Quando la mezzaluna abbracciò la svastica
di Andrea Tornielli
I rapporti del nazismo con il mondo arabo sono poco conosciuti, così come è poco conosciuta l’influenza che l’ideologia hitleriana ebbe in alcuni partiti e organizzazioni politiche che lottarono per l’indipendenza dei paesi arabi dal dominio coloniale. Un’influenza i cui echi si fanno ancora sentire «in alcuni settori del mondo arabo», mentre «alcuni importanti leader sia religiosi sia politici dell’islam fondamentalista se ne fanno tuttora propagatori».
Lo sostiene lo storico de La Civiltà Cattolica, il gesuita Giovanni Sale, in una ricerca che sarà pubblicata in un volume edito Jaka Book e che Il Giornale oggi anticipa.
Sale ricorda che inizialmente, la «soluzione» scelta dalla Germania hitleriana per allontanare gli ebrei dal suolo tedesco, fu quella di facilitarne in tutti i modi l’emigrazione. In particolare in Palestina, dove, credevano i tedeschi, essi sarebbero stati «liquidati» dagli arabi. L’atteggiamento tedesco mutò poco dopo, quando a Berlino si resero conto che l’immigrazione ebraica in Palestina avrebbe favorito la nascita di uno Stato ebraico. È in questo momento, spiega lo storico, che il governo di Berlino ordina a tutte le sedi diplomatiche tedesche in Medio Oriente di tenere «un atteggiamento più comprensivo verso le aspirazioni del nazionalismo arabo».
Dopo l’invasione tedesca della Cecoslovacchia nel marzo 1938, l’indirizzo filoarabo assunto dal governo del Reich per contrastare le ragioni del sionismo internazionale, viene espresso dalla propaganda nazista in modo più diretto. In questo periodo viene anche attivata dal governo tedesco una trasmissione radio di propaganda nazista in lingua araba, che avrà «ascoltatori entusiasti in tutto il Medio Oriente». E gli intellettuali arabi, in quel periodo, scrive padre Sale, «consideravano più vicine alla loro cultura e sensibilità le ragioni ideologiche del nazionalismo tedesco, definito in base alla lingua, alla cultura e alla stirpe di un popolo e di una nazione; insomma tra pangermanismo e panarabismo vi erano a quel tempo diversi punti di contatto».
Alcuni arabi tedeschi cercheranno, ma invano, di persuadere i capi nazisti a modificare la clausola razziale nello statuto del partito, restringendola ai soli ebrei. Le autorità tedesche tenteranno però in tutti i modi di correggere il tiro circa il «semitismo» delle popolazioni arabe, sostenendo che non era vero che gli arabi fossero «semiti puri» come gli ebrei, ma che, al contrario di questi, essi furono in buona parte arianizzati. «L’ideologia nazista – scrive lo storico gesuita – attraverso la sua martellante propaganda antiebraica e antidemocratica, non soltanto raggiunse la maggior parte delle popolazioni arabe, ma influì anche sulle sue élite intellettuali; in diversi Paesi furono fondati addirittura partiti politici di matrice nazista, che ebbero poco seguito a livello popolare, ma che esercitarono un forte influsso politico anche negli anni successivi alla guerra. Ricordiamo il Partito Nazionalsocialista Siriano, che esercitò una grande forza di attrazione sulla gioventù siriana e libanese di quegli anni, e il Partito Giovane Egitto, le cosiddette “camicie verdi”, formato da una gerarchia paramilitare sul modello delle SA e delle SS. Esso si distinse per un acceso antisemitismo e per l’adesione all’ideologia nazista».
All’inizio degli anni Quaranta, il Gran Muftì di Gerusalemme al Husayni, capo del supremo comitato della Palestina araba, per promuovere le ragioni dell’indipendenza dei Paesi arabi, organizzò una «missione» a Berlino per prendere contatti con i capi militari nazisti. Affermò di essere a capo di un’organizzazione nazionalista araba segreta con diramazioni in diversi Stati che, disse, erano disposti a unirsi alle forze dell’Asse nella guerra contro l’Inghilterra, «alla sola condizione che tali forze riconoscano il principio di unità, l’indipendenza e la sovranità di uno Stato arabo a carattere fascista, comprendente l’Irak, la Siria, la Palestina e la Transgiordania».
