“Fatah non ha mai riconosciuto Israele”
di Khaled Abu Toameh
Fatah non ha mai riconosciuto il diritto di Israele ad esistere e non ha alcuna intenzione di farlo. Lo ha affermato mercoledì un veterano leader dell’organizzazione palestinese sostenuta dall’occidente come “moderata”. Rafik Natsheh, membro del Comitato Centrale di Fatah nonché presidente della “corte” disciplinare dell’organizzazione, è il secondo alto esponente dei “moderati” palestinesi che si è espresso di recente in questo senso circa Israele. Natsheh, che è stato ministro del governo dell’Autorità Palestinese, per un breve periodo ha anche ricoperto la carica di presidente del Consiglio Legislativo (parlamento) palestinese.
Alcuni mesi fa anche Muhammad Dahlan, un altro personaggio di assoluto rilievo in Fatah, aveva affermato che Fatah non ha mai riconosciuto il diritto di Israele ad esistere nonostante il fatto che Fatah sia la maggiore fazione dell’Olp, l’organizzazione che ha firmato con Israele gli Accordi di Oslo. Le dichiarazioni di Natsheh giungono a pochi giorni dalla riunione dell’Assemblea Generale del movimento, prevista per il 4 agosto a Betlemme (nella Cisgiordania sotto giurisdizione dell’Autorità Palestinese).
L’Assemblea, che si riunisce per la prima volta dopo vent’anni, dovrebbe riunire circa 1.500 delegati di Fatah per discutere come riformare il movimento e indire elezioni interne. Uno dei temi all’ordine del giorno è se Fatah debba formalmente abbandonare la “lotta armata” e riconoscere il diritto di Israele ad esistere.
“Fatah non riconosce il diritto di esistere di Israele – ha affermato Natsheh in un’intervista su Al-Quds Al-Arabi – né abbiamo mai chiesto a nessun altro di farlo”. Natsheh reagiva con queste parole a notizie di stampa secondo cui Fatah avrebbe chiesto a Hamas di riconoscere Israele come precondizione per costituire un governo di unità nazionale palestinese. “Tutte le voci circa un riconoscimento di Israele sono false – ha dichiarato Natsheh, considerato molto vicino al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) – Sono tutte sciocchezze dei mass-media. Noi non chiediamo alle altre fazioni [palestinesi] di riconoscere Israele perché noi stessi di Fatah non abbiamo mai riconosciuto Israele”.
Ad una domanda circa la proposta di abrogare i riferimenti alla “lotta armata” dalla Carta di Fatah, Natsheh ha risposto: “Che tutti i collaborazionisti [con Israele] e coloro che si fanno delle illusioni ascoltino bene: ciò non accadrà mai. Ci vedremo al congresso [a Betlemme]”. Natsheh ha ribadito che né Fatah né i palestinesi rinunceranno mai alla “lotta armata” contro Israele “indipendentemente da quanto a lungo durerà l’occupazione”, aggiungendo che Fatah, nella imminente Assemblea Generale, ribadirà la propria adesione all’opzione di perseguire “tutte le forme” di lotta armata contro Israele.
Un altro importante esponente di Fatah, Azzam al-Ahmed, conferma che, durante il congresso, il movimento intende rinnovare l’impegno a perseguire la lotta armata contro Israele. “Il congresso di Fatah non cancellerà l’opzione della ‘resistenza’ – spiega al-Ahmed – Sin dalla firma degli Accordi di Oslo e dalla nascita dell’Autorità Palestinese, Fatah è stata oggetto di un complotto inteso a liquidarla. L’eliminazione di Fatah significherebbe la fine dell’era rivoluzionaria iniziata nel 1965”, anno di nascita del movimento. Secondo al-Ahmed, più di quarant’anni dopo, la principale strategia e i principali obiettivi di Fatah restano invariati.
La decisione di riunire l’Assemblea a Betlemme ha innescato una crisi interna a Fatah. Molti membri che vivono in paesi arabi hanno contestato la decisione di Abu Mazen, definendo inconcepibile tenere il congresso “sotto occupazione israeliana”. Di qui la richiesta di tenere la conferenza in un paese arabo per evitare una situazione in cui Israele possa impedire ad alcuni delegati di raggiungere Betlemme. Ma intanto cresce in Fatah la preoccupazione che, in realtà, sia Hamas quella che potrebbe impedire a centinaia di attivisti di Fatah di uscire dalla striscia di Gaza per partecipare al congresso. Alti esponenti di Fatah hanno detto che la conferenza verrebbe annullata se Hamas impedisse ai membri di Fatah di allontanarsi da Gaza. “Abbiamo messo in chiaro con egiziani e siriani – dice al Jerusalem Post uno di questi esponenti da Ramallah – che il congresso non si terrà senza i membri di Fatah della striscia di Gaza”.
(Da: Jerusalem Post, 23.07.09)
Nella foto in alto: Propaganda pro-Fatah su un muro nel campo palestinese di Kalandia (Cisgiordania): la mappa che rappresenta le rivendicazioni territoriali del revanscismo palestinese prevede costantemente la cancellazione dello stato di Israele.
#1Emanuel Baroz
MO – L’Autorità nazionale palestinese: “Il riconoscimento di Israele non è affar nostro”
Tel Aviv, 14 ago – Il premier dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Salam Fayyad, in un’intervista pubblicata oggi dal giornale israeliano Haaretz ha dichiarato che l’Anp ritiene che non sia affar suo riconoscere formalmente a Israele la natura di Stato ebraico – come l’attuale premier israeliano Benyamin Netanyahu chiede – e che stia semmai a Israele stesso definire i propri caratteri. “La natura di Israele è affare di Israele e di nessun altro”, ha tagliato corto al riguardo Fayyad, deplorando che Netanyahu voglia inserire una precondizione ulteriore al negoziato, non prevista – ha detto – da alcuno degli accordi preliminari sottoscritti negli anni dalle parti. “Perché
pretendere di risolvere ora questo aspetto (il riconoscimento di Israele come Stato ebraico) quando nessun altro aspetto è stato risolto?”, si è chiesto Fayyad, un tecnocrate apartitico, ex-funzionario della Banca Mondiale, impegnato a dar credito difronte a Usa e Ue al governo dell’Anp.
Analoghi concetti erano stati espressi nel recente passato dal presidente palestinese, Abu Mazen (Mahmud Abbas). La questione della natura ebraica dello Stato di Israele – di cui l’Anp riconosce da tempo il pieno diritto all’esistenza, nell’ambito della formula dei ‘due Stati per due popoli’ – è stata sollevata da Netanyahu come risposta al timore di un possibile ribaltamento demografico. E come una sorta di assicurazione contro le invocazioni al diritto al ritorno dei profughi palestinesi (e loro discendenti) fuggiti dall’odierno territorio d’Israele durante la guerra del 1948.