della sentenza Smadar Haran sedeva con il capo chino, piegata dal dolore. La madre dell’agente ammazzato Eliyahu Shahar, che non aveva perso neanche una udienza, non era invece presente: il suo cuore aveva ceduto quattro giorni prima. Kuntar, stando al resoconto pubblicato allora da Yediot Aharonot, sembrava quasi divertito.

“Samir Kuntar – scrissero i giudici nella sentenza, sulla base di molte prove e testimonianze – si avvicinò a Einat Haran e la colpì due volte sulla testa con il calcio del suo fucile, con l’intenzione di ucciderla. Anche l’altro imputato le colpì la testa con forza. A causa dei colpi, Einat subì fratture al cranio e danni fatali al cervello, che ne provocarono la morte. Costoro assassinarono a sangue freddo gli ostaggi, una padre indifeso e la sua piccola figlia”. E aggiunsero: “Con questi atti, gli imputati hanno toccato bassezze morali senza precedenti… un gesto senza eguali di diabolica malvagità … la pena che intendiamo infliggere non corrisponde neanche lontanamente alla brutalità delle loro azioni…”.

Successivamente il governo israeliano stabilì che la scarcerazione di Kuntar, nel frattempo diplomatosi in scienze sociali durante la detenzione in Israele, sarebbe stata usata come moneta di scambio nell’affare Ron Arad (l’aviatore israeliano caduto vivo nella mani di terroristi jihadisti libanesi nel 1986, “venduto” da un’organizzazione terroristica all’altra, e del quale da tempo non si sa più nulla). Quattro anni fa, durante le trattative per ottenere la restituzione del faccendiere Elhanan Tannenbaum, sequestrato da Hezbollah, e delle spoglie di tre soldati israeliani catturati e uccisi da Hezbollah al Monte Dov nel 2000 (sotto gli occhi dei soldati Onu), Israele accettò di scarcerare Kuntar in cambio di informazioni precise sulla sorte di Ron Arad. Non avendo ricevuto nessuna informazione, Kuntar restò in carcere.

Due settimane fa, Smadar Haran ha tenuto una conferenza stampa nella quale ha detto che non si oppone allo scambio con Hezbollah per la restituzione degli ostaggi Eldad Regev e Ehud Goldwasser (sequestrati nel luglio 2006 in territorio israeliano) e per informazioni su Ron Arad.

Ora, in ottemperanza dell’accordo (o meglio,del ricatto) accettato, Israele si appresta a rimettere in libertà l’assassino e infanticida Samir Kunter senza neanche sapere se Regev e Goldwasser siano vivi o morti, e senza aver avuto nessuna vera informazione sulla sorte di Ron Arad.

Scrive il Jerusalem Post: In Libano fervono i preparativi per celebrare il ritorno di Samir Kuntar, condannato a più ergastoli in Israele per aver commesso uno dei più atroci attentati terroristici nella storia del paese. La sua scarcerazione è prevista per mercoledì mattina, in cambio degli ostaggi Ehud Goldwasser ed Eldad Regev, sequestrati da Hezbollah su suolo israeliano il 12 luglio 2006. La popolazione e il governo libanese e tutti gli altri nel mondo arabo, compresi molti palestinesi, che sono così felici per la scarcerazione di Kuntar farebbero meglio a domandarsi se un tale mostro meriti tanta glorificazione. È questo il tipo di uomo che eleggono a loro idolo? Se è così, questo non ci dice forse qualcosa su chi festeggia? Kuntar non ha mai espresso il minimo rimorso. Anzi, stando al quotidiano dell’Autorità Palestinese al-Hayat al-Jadida, pochi mesi fa ha scritto una lettera a Nasrallah in cui giura solennemente di non aver alcuna intenzione abbandonare la jihad contro Israele. Per inciso, il giornale palestinese accompagna il testo della lettera con un articolo in cui Kuntar viene definito “un raggio di luce” e un “autentico modello di comportamento”. Forse Kuntar e i suoi fan dovrebbero leggere l’agghiacciante racconto di Smadar Haran Kaiser (oggi risposata e con due bambini): “Non dimenticherò mai la gioia e l’odio nelle voci degli uomini di Kuntar mentre si aggiravano per la casa dandoci la caccia, sparando coi mitra e gettando granate – scrisse in un articolo sul Washington Post – Se sottolineo la gioia e l’odio nelle loro voci è per un motivo: per chiunque abbia una sensibilità normale è difficile comprendere come qualcuno possa provare gioia e odio mentre sfonda la testa di una bambina di quattro anni. Che genere di patologia può portare una società intera a celebrare tanta malvagità?”

(Da: Nir Gontarz su MFA Newsletter, Jerusalem Post, www.israele.net, 14.07.08 )

Nella foto in alto: Tra le prove a carico, nel dossier Samir Kuntar, le tracce di tessuto cerebrale della piccola Einat trovate dagli anatomopatologi israeliani sul calcio del Kalashnikov del terrorista

Israele.net

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