Il sentimento filo-tedesco e le simpatie verso il nazismo, furono così forti, «in questi Paesi, in particolare in Egitto e Siria – osserva Sale – che esso non svanì neppure dopo la sconfitta e la completa distruzione del Terzo Reich. Le simpatie verso il nazismo e verso Hitler, addirittura, non solo non venivano nascoste, ma venivano pubblicamente manifestate e questo fino agli anni Sessanta del secolo scorso». Lo storico ricordo uno scritto del 1953 di Anwar Sadat, futuro presidente della repubblica egiziana, il quale scrisse in un giornale del Cairo, riferendosi idealmente a un Hitler che si credeva ancora vivo e nascosto da qualche parte: «Mi congratulo con voi con tutto il cuore perché, sebbene sembri che siate stato sconfitto, il vero vincitore siete voi. Siete riuscito a seminare la discordia tra il vecchio Churchill e i suoi alleati da una parte, e il loro alleato il diavolo, dall’altra. La Germania è vittoriosa perché è necessario, per l’equilibrio nel mondo, che essa sia di nuovo creata, qualsiasi cosa possano pensare l’Occidente o l’Oriente. Non ci sarà pace fino a quando la Germania non sarà riportata a quello che è stata».
Così, mentre in Occidente, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il nazismo veniva identificato con il «male assoluto», nel mondo arabo, scrive padre Sale, «esso continuava a raccogliere l’entusiasta simpatia di molti». In larghi settori del mondo arabo, in particolare quelli legati al fondamentalismo islamico, il ricordo di Hitler rimane dunque ancora vivo e le sue opere vengono ancora tradotte e divulgate. Alcuni fatti recenti, inoltre, dimostrano chiaramente, secondo lo storico gesuita, «che una certa mentalità, diremmo filonazista e antisemita, è condivisa anche da alcuni leader politici e religiosi del mondo islamico». Come attestano le dichiarazioni antisemite e riduzioniste sulla Shoah più volte espresse dal presidente iraniano Ahmadinejad, o come, conclude Sale, «le farneticanti dichiarazioni di alcuni capi religiosi islamici, che ritengono che l’Europa, anziché aborrire il nazismo, dovrebbe lodarlo per il fatto di aver allontanato il pericolo ebraico dal vecchio continente».
Nella foto: una immagine dell’incontro tra il Gran Mufti di Gerusalemme e Hitler, avvenuto il 22 Novembre 1941
#1Stefano Davidson
Breve sunto: Quando Hitler prese il potere nel 1933, telegrammi di congratulazioni furono inviati dalle capitali arabe. Nel 1937, il ministro nazista della propaganda, Joseph Goebbles, elogiò la “coscienza nazionale e razziale araba”, notando che “le bandiere naziste sventolano in Palestina, dove le case sono adornate da svastiche e ritratti di Hitler”. Nel 1943, Heinrich Himmler, il capo delle SS, parlò della “naturale alleanza che esiste fra il nazional-socialismo della Grande Germania e i musulmani amanti della libertà in tutto il mondo”. Partiti filo-tedeschi e movimenti giovanili “intonati” con gli ornamenti del nazional-socialismo vennero alla luce in Siria, Marocco, Tunisia ed Egitto. Perfino gli slogan nazisti venivano tradotti in arabo. Una canzone mediorientale diffusa verso la fine degli anni ’30 dice: “niente più ‘monsieur’, niente più ‘mister’. in paradiso Allah, sulla terra Hitler”. il Fuhrer stesso fu perfino islamizzato sotto il nuovo nome di Abu Ali. Fra i molti simpatizzanti nazisti del periodo ricordiamo Haj Amin al-Husseini (Gran Muftì di Gerusalemme), Ahmed Shukairi (primo presidente dell’O.L.P), Gamal Abdel Nasser e Anwar Sadat (entrambi futuri presidenti dell’Egitto), i capi dei fondamentalisti islamici, e i fondatori del partito socialista arabo “Ba’ath”, che al momento governa in Siria ed Iraq. A questo proposito annoto anche che un leader del partito “Ba’ath” raccontò orgogliosamente: “eravamo razzisti, ammiravamo il nazismo, leggevamo i loro libri e le fonti del loro pensiero. Siamo stati i primi a tradurre ‘Mein Kampf'”. La glorificazione di Hitler fra gli arabi comunque non svanì dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1965, un cronista marocchino scrisse sulla rivista francese “Les Temps Modernes”: “Il mito di Hitler è stato coltivato dal popolo arabo. Lo sterminio di ebrei compiuto da Hitler viene elogiato. Si crede perfino che Hitler non sia morto. “Tutti sperano nel suo ritorno”. Nel 2001, un giornalista egiziano scrisse sul giornale finanziato dal governo “Al Akhbar”: “Grazie Hitler, sia benedetta la tua memoria, perché hai vendicato con anticipo i palestinesi per il più ignobile crimine mai commesso al mondo”. Due mesi dopo l’agenzia di stampa egiziana conferì a questo giornalista la sua più importante onorificenza.
ADESSO PERÒ GLI ARABI ACCUSANO GLI EBREI DI ESSERE NAZISTI!!!.
IN QUESTO MODO, I FEDELI AMMIRATORI DI HITLER STANNO EQUIPARANDO LE PRINCIPALI VITTIME DEL SUO GENOCIDIO CON I CARNEFICI NAZISTI.
#2lassaad
gentile sig. Stefano Davidson
anche se tutto quello che scrive è vero, non vuole dire che l’islam e i musulmani erano pro-hitler. io non sono cosi colto come Lei a conoscenze di fatti storici, pero una cosina la so: la chiesa tedesca era con Hiltler e le sue armi venivano benedite da prete e vescovi.
ed una piccola opinione la voglia esprimere: penso che niente al mondo puoi giustificare il comportamento del governo israeliano. non tutti palestinesi sono terroristi o estremisti ma la rappresaglia israeliana li considera tutti come tale. solo quando avremo il coraggio di condannare ogni tipo di violenza avremmo il diritto di dare lezione di “storia”
#3assurdo
@lassaad: Israele non fa rappresaglie contro i civili, quelli lo fanno i palestinesi. I palestinesi mirano ai civili israeliani, israele mira ai terroristi che lanciano missili contro i civili israeliani. è pura propaganda antisemita dire che Israele non fa distinzione tra terroristi e civili, perchè sono oramai noti e dimostrati gli attacchi chirurgici e mirati solo contro le postazioni di lancio, tra l’altro avvertendo con anticipo i palestinesi in modo che possono allontanarsi dall’obiettivo. I civili palestinesi muoiono perchè hamas li obbliga a fare da scudi umani, li obbliga con la forza a rimaneer negli obiettivi che gli israeliani hanno annunciato di voler colpire. Così hanno le loro vittime da dare in pasto ai media ed i martiri per allah.
#4Daniel
Il gran muftì che adorava Hitler
L’islam è antisemita da sempre e nella Seconda guerra mondiale se la fece con i nazisti. Ecco la storia di al-Husseini che visitò Auschwitz, se ne compiacque e poi allevò Nasser, Sadat, Arafat e Abu Mazen. La racconta David G. Dalin
di Marco Respinti
Negli anni oscuri della Seconda guerra mondiale la Chiesa cattolica si fece in quattro per salvare gli ebrei mentre l’islam s’infervorava per Adolf Hitler e il suo leader se ne rendeva complice.
