24 marzo 1944 – 24 marzo 2010. Per non dimenticare
24 marzo 1944: il massacro delle Fosse Ardeatine
di Carlo Cipiciani
Ci sono storie che sembrano inventate. Come questa. Il 24 marzo 1944, il giorno dopo l’attacco contro l’11a compagnia del III battaglione dell’SS Polizei Regiment Bozen in via Rasella a Roma, dove restano uccisi 31 militari tedeschi e 2 civili (altri 10 soldati moriranno nei giorni successivi), per ordine di Adolf Hitler viene decisa una rappresaglia di 10 italiani per ogni tedesco ucciso.
Ci sono storie che sembrano incubi. Come questa storia di belve con sembianza umana, che parlano tedesco e dicono: “Punizioni esemplari”. La Convenzione di Ginevra del 1929 fa esplicito divieto per gli atti di rappresaglia nei confronti dei prigionieri di guerra. Ma al comando tedesco non importa. Ci si aggrappa ai codici di diritto bellico nazionali che consentirebbero la rappresaglia. Ma si violano anche quelli: non si aspettano le 24 ore di rito perché i responsabili si consegnino, non si indaga su eventuali responsabilità, non si risparmiano civili innocenti, non si fanno avvisi alla popolazione. Ci vuole una punizione esemplare, una rappresaglia.
Ci sono incubi che sono storia. Una punizione esemplare, una parola che mette i brividi, una regressione per la bestia umana che anima il nazismo già agonizzante. Hitler vorrebbe far saltare in aria un intero quartiere di Roma con tutti quelli che lo abitano, e per ogni poliziotto tedesco ucciso vorrebbe far fucilare da 30 a 40 italiani. Himmler dà ordine di cominciare ad organizzare la deportazione di tutta la popolazione maschile dei quartieri più pericolosi, famiglie comprese rastrellando le persone dai 18 ai 45 anni e solo per motivi logistici. Alla fine la decisione: 10 italiani per ogni soldato. Se sono partigiani prigionieri bene, sennò pazienza. Ebrei, comunisti, detenuti comuni, gente rastrellata per caso, testimoni scomodi. L’importante è che la belva umana sia sazia.
Ci sono incubi che durano da 66 anni. Herbert Kappler, ufficiale delle SS e comandante della polizia tedesca a Roma, già responsabile del rastrellamento del Ghetto di Roma e delle torture contro i partigiani nel carcere di via Tasso, comanda le operazioni, coadiuvato dal capitano Priebke. Un plotone di soldati tedeschi blocca l’accesso alla cava di arenaria, 4 camion portano 335 persone all’incrocio di via Fosse Ardeatine e via delle sette chiese. Arrivano 5 auto piene di SS armati di tutto punto. Scendono lentamente, molti di loro sono stati torturati. Le SS li spingono dentro la cava, cominciano le esecuzioni. I soldati lanciano bombe a mano nella cava, e si infierisce senza pietà anche sui corpi senza vita. Poi due serie di mine servono a nascondere o almeno a rendere più difficoltosa la scoperta di quest’eccidio. Anche le belva provano vergogna.
Ci sono storie che fanno orrore. Finita l’esecuzione, i tedeschi affiggono pure nelle vie di Roma un manifesto in cui il comando tedesco promette che se vengono consegnati gli attentatori non ci sarà nessuna rappresaglia (anche se su questa parte della storia abbiamo ricevuto alcuni messaggi da parte dei nostri lettori che ci dicono non sia vera). Per coprire le loro colpe. Ma anche la terra ha orrore, si ribella: i corpi senza vita emanano un odore così forte che i tedeschi sono costretti a tornare, il 25 marzo, per far saltare ancora la cava. E la voce si sparge sulle strade di Roma. In molti sanno cosa c’è lì sotto, alle Fosse Ardeatine. In molti fingeranno di non saperlo.
Ci sono storie che sembrano un sogno, un incubo, un orrore che non riesce a spegnersi dopo 66 anni. Ma è storia, sono accadute, proprio qui davanti ai noi. Ci sono 335 persone innocenti massacrate per vendetta, in mezzo all’assurda guerra dove milioni di uomini finirono in un camino solo perché ebrei. Storie di cui si è persa la memoria, che si preferisce non raccontare, perché ormai è passato. Storie di un passato che bisogna lasciarsi alle spalle.
