Golfo di Suez: fermata nave tedesca carica di armi

 
Emanuel Baroz
11 ottobre 2009
1 commento

IRAN: NAVE TEDESCA CARICA DI ARMI PER M.O. FERMATA DA USA

hansa-india(AGI) – Berlino, 10 ott. – Due navi da guerra americane hanno bloccato la settimana scorsa nel golfo di Suez una nave container tedesca carica di armi di provenienza iraniana, destinate presumibilmente alla Siria o ai miliziani libanesi di Hezbollah. Lo rivela il settimanale ‘Der Spiegel’, secondo il quale i militari americani hanno scoperto sul cargo “Hansa India”, lungo 243 metri ed appartenente all’armatore di Amburgo “Leonardt & Blumberg”, sette container pieni di proiettili di kalashnikov calibro 7,65. In un altro container sono stati scoperti semilavorati utilizzabili per la produzione di proiettili.

L’armatore tedesco ha spiegato che la nave e’ stata da anni noleggiata alla societa’ armatrice di stato “Islamic Republic of Iran Shipping”. Il settimanale di Amburgo scrive che la vicenda sta occupando a Berlino diversi ministeri, mentre nei circoli diplomatici si parla di “una questione incresciosa”. In seguito all’intervento del governo tedesco, gli americani hanno consentito che la “Hansa India” proseguisse la sua navigazione verso la prevista destinazione di Malta, dove funzionari hanno fatto sbarcare il carico.(AGI)

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Commento

  • #1Alberto Pi

    L’Iran e le nuove rotte delle armi

    Scritto da Guido Olimpio

    lunedì 05 ottobre 2009

    …WASHINGTON — Gennaio, area a nord di Khartoum, Sudan. In luogo sicu­ro si incontrano ufficiali dei pasdaran iraniani e contrabbandieri. Discutono sull’invio di armi verso la striscia di Ga­za, materiale destinato ai palestinesi di Hamas. Il vertice — secondo quanto ri­velato da fonti di intelligence al Corrie­re — si trasforma in uno scontro: quat­tro iraniani vengono assassinati in mo­do brutale per una questione di soldi.

    In quegli stessi giorni caccia e velivoli senza pilota «sconosciuti» distruggono un convoglio di 28 camion nell’area di Port Sudan. Poi tocca ad un mercantile sospettato di trasportare munizioni e lanciagranate. Si scoprirà, dopo alcune settimane, che i raid sono stati condotti dall’aviazione israeliana.

    La duplice azione era mirata ad inter­rompere il «corridoio delle armi» in fa­vore dei militanti palestinesi. Una pipe­line alimentata dagli iraniani, decisi a sostenere Hamas ma anche ad allargare la loro influenza nel Continente nero. Come ha affermato il ministro degli Esteri di Teheran, Mottaki, il 2009 è una «pietra miliare» nei rapporti Iran-Africa. È quello che gli esperti chia­mano il safari dei mullah. Un’iniziativa di ampio respiro contrastata da egizia­ni, americani e israeliani. Una partita giocata con agenti segreti, diplomatici, apparati militari e traffici.

    Sull’agenda degli ayatollah, scritta dal dinamico presidente Ahmadinejad, ci sono cinque punti fermi, da consegui­re: 1) Accrescere il peso politico nel «continente più ricco del mondo»; 2) sviluppare rapporti economici; 3) esportare il credo rivoluzionario nelle comunità islamiche d’Africa con l’aiuto dell’Hezbollah libanese; 4) stabilire una presenza militare dove sia possibile; 5) mantenere ed estendere una rotta ma­rittima e terrestre che permetta all’Iran di trasferire armi verso nord e Gaza.

    Gli iraniani si sono mossi su due livel­li. Il primo trasparente: una serie di visi­te nel periodo 2008-2009 in paesi come il Kenya, Gibuti, Tanzania, Eritrea, Su­dan per firmare accordi bilaterali d’ogni tipo e mettere radici. Rilevante sotto questo profilo l’intesa con gli eritrei. La marina iraniana avrebbe ottenuto un ap­prodo sicuro nel porto di Assab, in Mar Rosso. E forse, aggiungono oppositori interni, anche l’autorizzazione a schiera­re un piccolo contingente di guardiani della rivoluzione. Con il pretesto di con­trastare la pirateria, Teheran ha inviato nella regione da 2 a 6 navi che, da un lato, hanno dato la caccia ai corsari, dal­­l’altra hanno creato uno scudo per i mer­cantili dei traffici. Una missione nella quale sono coinvolti nuclei di pasdaran che conducono operazioni di spionag­gio marittimo. Tengono d’occhio la flot­ta occidentale, eseguono attività di intel­ligence elettronico, aprono la rotta ai cargo pieni di armi.

