La stampa israeliana esprime dubbi sulla responsabilità del Mossad nell’uccisione del capo di Hamas
Gerusalemme, 25 feb (ANSA) -Lo scrittore e giornalista Yossi Melman esprime oggi, sulle pagine del quotidiano Haaretz, dubbi che l’ uccisione del capo di Hamas, Mahmud al-Mabhouh sia stata opera del Mossad. In un commento Melman, che ha fama di esperto di servizi segreti israeliani, afferma che è difficile credere che gli organizzatori dell’operazione nel Mossad, – ammesso che questo servizio segreto sia stato responsabile dell’uccisione – abbiano inviato (nel Dubai) “quasi 30 agenti, rischiando così di esporre un’intera unità scelta operativa per un’assassinio”.
E poi, aggiunge, è inconcepibile che dopo l’eliminazione di Mabhouh, vi siano stati agenti del Mossad che sono scappati in Iran, uno dei peggiori nemici di Israele. “Non c’é dubbio – afferma Melman – che non piccola parte delle notizie che (il capo della polizia di Dubai) sta svelando o facendo trapelare alla stampa, siano parte di un complotto in cui sono seminati elementi di disinformazione” nella speranza di trarre in inganno qualcuno in Israele, inducendolo a replicare in modo da mettersi nei guai. In ogni caso, conclude il giornalista, “le prove che legano Israele a questo caso sono ancora deboli, sicuramente per un processo ma anche sotto l’aspetto diplomatico. Questa vicenda manda però anche un messaggio di dissuasione a Hamas: il lungo braccio di chi ha attuato l’operazione può colpire anche un altro ufficiale di Hamas”.
Nella foto: Mahmoud al Mabhouh, assassinato a Dubai il 20 Gennaio 2010
#1Emanuel Baroz
MO: CAPO HAMAS UCCISO, GB MANDA INVESTIGATORI IN ISRAELE
(ANSA) – TEL AVIV, 27 FEB – Investigatori sono stati inviati da Londra in Israele per interrogare 10 cittadini israelo- britannici i cui passaporti risultano tra quelli usati dal commando che il 19 gennaio ha ucciso a Dubai l’esponente di Hamas Mahmud al-Mabhouh, ritenuto elemento chiave nel traffico d’armi fra l’Iran e il movimento islamico-radicale palestinese. Lo riferiscono i media israeliani, riportando quanto dichiarato nel pomeriggio all’agenzia Reuters da una fonte dell’ambasciata della Gran Bretagna a Tel Aviv. Secondo la fonte, i 10 saranno interrogati nella sede della rappresentanza diplomatica a mano a mano che si presenteranno per avere un nuovo passaporto britannico, bonificato rispetto a quello clonato. Gli investigatori di Dubai hanno identificato finora ben 26 persone ritenute coinvolte nel blitz costato la vita a Mabhouh e giunte a gennaio negli Emirati con identità rubate e documenti manipolati: quindici dei quali appartenenti a persone (dichiaratesi ignare) che hanno anche un passaporto israeliano. Il capo della polizia di Dubai attribuisce “al 99 se non al 100%” la paternità dell’operazione al Mossad e oggi stesso ha sfidato il capo dei servizi segreti israeliani, Meir Dagan, a smentire in modo netto il coinvolgimento dei suoi agenti o ad “ammettere da uomo” la propria responsabilità. Israele, tuttavia, non ha fatto finora alcuna ammissione e insiste ufficialmente sulla mancanza di prove concrete a carico della sua agenzia di intelligence.
#2Emanuel Baroz
Caso Dubai, spunta la pista di una spia interna ad Hamas
di Annalena Di Giovanni
MEDIO ORIENTE. La polizia dell’emirato sospetta l’esistenza di un delatore nell’organizzazione. Sarebbe stato lui a fornire le coordinate dell’albergo dove risiedeva Mabhouh agli uomini del Mossad. Un aiuto fondamentale per l’esecuzione.
«Ma quale Paese amico». È con queste parole che l’Australia se l’è presa con Israele, chiamando l’ambasciatore di Tel Aviv a rapporto per rispondere dell’accusa di falsificazione di tre passaporti a scopo criminale da parte degli agenti del Mossad, il servizio segreto dello Stato ebraico. È il terzo Paese occidentale a farlo, dopo Inghilterra e Irlanda; ancora una volta, si è trattato di passaporti di cittadini reali, (ignari della faccenda fino al giorno in cui la polizia non si è presentata alla loro porta), duplicati dagli 007 di Tel Aviv e consegnati ai propri sicari per viaggiare indisturbati. Il caso è il giallo di Dubai, che da due settimane inonda la stampa araba e israeliana, facendo dimenticare Iran, Afghanistan, Iraq e al Qaeda a colpi di rivelazioni e incidenti diplomatici.