E’ vero che tanto tempo è passato. E’ vero che altri incubi disumani compiuti da tanti compongono quest’assurda storia dell’uomo che si fa belva, parlando tedesco, italiano, russo, turco, inglese, serbo, arabo, israeliano e chissà quale altra lingua di questo mondo. Sarà. Ma anche per questo io resto qui, davanti a questa strada, e mi sembra di vederli tutti lì, i martiri delle Fosse Ardeatine. Antonio, Umberto, Aldo, Ilario, Cesare, Ugo, Giacomo, Enrico, Carlo e tanti altri. Muti davanti a noi. Il vento continua a soffiare su questa storia.
Nella foto: la targa posta alle Fosse Ardeatine in ricordo dei martiri
#1Carla Di Veroli
24 MARZO 1944 – 24 MARZO 2010: NOI RICORDIAMO, TU NON DIMENTICARE di Carla Di Veroli
Il 23 marzo ‘44, nelle prime ore del pomeriggio, un gruppo di appartenenti ai GAP attaccò in Via Rasella un reparto di soldati sudtirolesi del reggimento Bozen alle dipendenze delle SS. L’esplosione di una carica di tritolo al passaggio della formazione militare, seguita dal lancio di bombe e da una sparatoria, provocò la morte di 33 dei 156 militari. Come risposta all’azione Hitler ordinò una terribile “rappresaglia” o repressione collettiva, per usare un termine più appropriato, che venne così stabilita: per ogni tedesco ucciso, 10 sarebbero stati gli italiani fucilati. Durante la notte H. Kappler, capo della SS romane, ed il capitano E. Priebke stilarono la lista dei condannati a morte, che il mattino del giorno dopo venne integrata con altri nominativi dal questore di Roma Pietro Caruso. In tutto vennero prelevati, dalle carceri e dalla strada, 335 uomini, 5 in più rispetto alla proporzione stabilita. Trasportate in una cava in disuso sulla via Ardeatina, nel pomeriggio del 24 marzo le vittime vennero fatte inginocchiare con le mani legate dietro la schiena e trucidate una dopo l’altra con un colpo di pistola alla nuca, Ad eccidio concluso, i tedeschi fecero saltare con l’esplosivo l’ingresso del sito. Il giorno 25 marzo ‘44 sui giornali romani apparirà uno scarno comunicato del comando tedesco di Roma: “(…) Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il Comando tedesco, perciò ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti-badogliani saranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito.” Del tutto infondata è la tesi, fatta circolare dai fascisti e trasformatasi ben presto in credenza popolare, che l’eccidio sarebbe stato evitabile se i gappisti si fossero consegnati alle autorità. Questa “leggenda nera”, è completamente priva di verità. Lo confermarono gli stessi nazisti come risulta dagli atti dei processi a Kesserling e a Kappler, che dichiarò: “Per questo fatto di Via Rasella non feci alcuna richiesta alla popolazione. Non era di mia competenza”. Questi i fatti. Per l’entità delle vittime, la strage delle Ardeatine, voluta dai nazisti più per terrorizzare i romani, rei di non collaborare con i nazifascisti che per punire i responsabili dell’azione partigiana, rappresenta una delle più terribili ferite inferte alla città di Roma. Il 24 marzo ‘44 fu irrimediabilmente leso il diritto che appartiene alla persona umana e alla storia. 335 persone vogliono dire centinaia di vite spezzate, di sogni infranti, di figli non nati. Mancata progenie: è un reato che formalmente non esiste, e quindi non c’è prescrizione. 335 persone massacrate vogliono dire madri, mogli, figli, fratelli improvvisamente ed ingiustamente privati dei loro cari, vogliono dire famiglie intere gettate nella disperazione e nella miseria. Alle Fosse Ardeatine , per assurdo, i nazisti realizzarono idealmente anche se nella tragedia, l’unità del popolo italiano, in considerazione dell’eterogeneità delle vittime: ”(…) Gli uccisi sono tutti uomini, ma questo non fa che rendere centrale il ruolo delle donne nella sopravvivenza e nella memoria. L’azione partigiana di Via Rasella e la strage nazista delle Fosse Ardeatine non sono un evento solo, ma due eventi distinti , connessi tra loro da una relazione evidente ma tutt’altro che automatica: l’azione partigiana di Via Rasella fu la più clamorosa ma non l’unica né la prima in cui dei tedeschi vennero uccisi nel centro di Roma. Ce ne furono molte altre, e nessuna fu seguita da un’analoga rappresaglia. La storia delle Fosse Ardeatine non si chiude lì, con l’ordine ricomposto dopo il massacro, soprattutto perché non sono solo il luogo in cui molte storie finiscono, ma anche quello da cui un’infinità di altre storie si diramano. Da lì riparte una battaglia per il significato e la memoria che si svolge sulle pagine dei giornali, nelle aule dei tribunali, nelle lapidi sui muri e nelle cerimonie” (A. Portelli “L’ordine è già stato eseguito”) . Sessantasei anni dopo, la nostra memoria non si è affievolita, ma anzi si rafforza ogni giorno di più e ci impone di vigilare e rinnovare l’impegno affinchè le nuove generazioni coltivino i valori permanenti della civiltà e delle uguaglianze, del rispetto dei diritti delle persone e soprattutto della libertà. Abbiamo un fardello sulle nostre spalle che non possiamo e non vogliamo depositare, per noi stessi e per i nostri figli: l’impegno a non dimenticare.
