Vaticano: dai Lefebvriani a Pio XII si chiude l’ Anno Orribile

 
Emanuel Baroz
15 gennaio 2010
9 commenti

Vaticano: dai Lefebvriani a Pio XII si chiude l’Anno Orribile

di Guido Gian Vecchi

papa ratzinger focus on israelRoma – Si è cominciato in gennaio con la revoca della scomunica ai lefebvriani e il caso planetario del vescovo negazionista Richard Williamson, quello capace di sostenere sorridendo che le camere a gas servivano a «disinfettare», e si è finito a dicembre con le polemiche per la proclamazione delle «virtù eroiche» di Pio XII e i suoi silenzi sulla Shoah. Il 2009 è stato l’ anno più difficile, nei rapporti di Benedetto XVI con il mondo ebraico. Già prima che iniziasse, era saltata la giornata del dialogo tra ebrei e cristiani, prevista giusto il 17 gennaio, e questo per la reintroduzione della preghiera in latino del Venerdì Santo, Oremus et pro Judaeis, con l’ invocazione affinché gli ebrei «riconoscano Gesù»: questione poi risolta spiegando che non c’ è volontà di convertire ma un riferimento escatologico, da San Paolo, alla «fine dei tempi». Eppure, proprio per questo, è stato anche l’ anno delle espressioni più impegnative, forse le più forti mai pronunciate da un pontefice, in Vaticano e durante il viaggio in Israele.

L’ antefatto della visita di domenica alla sinagoga di Roma – la seconda di un Papa dopo quella di Giovanni Paolo II, il 13 aprile 1986 – sono le parole dette a fine gennaio dell’ anno scorso ai fedeli nell’ aula Nervi, «la Shoah è un monito per tutti contro l’ oblio, la negazione e il riduzionismo», le stesse parole ripetute di lì a pochi giorni agli ebrei americani, «è ovvio che qualsiasi negazione o minimizzazione della Shoah, questo crimine terribile, è inaccettabile e intollerabile». In quell’ occasione, il 12 febbraio, Benedetto XVI confermò il viaggio in Israele di maggio e davanti ai rabbini e ai leader delle organizzazioni ebraiche americane si rivolse ai «fratelli maggiori» di Wojtyla chiamandoli fathers in faith, «padri nella fede». L’ antefatto, soprattutto, è un documento senza precedenti: non era mai accaduto che un Papa, quasi di getto, prendesse carta e penna per spiegare ai vescovi di tutto il mondo ragioni e limiti di una sua decisione, quella sui lefebvriani, deplorasse l’ «ostilità pronta all’ attacco» e perfino l’ «odio» con cui era stato trattato da alcuni cattolici e, per converso, aggiungesse: «Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’ atmosfera di amicizia e di fiducia, che – come nel tempo di Papa Giovanni Paolo II – anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie a Dio, continua ad esistere».

La lettera, datata 10 marzo, arrivò all’ indomani di un breve incontro in Campidoglio con il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, e due giorni prima che la comunità ebraica, il 12 marzo, annunciasse la visita del Papa al Tempio. Per Benedetto XVI si tratta della terza visita ad una sinagoga, dopo quelle di Colonia il 22 agosto 2005 e di New York il 18 aprile 2008. In Vaticano, non fosse per le polemiche nel mondo ebraico che precedono la visita – e basterebbe la decisione del rabbino Giuseppe Laras, presidente dell’ Assemblea italiana, che ha scelto di non andare e contestato il rabbino Di Segni – si è sempre voluto insistere sulla «normalità» dell’ appuntamento, come dice padre Federico Lombardi: «È importante che la visita del Papa alla sinagoga, di per sé, non sia ormai considerata un “evento” stupefacente: è la terza in cinque anni, per Benedetto XVI, la quarta se si considera la preghiera del 12 maggio 2009 al Muro Occidentale, e non c’ è nessun motivo di stupore in un mondo nel quale le religioni cercano un dialogo serio e profondo per rispondere ai problemi dell’ umanità di oggi e dare una testimonianza di pace».

