PALESTINA SEGRETA
Aids o veleno? La morte di Arafat divide ancora
di Dimitri Buffa
Come morì veramente Arafat? Di Aids come si sono fatti sfuggire alcuni medici dell’ospedale francese in cui spirò nel novembre del 2004? O di veleno israeliano come si è sempre voluto far credere alle popolazioni di Gaza e della West Bank? Oppure a causa di un complotto in cui insieme a Israele giocò di sponda lo stesso Abu Mazen, come ha raccontato al Jazeera qualche giorno fa in una trasmissione di approfondimento, “Uara al akbar”,cioè “dietro la notizia”, cosa che è costata all’emittente la immediata chiusura della propria redazione a Ramallah? A oggi l’ipotesi più accreditata rimane la prima. In una biografia del leader palestinese uscita nel 2002, lo storico Ephraim Karsh aveva descritto fin nei particolari le abitudini sessuali del rais, con descrizioni accurate di quello che avveniva di notte nell’albergo in Romania, dove Arafat e i suoi fedayin venivano addestrati al terrorismo all’epoca non ancora islamico. Tra una giornata di esercitazione e l’altra, c’erano di mezzo le notti, che le fotocellule segrete, installate in ogni camera dai servizi di Ceausescu puntualmente registravano.
Sulla sua morte a Parigi, in un ospedale privato, dopo un viaggio organizzato direttamente dal presidente Chirac, molti hanno ricamato, la tesi più suggestiva è stata quella dell’avvelenamento, responsabili naturalmente gli israeliani. La storia però è andata un po’ diversamente. Ad Ashraf al-Kurdi, suo medico personale per 18 anni, non fu più permesso di visitare il suo paziente dopo che venne diagnosticato il virus. Proprio al-Kurdi, in una intervista al Al-Jazeera, aveva dichiarato apertamente che Arafat aveva contratto l’hiv, ma la dichiarazione ebbe vita breve, perché venne censurata determinando anche una temporanea chiusura della sede di Al Jazeera nei Territori. Allora non ancora divisi tra Gaza e la Cisgiordania.
La novità nell’odierno dibattito che coinvolge la “non libera” società palestinese e che adesso il tabù sulla morte di Arafat si è sposatto dall’Aids ad Abu Mazen. Nel senso che poi questo “outing” al Al Kurdi fu imitato anche da Ahmed Jibril in un’altra intervista, stavolta per la tv dei terroristi hezbollah (Al Manar) molti dei quali palestinesi anche se rigidamente irregimentati dall’Iran. Era il 2007 e tutti nei territori palestinesi sentirono cosa disse Ahmed Jibril a proposito della malattia che aveva portato alla tomba Arafat.
Negli anni si sono succeduti almeno due pamphlet sulle presunte responsabilità di Israele che lo avrebbe avvelenato “poco a poco” per ucciderlo senza disobbedire agli Usa che non volevano morisse sotto i bombardamenti dello stato ebraico. Nel 2004 il primo di questi libelli fu creato dalla stessa Autorità nazionale palestinese. Poi ce ne fu un altro nel 2009, di pamphlet, che ha allargato il complotto allo stesso Mahmoud Abbas, cioè Abu Mazen, che sapeva e non disse niente perché voleva succedere al raiss storico de palestinesi. Questo pamphlet prese a circolare liberamente in Gaza e molto meno liberamente nella West Bank. Resta il mistero quindi sulla morte di Arafat. Ma forse resterà tale: difficilmente la popolazione palestinese potrebbe accettare il fatto che il loro eroe, il leader guerrigliero, è morto come tanti della malattia dei “luti”. Che in arabo significa “quelli che sono come Lot”, cioè il sodomita dell’episodio biblico di Sodoma e Gomorra. Da quelle parti li chiamano ancora così i gay.
(Fonte: L’Opinione.it, 24 Luglio 2009)
#1Emanuel Baroz
Lo sapevi? Tra il 1967 e il 1987, con l’assistenza israeliana, l’economia palestinese di Cisgiordania e Gaza aveva il tasso di crescita tra i più alti del mondo. Il prodotto interno crebbe del 30% l’anno per dieci anni. La popolazione triplicò, si aprirono 6 nuove Università, l’aspettativa di vita passò da 43 a 74 anni…. Ma poi Arafat scelse l’intifada…
(Fonte: Rassegna KKL, 18 Gennaio 2010)
#2Alberto Pi
A proposito di Arafat:
http://hypocrisy.com/2010/01/19/yasser-arafats-secret-archive-a-ticking-bomb/
#3Alberto Pi
15/11/2010 “L’ipotesi di un avvelenamento di Yasser Arafat è falsa. Avevo l’abitudine di mangiare il suo stesso pasto mezz’ora prima di lui”. Lo ha detto al quotidiano “Al-Hayat” Emad Abu Zaki, ex guardia del corpo del presidente dell’Autorità Palestinese deceduto sei anni fa.
