Come si diffondono “testimonianze” infondate
Le accuse mosse di recente a soldati israeliani d’aver deliberatamente sparato e ucciso civili palestinesi durante la controffensiva anti-Hamas dello scorso gennaio nella striscia di Gaza sono risultate totalmente infondate ad un inchiesta interna immediatamente condotta dalle forze armate, e ormai quasi completata. Lo ha anticipato mercoledì al Jerusalem Post una fonte interna delle Forze di Difesa israeliane.
Gli investigatori hanno esaminato le accuse mosse da giovani ex-allievi del corso pre-militare “Rabin” durante una sessione di gruppo tenuta in febbraio, poi trascritte e pubblicate su un bollettino interno dell’accademia.Le presunte “testimonianze” sono state successivamente riprese e rilanciate, come fossero già comprovate, da una parte della stampa israeliana e per poi finire sulle prime pagine dei mass-media di tutto il mondo.
Durante la sessione di gruppo tenuta all’accademia, un soldato in particolare aveva accusato un tiratore scelto d’aver aperto il fuoco contro una madre palestinese e i suoi due bambini nella piena consapevolezza che si trattava di civili, dopo che il comandante dell’unità aveva detto loro di dirigersi verso una zona off-limits.
“Tutti i soldati che hanno partecipato a quella sessione di gruppo sono stati sentiti – spiega la fonte militare – non per punizione, ma per capire se avessero assistito personalmente ai fatti che riferivano. Da tutte le testimonianze che abbiamo raccolto possiamo concludere con certezza che nessuno dei soldati che hanno mosso le accuse ha assistito di persona ai fatti che ha poi raccontato. Era tutto fondato su voci e sentito dire. Ad esempio, nel caso dei supposti spari contro la madre coi bambini, ciò che è realmente accaduto è che un tiratore scelto ha sparato dei colpi d’avvertimento per avvertirla che stavano entrando nella zona off-limits. Lo sparo non era nemmeno rivolto nella loro direzione. A quel punto il comandante della squadra è corso su per le scale dell’edificio palestinese, ha raggiunto il tetto e ha chiesto al tiratore perché diavolo sparasse ai civili. Il tiratore ha risposto di non aver sparato su civili, ma i soldati al primo piano dell’edificio hanno sentito solo la domanda gridata dal comandante. Da lì ha preso il via la diceria, che poi si è andata spargendo. Possiamo affermare con la massima certezza – continua la fonte – che il tiratore non sparò contro la donna e i suoi figli. Più tardi, il comandante della compagnia ha parlato con il tiratore e con il suo superiore. Dunque sappiamo per certo che quel ‘crimine’ semplicemente non è mai avvenuto”.
Falsa anche una seconda accusa di spari contro civili, anche se in questa fase non è ancora possibile divulgarne tutti i dettagli. “Stiamo indagando tutte le denunce – sottolinea la fonte – per verificare se si tratta di incidenti che hanno effettivamente avuto luogo, e trarre le necessarie conclusioni. Purtroppo, pur di accaparrarsi una specie di scoop, certi organi di stampa hanno ripreso e rilanciato queste storie (senza alcuna verifica). È disdicevole che dei mass-media si facciano portavoce in tutto il mondo di questo genere di deformazioni”.
Il danno all’immagine d’Israele causato dalle accuse, aggiunge l’ufficiale, difficilmente potrà essere riparato, indipendentemente dai risultati delle indagini. “E’ disdicevole che dei mass-media si lascino usare in questo modo per diffondere le manipolazioni della propaganda palestinese. Basterebbe ricordare l’accusa a Israele d’aver ucciso 48 civili in una scuola Onu di Gaza: in realtà morirono sette persone, di cui quattro erano terroristi armati, ed erano tutte all’esterno dell’edificio scolastico. Anche l’Onu ha ritirato l’accusa e si è scusato, ma ormai il danno è fatto e rimane”.
(Da: Jerusalem Post, 25.03.09)