Carla Di Veroli
#2paola
Grazie Carla Di Veroli per aver fatto un po’ di precisazioni storiche sempre necessarie a combattere la mistificazione dei fatti: in primo luogo nessun appello del comando tedesco e, in secondo luogo, ma non per importanza, il fatto che l’azione di via Rasella fu un atto di guerra, e non un attentato come viene spesso impropriamente definita, e un atto di guerra contro l’esercito dell’occupante, concordato dai GAP con il CLN, ma su questo aspetto sarà più circostanziato Portelli, che tu citi. Bisogna aggiungere che quei civili rastrellati nelle strade furono in primo luogo i passeggeri del tram che passava per via Quattro Fontane, schierati, nella tristemente celebre fotografia, davanti ai cancelli di palazzo Barberini, e poi finiti alle Fosse Ardeatine http://www.facebook.com/photo.php?fbid=395940096526&set=a.394027086526.171775.244204026526&ref=nf.
Mia madre e mio padre erano su quel tram, e si salvarono soltanto perché mio padre prese la rapidissima decisione di scappare prima che arrivassero i tedeschi.
#3Roberto Giuliano
Cara Carlal’condivido l’orrore per l’eccidio ma secondo me ci sono alcuni dubbi sui mandanti, prima cosa ame no risulta che il CLN fosse d’accordo ma fu una decisione preso solo da i GAP e sembra che che ci sia una motivazione strumentale che a Regina Coeli c’era il gruppo dirigente del PCI Unitario o anche definiti Bandiera Rossa, i quali erano si comunisti ma non erano di osservanza sovietica e la loro eliminazione era necessaria per i comunisti Togliattiani, visto l’arrivo degli alleati. questo aspetto della storia non toglie nulla alla brutalità dei nazisti ma certo se questo aspetto fosse vero come alcuni storici in solitudine dichiarano mette in altra luce anche il ruolo del PCI.
#4Emanuel Baroz
Dalla pagina dei nostri amici di Progetto Dreyfus riportiamo il seguente post pubblicato oggi, in occasione dell’anniversario dell’eccidio nazista delle Fosse Ardeatine:
24 MARZO 2014: A 70 ANNI DALL’ECCIDIO DELLE FOSSE ARDEATINE, PROGETTO DREYFUS RICORDA L’EROICA RESISTENZA PARTIGIANA, IL TENTATIVO DI LIBERARE L’ITALIA DAL CANCRO NAZIFASCISTA.
NON DIMENTICA LE 335 VITTIME INNOCENTI, ITALIANI TRUCIDATI PER MANO DI KAPPLER, PRIEBKE E HASS.
E NON DIMENTICA NEANCHE GLI ITALIANI FASCISTI CHE SI RESERO COMPLICI DELLE RAZZIE E DELLE FUGHE NAZISTE, COME NEL CASO KAPPLER.
Intanto, l’On. Emanuele Fiano ha presentato oggi una interrogazione parlamentare, rivolta al Ministro dell’Interno Alfano, in cui si chiede di prendere provvedimenti contro la manifestazione tenutasi ieri a Milano dall’organizzazione di estrema destra Memento, per celebrare dell’Anniversario della Fondazione dei Fasci di combattimento avvenuta a Milano in Piazza San Sepolcro nel 1919.
Nel 2014 l’Italia non ha ancora una memoria condivisa, né vede applicata la sua Giustizia.
MA NOI RESTIAMO, ORA E PER SEMPRE, ANTIFASCISTI.
https://it-it.facebook.com/ProgettoDreyfus/photos/a.387495981326769.85422.386438174765883/607619749314390/?type=1&stream_ref=10
#5Parvus
Forse nessuno ci pensa, ma calcolando i morti per l’olocausto, è come se i tedeschi avessero compiuto 4 stragi delle fosse ardeatine ogni giorno ai danni degli ebrei.