Giovanni Paolo II, primo pontefice ad entrare in una sinagoga (anche se Di Segni faceva notare sorridendo che «prima ci fu un certo Pietro») ha aperto la strada nel 1986. Chiaro che quell’ incontro della comunità ebraica con «il Papa che è venuto alla sede di San Pietro dalla diocesi sul cui territorio si trova il campo di Auschwitz», come disse allora Wojtyla, sia stato un evento irripetibile. L’ immagine di quei due uomini vestiti di bianco, Giovanni Paolo II e il rabbino capo Elio Toaff, bucò gli schermi della mondovisione. Il riferimento del Papa ai «fratelli maggiori» e la riaffermazione della storica dichiarazione conciliare Nostra Aetate («Sì, ancora una volta, per mezzo mio, la Chiesa deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’ antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque. Ripeto: da chiunque») oscurarono le polemiche, che pure non mancarono neanche allora. Gli ultratradizionalisti cattolici che fuori dal Tempio distribuivano volantini con scritto «Papa, non andare da Caifa». E il presidente della comunità ebraica romana, Giacomo Saban, a ricordare, anche allora, il silenzio di Papa Pacelli.

Pio XII, sempre lui. La proclamazione a dicembre delle «virtù eroiche», una tappa verso la beatificazione, non ha fatto che riaccendere discussioni che non si sono mai sopite. Ma non c’ è solo questo. È evidente che ogni gesto di Joseph Raztinger, primo Papa tedesco dopo più di nove secoli, sia stato analizzato in questi anni con la lente d’ ingrandimento ogni volta che in qualche modo aveva a che fare con il tema dell’ ebraismo e della Shoah. In quasi cinque anni di pontificato, i gesti sono stati innumerevoli. E basterebbe l’ attesa che il 19 agosto 2005 – quattro mesi dopo la sua elezione – accompagnò la visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Colonia, una di quelle devastate dai nazisti nella Kristallnacht, la «notte dei cristalli» fra il 9 e il 10 novembre 1938, la «furia nazista» di un «regime senza Dio». O il viaggio ad Auschwitz, il 28 maggio 2006, «come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco: figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell’ onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell’ intimidazione, cosicché il nostro popolo poté essere usato ed abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio. Sì, non potevo non venire qui».

Quel giorno, si notò, il Papa aveva aggiunto la parola «Shoah» che non era presente nel testo ufficiale. Ci furono discussioni sul popolo tedesco. E da allora l’ attenzione generale non ha conosciuto tregue. Anche durante il viaggio in Israele, nel mondo ebraico come in quello cattolico e nei media, si sono moltiplicate discussioni sul fatto, ad esempio, che allo Yad Vashem, nella sala del ricordo della Shoah, avesse detto «milioni di ebrei» sterminati senza precisare «sei», come invece aveva detto all’ aeroporto, o che il discorso fosse più o meno freddo. La stessa attenzione che accompagnerà gesti e discorso di domenica, quasi gli esami non finissero mai.

(Fonte: Corriere della Sera, 15 Gennaio 2010, pag.46)

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  • #1Emanuel Baroz

    Dialogo – I rabbini, i media e gli imbarazzi immaginari

    E’ buffo vedere come i grandi mezzi di comunicazione percepiscano talvolta in maniera distorta l’abituale varietà di opinioni e di interpretazioni che il mondo ebraico esprime tutti i giorni. Alcune dichiarazioni di chi annunciava la sua volontà di non essere presente allo storico incontro alla sinagoga di Roma, sono state così orecchiate come un fattore di debolezza, di divisione del mondo ebraico italiano. E il giornalismo italiano, che come è noto resta spesso un giornalismo “a tesi”, pur di farlo dimentica come le istituzioni degli ebrei italiani eleggano democraticamente i propri organi di governo e scelgano democraticamente i propri rabbini. Se chi ha la responsabilità di rappresentare gli ebrei italiani non è funzionale a questo o a quello, non si esita così a ricorrere agli “ex”, sempre liberissimi, ovviamente, di esprimere le proprie opinioni personali.

    Servirebbe qualcuno disposto a spiegare che l’Assemblea rabbinica italiana non è la Conferenza episcopale italiana. Che i rabbini non sono sacerdoti, ma derivano la loro autorevolezza dalle loro conoscenze e dalle realtà che li riconoscono. Che le diverse interpretazioni che i nostri rabbini sono capaci di donarci sono da sempre considerate un patrimonio di ricchezza e di stimolo. Non certo un motivo di imbarazzo.

    Per questo, si rassegnino i giornalisti, non ci saranno scomuniche. E non sarà un antipapa, e nemmeno un vescovo, ad accogliere Benedetto XVI. Ma solo un un medico, uno studioso, un giudice, un Maestro. Sarà un normale cittadino ad attenderlo sulla soglia. Un normale cittadino fino al momento di ammantarsi del Talled ultracentenario che rappresenta il simbolo della più antica realtà ebraica della Diaspora.