    Il secondo livello della manovra è quello clandestino ed ha come piattafor­ma strategica il Sudan, dove sono arri­vati pasdaran del cosiddetto «Africa Corp» a presidio della «stazione» princi­pale nel traffico in favore di Hamas. Il materiale parte in nave dall’Iran, prose­gue verso l’Eritrea – ecco la ragione del corteggiamento politico – , quindi risale in direzione del territorio sudanese, con Port Sudan come snodo. Da qui pro­seguono verso il Sinai affidati ai clan be­duini che ne assicurano poi il passag­gio finale a Gaza attraverso i tunnel. Fonti dell’opposizione iraniana hanno rivelato che Teheran avrebbe anche rea­lizzato una fabbrica ad hoc per produr­re una versione speciale del missile Fajr 3, smontabile per essere contrabbanda­to con maggiore facilità.

    La filiera ha messo in allarme anche gli egiziani. Il Mukhabarat, l’attento ser­vizio segreto, ha iniziato a indagare con insistenza perché preoccupato di possi­bili contraccolpi interni. Ed ha scoperto due focolai pericolosi. Grazie ai contatti con i contrabbandieri, militanti islami­sti locali hanno ottenuto consigli tecni­ci dai gruppi di Gaza. Alcuni jihadisti egiziani, infatti, sono entrati – sempre attraverso i tunnel – nel territorio pale­stinese, quindi hanno fatto ritorno in Egitto. Non meno pericoloso il network creato dagli Hezbollah filo-ira­niani in collaborazione con l’Armata Qods, l’apparato per le operazioni riser­vate dei pasdaran. Uno di loro giunto al Cairo, nel 2006, con falsi documenti ira­cheni ha stabilito legami con abitanti del Sinai così come con i trafficanti. Do­po una serie di arresti gli 007 hanno ac­certato che, inizialmente, la cellula ave­va pensato di colpire obiettivi israelia­ni. Tra i bersagli considerati i turisti o le navi che risalgono Suez. Poi, i suoi supe­riori gli hanno ordinato di preparare ka­mikaze palestinesi destinati a missioni in Israele.

    Lo schema ha attirato l’attenzione dell’intelligence statunitense. Washin­gton, che ha il suo Comando Africa, te­me che il binomio Hezbollah-Iran pos­sa infiltrarsi in altri stati africani. In par­ticolare in quelli della zona occidentale dove vivono da decenni ricche comuni­tà sciite. Presenza assolutamente legitti­ma ma dietro la quale si nascondono, a volte, personaggi a rischio. Un sommer­so spesso in contatto con commercian­ti di pietre preziose d’origine libanese. Alcuni di loro collaborano con l’Hezbol­lah e versano una quota dei guadagni in favore del movimento.

    Accanto agli americani e, in concor­renza, si muovono gli israeliani. Prima degli iraniani hanno costruito rapporti con molti governi africani fornendo lo­ro assistenza per l’agricoltura e, natural­mente, aiuti militari. Una politica di ri­guardo sottolineata da un recente viag­gio nel Continente del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman che ha visita­to Etiopia, Kenya, Uganda, Nigeria e Ghana. Missione alla quale è stato dato un grande risalto dalla stampa di Geru­salemme che l’ha contrapposta aperta­mente all’attivismo iraniano. Così co­me il passaggio in Mar Rosso di sotto­marini israeliani, impegnati in esercita­zioni che gli esperti hanno legato ad un possibile attacco contro l’Iran. Nessuna pubblicità invece alle forniture di armi per l’esercito del Sud Sudan, tenace av­versario di Khartoum. C’è l’embargo Onu in vigore, ma viene spesso violato con grandi guadagni per chi riesce a piazzare fucili e tank.

    da:corriere.it

    http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=26201

    11 Ott 2009, 21:39 Rispondi|Quota
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