#6Emanuel Baroz
Gli ebrei romani e l’eccidio nazista «Ecco come morì il cugino di Zevi»
Lunedì l’anniversario delle Fosse Ardeatine. In una lettera del ’44 la prima testimonianza della Comunità: Coen era in contatto con l’intelligence inglese.
di Paolo Brogi
ROMA – Quattordici settembre 1944. Nella Roma che dal 4 giugno era «amministrata» dagli americani, Silvio Ottolenghi, da poco Commissario straordinario della Comunità Israelitica, si siede alla macchina da scrivere e batte una lettera per l’Egregio signor Coen commendatore Enrico, via Poli 29. «La Comunità ha appreso col più vivo dolore la notizia della morte del vostro diletto Saverio trucidato barbaramente alle Fosse Ardeatine…».
– Un foglio ingiallito
Questo foglio ingiallito conservato all’Archivio della Comunità ebraica e da poco riscoperto, è il primo documento ufficiale in cui gli ebrei romani parlano della strage. Un tratto a lapis in alto segna 119, l’angolo in basso è mezzo accartocciato, la lettera comunica un vivo senso di tragedia già per come si presenta.
«Il nome del Martire e dei suoi compagni Caduti – prosegue il testo – rimarrà eternamente scolpito nei nostri cuori, ti prego di accettare le più affettuose condoglianze a nome della Comunità Israelitica e mie personali e di rendertene interprete anche verso la desolata vedova ed i suoi piccini. Affettuosamente, il Commissario straordinario».
– La salma «289»
La pietosa riesumazione dei 335 corpi orrendamente ammassati in due mucchi di cadaveri dentro le gallerie delle cave Ardeatine si era appena conclusa il 6 settembre. Ascarelli era stato nominato a capo del team il 26 luglio, e per 35 giorni aveva lavorato ininterrottamente (salvo le domeniche e ferragosto) per ridare un nome a quei poveri corpi in parte privi perfino della testa. La salma di Saverio Coen era la 289.
L’avevano ritrovato vicino alla parete della galleria, bocconi, col cranio da cui mancava la parte occipitale, nel pugno destro ancora alcune noccioline. I pantaloni erano tenuti su da due fazzoletti legati insieme. Aveva una matita automatica, un portamonete di cuoio, una banconota da 500 lire, un’immagine di Sant’Antonio, un fazzoletto con le iniziali SC.
– Spiato da una donna tedesca
Ascarelli scrisse nella scheda 289: «Religione cattolica. Commerciante. Sottotenente automobilista, guerra 35-36. Arrestato il 22 febbraio e tradotto a via Tasso e poi a Regina Coeli, al III braccio, dalle SS tedesche». E ancora: «Appartenente alla razza ebraica, presentatosi a via Tasso per ritirare documenti che gli erano stati sei giorni prima trattenuti dalla SS tedesca, fu arrestato. Anche la famiglia fu ricercata».
Saverio Coen era commerciante in via del Tritone, ma frequentava il Partito d’Azione, e aveva rapporti con l’intelligence inglese a Roma. Conosceva una donna, con madre tedesca, che lo spiava. E che forse lui spiava a sua volta. Dallo scoppio della guerra era cercato dai fascisti ma andava in giro intemerato. Laureato alla Sapienza era stato carrista in Abissinia.
– Medaglia d’argento
Il cenno che ne dà Ascarelli, di religione cattolica, è forse relativo a una conversione di copertura. Ascarelli stesso, che sentiva i parenti per redigere le sue schede, sottolinea che era un ebreo. Era in ogni caso cugino di Bruno Zevi.
Dal carcere scrisse lettere ai suoi bambini Pier Enrico e Giancarlo: «Amatevi fra di voi, aiutatevi, rispettate sempre la vostra cara mamma e prendete moglie simile a Lei e sarete felici. Amen. Vi bacio….».
Alla memoria di Saverio Coen è stata assegnata una medaglia d’argento al valor militare. Nella lettura dei nomi che ogni anno risuona alle Ardeatine il suo nome è quello del 67o caduto.
(Fonte: Corriere della Sera, 23 marzo 2014)
#7Emanuel Baroz
Il testimone della democrazia
di Eraldo Affinati
Il 23 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine i nazisti fucilarono 335 civili e militari italiani, come rappresaglia per la morte di 33 soldati del reggimento Bozen che, il giorno precedente, erano stati uccisi mentre sfilavano in via Rasella dai partigiani dei gruppi di azione patriottica romani. Queste aride cifre, puntualmente ripetute in occasione dei frequenti anniversari, si sono trasformate nel tempo in una specie di crosta talmente spessa da rischiare di nascondere la ferita e il sangue versato.