    Per questo non possono esistere, in certi casi, assenze ingiustificate. Ma solo storici appuntamenti che si rischia di mancare.

    (Fonte: Rassegna Ucei, 15 Gennaio 2010)

    17 Gen 2010, 18:41 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    PAPA IN SINAGOGA: LARAS, SPERO EMERGA QUALCOSA DI POSITIVO, MA DIALOGO NON AVANZA PER GRANDI GESTI E OPERAZIONI DIPLOMATICHE

    (ANSA) – MILANO, 16 GEN – Il presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, Giuseppe Laras, molto critico sulla visita di domani del Papa alla sinagoga di Roma, a cui non sarà presente, si augura “che qualcosa di positivo possa emergere, al di là di quello che appare”. Lo ha detto rispondendo all’ANSA al termine di una conferenza svoltasi stasera alla sinagoga di Milano, alla vigilia della Giornata dell’Ebraismo. “Non mi aspetto granché, mi auguro che non ci sia nulla di negativo – ha affermato Laras, ex rabbino capo di Milano -. Può darsi che qualcosa al di là di quello che appare possa emergere di positivo”. In un’intervista ad un settimanale tedesco Laras aveva detto che Benedetto XVI “ha indebolito il dialogo con gli ebrei” attraverso una serie di “infortuni” avvenuti durante il suo pontificato. Ultimo la pubblicazione del decreto sulle virtù eroiche di Pio XII, pontefice controverso per i suoi rapporti con il nazismo nel periodo del genocidio ebraico. Secondo Laras, bisognava rimandare la visita di qualche mese e chiedere con maggior fermezza una puntualizzazione del Vaticano sul decreto. “Quel che ho affermato ho sentito di doverlo affermare – ha spiegato Laras -. Sono un figlio della Shoah e su questo non transigo”. “L’importante è che il dialogo interreligioso prosegua – ha aggiunto – e che chi vi si dedica abbia maggiore sensibilità alla reattività degli ebrei e viceversa”. Nel suo intervento alla conferenza di stasera a Milano, il rabbino ha detto che “non sono i grandi gesti, le operazioni diplomatiche a portare avanti il dialogo”, in un apparente riferimento alla visita del Papa. “Forse le grandi manifestazioni non resteranno – ha aggiunto -. Quel che viene fatto occasionalmente avrà pure importanza, ma si consumerà”.