(Fonte: Israele.net)
#4Emanuel Baroz
Veleni
di Francesco Lucrezi
La macabra pagliacciata della riesumazione della salma di Arafat (prevista per il prossimo 26 novembre, nel quadro di un bizzarro scenario di diritto penale internazionale, con una complessa e inedita cooperazione tra sistemi giudiziari francese e palestinese, su denuncia della vedova Suha, secondo cui il marito sarebbe stato avvelenato col polonio) ha riproposto all’attenzione dei media la figura di un personaggio che, indubbiamente, ha ininterrottamente dominato la scena mondiale per decenni e del quale, francamente, non si avvertiva molto la nostalgia.
Assolutamente nessuna curiosità, nessuna ‘suspence’, da parte nostra, riguardo all’esito delle raffinate perizie a cui i tecnici francesi e palestinesi sottoporranno i resti del defunto, con i più sofisticati sistemi di analisi, perché il risultato dell’operazione, comunque, è già pienamente raggiunto e passato alla storia. Se si troveranno le tracce di polonio, la ‘verità storica’ sarà che Arafat è stato ucciso, indovinate da chi; se non si troveranno, sarà l’ulteriore prova che il micidiale Mossad è tanto efficiente non solo da eliminare i propri nemici, ma anche da eliminare le tracce dell’eliminazione; se i pareri saranno discordanti o incerti, la dimostrazione della macchinazione sarà ancora più evidente. Non interessano a nessuno, pertanto, le inutili spiegazioni di chi ricorda, assolutamente inascoltato, che il polonio ha un tempo di dimezzamento di 138 giorni, il che vuol dire che ogni quattro mesi e mezzo metà della sostanza decade e se, due anni fa, ne sono state trovate tracce negli effetti personali del leader, ciò vuol dire che l’esposizione alla sostanza deve essere stata necessariamente recente (a meno che, al momento della morte del leader, ossia otto anni fa, ne sia stata messa una quantità tale da sterminare l’intera Palestina). Si tratta di considerazioni del tutto inutili, la sentenza è già scritta.
Se ci si può interrogare sulla durata della capacità nociva del polonio, piuttosto, pochi dubbi sussistono sulla durata della nocività della persona di Arafat, che, a otto anni dalla scomparsa, dimostra ancora un’invidiabile forza di irradiazione. Campione indiscusso di ambiguità, camaleontismo, teatralità, doppiogiochismo, Arafat ha saputo offrire al mondo, come nessun altro, un variegato ‘menu’ di approccio all’ebraismo, fatto di innumerevoli portate, adatte a tutti i palati: dal più rozzo ed esplicito antisemitismo ai più fumosi e bizantini proclami di pace, dalle più sanguinarie ed efferate stragi ai più radiosi e smaglianti sorrisi, con dei fantastici piatti di fiori e pallottole, carezze e pugnali, panna e veleno. In virtù di tale variegata capacità culinaria, ha goduto di un successo senza pari, godendo di lunghi anni di ininterrotta preminenza, al riparo da qualsiasi tentativo di ‘rottamazione’. Premio Nobel per la Pace (perché no?), intervistato quasi quotidianamente dalle principali testate del mondo, ospite fisso del Vaticano (ben 12 colloqui personali solo con Giovanni Paolo II, record assoluto), “guest star” dell’Assemblea dell’ONU e di molti Parlamenti nazionali (tra cui l’italiano), interlocutore di riguardo di sovrani, Capi di Stato e Primi Ministri, Arafat è stato ammirato da politici di destra, di centro e di sinistra, da masse di poveri diseredati e da regine e principesse, da barbuti tagliatori di gole e da paciosi borghesotti in doppiopetto, da fanatici bombaroli analfabeti e da raffinati artisti e intellettuali, permettendo a tutti – a ciascuno secondo il proprio gusto – di scegliere il modo preferito di risolvere la “questione ebraica”. Nel ristorante Arafat ce n’era per tutti i gusti, chiunque entrasse poteva essere ottimamente servito “à la charte”. Nessuno, dopo di lui, ha potuto neanche lontanamente avvicinarsi al suo livello.
Buon lavoro agli esperti francesi e palestinesi, con la preghiera di non comunicarci l’esito delle indagini. Da parte nostra, pur fidandoci della loro professionalità, non li chiameremo per esaminare i resti delle vittime delle stragi di Lod, Monaco, Ma’alot, Fiumicino e tante altre. Sappiamo come sono avvenute quelle morti, e chi le ha volute.
(Fonte: Newsletter Ucei, 14 novembre 2012)