Basandosi sui lavori di studiosi seri quali, fra altri, Gabriel Schoenfeld, Kenneth R. Timmerman, Deborah Lipstadt, Arnold Foster, Benjamin R. Epstein, Alan Dershowitz e Bernard Lewis lo afferma senza peli sulla lingua David G. Dalin in La leggenda nera del papa di Hitler (Piemme). Dalin, che insegna Storia e Scienze politiche all’Ave Maria University di Naples, in Florida, è il famoso rabbino che da tempo sbugiarda, documenti alla mano, le false accuse di connivenza con il nazismo mosse a Papa Pio XII e alla Chiesa cattolica dal bel mondo liberal (il quale, quando ritratta, come fece John Cornwall su The Economist nel dicembre 2004, non fa notizia).
L’antisemitismo musulmano nasce con l’islam stesso: nel 622, anno dell’Egira, la fuga di Maometto dalla Mecca a Medina, allorché, giunto nella nuova patria, il profeta perseguita gli ebrei della città. Prosegue per tutta la storia dell’espansionismo militare islamico. Quindi s’irrora di nuova linfa con l’avvento del Terzo Reich. Qui la figura chiave è Haj Amin al-Husseini, gran muftì di Gerusalemme.
Nato nel 1893 nella Città Santa, al-Husseini diviene leader degli arabi di Palestina durante il governo britannico della regione e si guadagna fama di feroce antisemita. È l’aprile del 1920 quando, con altri, compie la sua prima aggressione contro degli ebrei. Un tribunale militare britannico lo condanna più tardi per l’uccisione di 5 ebrei e il ferimento di altri 21, ma lui è pur sempre il leader degl’islamici locali e così lo fanno gran muftì di Gerusalemme, capo religioso e politico.
Al-Husseini crea allora un movimento nazionalista prima palestinese poi panislamico intriso di razzismo. Fa tradurre I protocolli dei savi di Sion, un falso avvilente, e, il 23 agosto 1929, guida un pogrom che costa la vita a 60 ebrei di Hebron. Qualche giorno dopo ripete l’impresa a Safad, 45 morti. Nel 1936 ancora. Oramai è un capo famoso e il suo antisemitismo un must per tutti i musulmani.
Un ufficietto a Berlino
In Germania, intanto, Adolf Hitler diviene Cancelliere del Terzo Reich. Quando nel 1935 promulga le leggi razziali, piovono telegrammi di felicitazioni da tutto il mondo musulmano egemonizzato da al-Husseini, in particolare dal Marocco e dalla Palesina.
Del resto il gran muftì è intimo del Console generale tedesco a Gerusalemme, Heinrich Wolff, e gli sussurra paroline dolci sulla strategia adatta a scongiurare ogni e qualunque insediamento ebraico nella zona. Il suo sogno è una grande coalizione islamica che, alleata del Reich millenario, combatta organicamente l’ebraismo mondiale fino allo sterminio totale. Speranze di muftì, che però dopo il Patto di Monaco del 1938 paiono concretizzarsi. Ora l’alleanza fra islam e nazismo può infatti mostrarsi.
Intanto in Medio Oriente il modello nazi prêt-à-porter dilaga: fra 1933 e 1938 sono sorte diverse formazioni politiche ispirate al Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi. Sempre nel 1938, del resto, al-Husseini sposta la propria sede in Irak, dopo averla mossa, l’anno prima, in Libano. E in Irak aiuta il filotedesco Rashid Ali al-Ghailani a divenire, nel 1940, primo ministro.
A questo punto il Reich ritiene che al-Husseini abbia passato tutti gli esami di ammissione e lo laurea nazista perfetto invitandolo a stabilirsi a Berlino. Il muftì non se lo fa ripetere due volte e nel 1941 s’imbarca in questa volontarissima e godutissima cattività avignonese in versione islamica.