    17 Gen 2010, 18:42 Rispondi|Quota
  • #3Emanuel Baroz

    PAPA IN SINAGOGA; AMB.LEWY, SIAMO SU BINARIO GIUSTO
    AMB.ISRAELE PRESSO S.SEDE, DIALOGO ONESTO NONOSTANTE DIVERGENZE

    (di Nina Fabrizio) (ANSA) – CITTA’ DEL VATICANO, 14 GEN – Una visita di “dimensione storica” nel rapporto tra ebrei e cattolici, spesso “problematico”, per “convincere e dimostrare a tutti” che “nonostante la differenza di opinioni possiamo mantenere un dialogo onesto e molto amichevole anche se non siamo d’accordo su tutto”. Interpreta così l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, il significato della visita che domenica prossima Benedetto XVI compirà alla sinagoga di Roma in occasione della Giornata per l’approfondimento del dialogo tra ebrei e cattolici. L’anno scorso la celebrazione comune della Giornata saltò per la protesta di alcuni rabbini contro l’introduzione della preghiera per la conversione degli ebrei. “Quella dell’anno scorso è stata un’ eccezione – spiega Lewy in una intervista all’ANSA -. Una breve interruzione di rapporti che però da tempo sono positivi. Ora siamo rientrati sul binario giusto”. La visita inizierà con un omaggio di Ratzinger alla lapide dei deportati dal ghetto nel 1943. “Un passo necessario, logico”, commenta il diplomatico. Ma com’é vista la figura di Benedetto XVI dal mondo ebraico? “La mia opinione personale – spiega – è che Ratzinger sia molto onesto nel suo approccio con il mondo ebraico. Alcuni ebrei – ammette – sono delusi perché egli non dice ciò che loro si aspettano. Io penso che lui abbia il diritto di dire ciò che pensa ma ogni tanto questo crea anche degli equivoci che lo costringono a spiegarsi”. “E’ certamente una personalità differente da Giovanni Paolo II, che visitò la sinagoga di Roma nel 1986 – osserva Lewy -. E prima gli ebrei si adattano a questo cambio di personalità, più intellettuale, più razionale nel rapporto con gli ebrei, a differenza di Wojtyla che era più emozionale, meglio sarà “. C’e da considerare, spiega Lewy, che “gli ebrei non appartengono alla biografia personale di Ratzinger: una grande differenza con il suo predecessore che invece vi era cresciuto insieme nella sua gioventù. Ma dall’altra parte – aggiunge – quando era arcivescovo di Monaco costituì un movimento esplicitamente pro-ebrei e pro-Israele”. Insomma, “dalla sua prospettiva – afferma il diplomatico – Benedetto XVI ha fatto ciò che ha potuto per dimostrare la sua amicizia ma devo ammettere che alcune sue azioni non dimostrano che egli ha preoccupazioni solo per gli ebrei ma anche preoccupazioni interne e che alle volte stabilisce priorità differenti che possono dare adito a fraintendimenti tra di noi”. D’altra parte però, suggerisce Lewy, vi è un vasto campo di possibile collaborazione tra le due fedi che va dai temi bioetici, alla libertà religiosa, alla lotta alla violenza e all’intolleranza, fino al rispetto dell’ambiente. “Metterci a discutere invece su chi abbia la verità ultima – sorride Lewy – non ci porterebbe da nessuna parte”. Lewy non nasconde che rimane “controverso” il ruolo di Pio XII di cui Benedetto XVI ha recentemente dichiarato le virtù eroiche, sollevando nuove proteste da parte ebraica. Solo ancora pochi giorni fa il rabbino capo di Tel Aviv Israel Meir Lau, esprimeva “grande sospetto e stupore” per l’accelerazione data dal papa alla beatificazione di Pacelli. “Lau è una vittima della Shoah e ho l’abitudine di non discutere quanto affermano le vittime della Shoah, a cui dobbiamo rispetto – replica Lewy -. Detto ciò, la questione dei tempi della beatificazione di Pio XII è una questione valida, legittima ma molto difficile da porre perché questa decisione ha un’influenza anche su altri livelli che non sono solo quello ecclesiastico, come il ruolo storico di Pio XII”. Un ruolo, precisa, che “era controverso già prima della proclamazione delle virtù eroiche e sarà controverso ancora per molto tempo finché non apriranno gli archivi segreti”. Lewy osserva poi che la dichiarazione con cui il Vaticano ha in seguito spiegato che il processo di beatificazione considera il modo in cui Pio XII ha vissuto la fede e non la sua vicenda storica “é una distinzione che apre ancora maggiormente la porta alle critiche”. Infine, Lewy afferma che “l’antigiudaismo cattolico esiste ancora”. “Sono sicuro – spiega – che quando il Concilio Vaticano II ha approvato la Nostra Aetate non tutti erano d’accordo, come credo che non tutti lo siano a tutt’oggi”.

    17 Gen 2010, 22:07 Rispondi|Quota
  • #4Mirko Viola

    fantastica la foto del vostro compagno di merende…
    col ciuffo ribelle e il mantello alzato sembra il diavolo…
    Bravo Baroz… eccellente scelta!
    🙂

    23 Gen 2010, 00:08 Rispondi|Quota
    • #5Emanuel Baroz

      il nostro “compagno di merende”?! Povero sig. Viola (ammesso che si chiami così…)….

      23 Gen 2010, 18:38 Rispondi|Quota
  • #6Mirko Viola

    sig. Emanuel Baroz (ammesso che si chiami così), vuole il mio codice fiscale???
    dalla mia mail potrà facilmente risalire al mio luogo di lavoro, telefoni pure in azienda e chieda del dott. Mirko Viola.
    Le risponderò IO… così potrà ascoltare la mia fragorosa risata.

    mi stia bene sig Baroz (ammesso che si chiami così)

    23 Gen 2010, 19:05 Rispondi|Quota
    • #7Emanuel Baroz

      Considerando che l’ultima volta che lei e i suoi amici siete passati qui vi siete divertiti a cambiare spesso nome, non sapendo che l’IP restava lo stesso (adesso il suo è cambiato rispetto all’ultima volta…), credo che la mia supposizione non sia così errata

      24 Gen 2010, 12:04 Rispondi|Quota
  • #8Mirko Viola

    tornando al papa in sinagoga… personalmente non nutro alcun interesse nei confronti delle 3 superstizioni semite:ebraismo-cristianesimo-islamismo… che considero fortemente ostili ed estranee alle tradizioni pagane proprie dell’Uomo Europeo…
    “compagno di merende” mi pare oltremodo appropriato, le vostre piccole beghe sono semplici scaramucce tra coinquilini.
    saluti

    30 Gen 2010, 20:37 Rispondi|Quota
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