Un caso cominciato il 19 gennaio, quando in un albergo nel Dubai l’ufficiale di Mahmoud al Mabhouh, appena giunto dalla Siria, viene avvicinato e ucciso da uomini in possesso di un falso passaporto. Dopo 10 giorni di silenzio stampa, il caso viene riconosciuto come omicidio e la polizia di Dubai mostra decine di ore di filmati che provano – o almeno così sembra – il coinvolgimento di ben 30 agenti del Mossad nell’omicidio. Per il governo di Tel Aviv, è subito catastrofe. E imbarazzo. Perché se all’inizio il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman gongola pubblicamente per il successo strategico del nemico misteriosamente morto proprio in un Paese in cui gli israeliani non potrebbero mettere piede, ecco che basta la prima conferenza stampa della polizia di Dubai a coprire di vergogna il governo Netanyahu; per uccidere Mabhouh ci sarebbero voluti ben trenta uomini, un’intera unità scelta del Mossad.
Altro che competenza. E dalla stampa israeliana è subito partito l’attacco contro il Mossad, la leggenda caduta, e contro una leadership ridottasi a omicidi mirati dal sapore dilettantesco. Per non parlare dello scandalo dei passaporti falsificati, che hanno spinto Inghilterra, Irlanda e Australia – Paesi tradizionalmente amici – a chiedere spiegazioni al ministero degli Esteri israeliano.
In questo momento sul primo ministro Netanyahu piovono pietre da ogni direzione. Ma il problema ora è soprattutto interno a Hamas. E all’emirato del Dubai. Che da questa storia ha tutto da perdere: non soltanto il crack del 2008 ha profondamente scosso quello che era il Paese dei balocchi di miliardari e speculatori. Non soltanto Stati come il Qatar e la Siria stanno contendendo all’emirato il ruolo di contenitore creativo del Medio Oriente.
Adesso il Dubai non sarebbe neanche più affidabile in termini di sicurezza, se ben 30 agenti del Mossad sono riusciti ad attraversare i suoi confini con passaporti falsi, raggiungere un ufficiale di Hamas fino al suo albergo, ucciderlo e cavarsela in tutta calma, mentre per dieci giorni la polizia e il medico legale hanno continuato a chiedersi se la vittima fosse effettivamente stata uccisa da un elettrochoc o se piuttosto fosse morta di colpo al cuore. A questo punto, nel gioco delle accuse, dopo che dall’Europa lo scandalo dei passaporti falsi è stato liquidato con qualche timida lamentela, alla polizia del Dubai non è rimasto che rifarsi contro Hamas.
Che deve per forza contare qualche spia al proprio interno, secondo le accuse. Chi avrebbe fornito le coordinate dell’albergo al Mossad? Chi, all’interno dell’organizzazione, avrebbe parlato? Che ruolo avrebbe avuto il fratello di Mabhouh? Per Hamas, il maggior danno sarebbe dover ammettere di avere una talpa al proprio interno. Isolata e biasimata da Egitto, Usa e Autorità palestinese, l’unica carta rimasta all’organizzazione è la solidarietà dell’opinione pubblica araba. Solidarietà che perderebbe di senso di fronte all’immagine degli stessi ufficiali dell’organizzazione intenti a cooperare con i servizi segreti israeliani per colpirsi l’un l’altro.
E se così fosse, perché non estendere il sospetto ad altri casi? Chi avrebbe assistito le esecuzioni mirate in Libano contro il leader di Hezbollah Imad Mughnieh e quelle a Damasco? Insomma Hamas rischia di uscire dall’affaire Dubai danneggiata quasi quanto il Mossad stesso. Perché è difficile immaginare che un’organizzazione un tempo leggendaria come il Mossad e oggi ridotta a mandare alla ventura ben 30 uomini con passaporto falso per eliminare un conto sospeso nel 1986 sia riuscita da sola a eliminare Mahmoud Abdel Rauf al-Mabhouh.
(Fonte:Terra, 27 febbraio 2010)