Nella capitale tedesca il nostro apre un bell’ufficietto, tresca per organizzare spie in Medio Oriente (una di queste è, nell’Egitto occupato dai britannici, il futuro presidente Anwar al-Sadat) e incontra Hitler. Subito, e poi sempre più spesso. I due amiconi discutono di come soffocare la presenza ebraica in Palestina, e Dalin afferma che certamente il gran muftì raccolse confidenze del Führer circa la soluzione finale. Anzi, che ne fu uno degl’ispiratori. Era del resto in confidenze pure con il ministro degl’Interni Heinrich Himmler (ci sono foto dei due con calici alzati e dediche) e con l’SS di altro grado Adolf Eichmann, fra i più alacri sterminatori di ebrei di tutto il Reich. Al processo di Norimberga il vice di Eichmann, Dieter Wisliceny, additò addirittura il muftì come uno degl’iniziatori dell’Olocausto, aggiungendo che al-Husseini aveva pure visitato in incognito le camere a gas di Auschwitz.
Nel 1943 il gran muftì di Gerusalemme divenuto agente dello sterminio ebraico a Berlino si mette ad arruolare effettivi musulmani per le Waffen SS in Bosnia, le quali si scagliano presto contro ebrei e cattolici in Croazia e in Ungheria. A Dresda il suo amico Himmler gli crea persino una scuola militare speciale di mullah addetti alle reclute bosniache.
L’albero si vede dai frutti
Alla fine della guerra al-Husseini riesce a farla franca e nel 1946 fugge in Egitto. Qui incontra Yasser Arafat; alla lontana sono pure parenti. Fatto entrare segretamente nel Paese un ex ufficiale nazista, il muftì inizia l’addestramento del giovane Yasser, il quale uccide il suo primo ebreo nel 1947. Fra chi considera al-Husseini un maestro vi è del resto anche Gamal Abd el-Nasser, leader dell’Egitto nazionalista e fondatore antisemita dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
Nel 1968 Arafat fonde il proprio gruppo terroristico, al-Fatah, con l’OLP, e nel 1968 recluta gente come Erich Altern, leader della Sezione affari ebraici della Gestapo, e Willy Berner, ufficiale delle SS a Mauthausen.
Al-Husseini muore dunque nel 1974, ma la sua prole è numerosa. Nasser era famoso per raccomandare la lettura dei “Protocolli”; il re saudita Faisal li donava ai suoi ospiti; Sadat, Muhammar Gheddafi e lo stesso Arafat ne sono sostenitori; in Iran se ne fa sfoggio; e il governo de Il Cairo ne stampa copie. Alcuni prigionieri egiziani catturati nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 tenevano in tasca il Mein Kampf di Hitler tradotto da un tizio del Centro Arabo d’Informazione de Il Cairo già funzionario del Ministero della propaganda nazista che, fuggito pure lui in Egitto dopo la guerra, si era convertito all’islam. E il mondo musulmano pullula di balle sul rapimento di bimbi per sacrifici pasquali e altri omicidi rituali.
Poi c’è Abu Mazen, il successore di Arafat alla guida dell’Autorità Nazionale Palestinese. Dottore in Storia al Collegio Orientale di Mosca, nel 1983 ha pubblicato la tesi in forma riveduta, “L’altra faccia. Le relazioni segrete fra il nazismo e i capi del movimento sionista”: vi scrive che gli ebrei gonfiano le cifre dell’Olocausto.
Insomma, i cacciatori d’ignominie antisemite farebbero meglio a lasciar stare le sottane dei preti per sfrucugliare nelle moschee e negli uffici governativi degli adepti del Corano. Ma, evidentemente, a chi ce l’ha con Pio XII (e con Giovanni Paolo II che lo voleva canonizzare) sta più a cuore l’odio verso la Chiesa che l’amore per la verità. Gl’islamisti ringraziano.
http://liberaliperisraele.ilcannocchiale.it:80/post/1614461.html
#5Ariel Paggi
Ditelo alla Amica di Arafat nipote amato del servo di Hitler il Mufti di Gerusalemme la Mogherini
che partecipò anche a spedizioni a Gaza contro Israele Ariel Paggi