Per riuscire a capire ciò che davvero accadde nella capitale occupata dovremmo idealmente scendere giù, in quelle buie gallerie, insieme alle vittime e ai carnefici, dove venne compiuto il massacro. I soldati sparavano a bruciapelo alla nuca dei prigionieri e poi gettavano il corpo nella cava. Alcuni non morivano subito. Altri si ribellavano. I cadaveri si accatastavano in pile confuse. Le esecuzioni avvenivano al flebile chiarore delle torce. Ragazzini e adulti aggrovigliati nel terrore. Era una bolgia infernale appena fuori dalle vecchie mura, a due passi dalle catacombe di San Callisto e Santa Domitilla. Sembrano eventi lontani, che appartengono ad altre epoche, ma il capitano Priebke, uno dei responsabili, morto a cento anni, fino a poco tempo addietro si recava a fare la spesa dalle parti di Forte Boccea.
Ricordo quando lo dissi ai miei studenti dell’istituto professionale, adolescenti irrequieti, molti dei quali abitavano a due passi da lui: restarono ammutoliti, come se la seconda guerra mondiale, che poco prima mi ero affannato a spiegare alla lavagna cercando di richiamare la loro attenzione, fosse diventata attuale.
Quando il nuovo presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, appena eletto, si è recato sul luogo dell’eccidio, molti di noi hanno sentito i brividi scorrere sulla pelle. Finalmente un gesto pubblico in cui identificarsi e dal quale ripartire per non lasciare nelle bacheche impolverate delle commemorazioni ufficiali il sacrificio degli eroi morti in nome della democrazia di cui noi oggi disponiamo.
L’errore più grande che potremmo commettere sarebbe quello di considerare quanto accaduto 71 anni fa un evento che riguarda soltanto il passato. Al contrario, i valori capaci di squarciare il buio delle Fosse Ardeatine sono quelli costantemente oltraggiati dalle vicende di corruzione che coinvolgono tutto il Paese e troppo spesso si concentrano proprio nella nostra città. Il testimone trasmesso dai poveri martiri dovremmo raccoglierlo oggi contro chi imbratta la carta costituzionale per cui essi sono caduti.
(Fonte: Il Messaggero, 23 Marzo 2015)
#8Progetto Dreyfus
24 MARZO 1944: IL MASSACRO DELLE FOSSE ARDEATINE. PER NON DIMENTICARE
Roma, Via Rasella, 23 marzo 1944: nelle prime ore del pomeriggio, un gruppo di appartenenti ai GAP (Gruppi di Azione Patriottica) attaccò in Via Rasella un reparto di soldati sudtirolesi del reggimento Bozen alle dipendenze delle SS. L’esplosione di una carica di tritolo al passaggio della formazione militare, seguita dal lancio di bombe e da una sparatoria, provocò la morte di 33 dei 156 militari. L’attentato, come verrà reso noto in seguito, fu un avvertimento della Resistenza italiana contro gli invasori tedeschi.
Come risposta all’azione, Hitler ordinò una terribile rappresaglia che venne così stabilita: per ogni tedesco ucciso, sarebbero stati fucilati dieci italiani. Durante la notte Herbert Kappler, comandante delle SS a Roma, assieme al capitano Erich Priebke, stilarono la lista dei condannati a morte, che il mattino successivo venne integrata con altri nominativi dal questore di Roma Pietro Caruso. In tutto vennero prelevati detenuti politici e comuni dalle carceri di Regina Coeli e di Via Tasso e altri uomini dalla strada: 335 uomini, 5 in più rispetto al numero stabilito. I cinque malcapitati in più nell’elenco furono trucidati con gli altri perché, se fossero tornati liberi, avrebbero potuto raccontare quello che era successo.
Trasportate in una cava in disuso sulla via Ardeatina, nel pomeriggio del 24 marzo le vittime vennero fatte inginocchiare con le mani legate dietro la schiena e trucidate, una dopo l’altra con un colpo di pistola alla nuca. I tedeschi, dopo aver compiuto il massacro, infierendo sulle vittime, fecero esplodere numerose mine per far crollare le cave ove si svolse il massacro e nascondere, o meglio rendere più difficoltosa, la scoperta di tale massacro. Sarà proprio Kappler che, quattro anni più tardi, racconterà, nel corso del processo a suo carico, la dinamica dell’eccidio.
Un trafiletto su Il Messaggero del giorno dopo notificò al mondo che il massacro si è compiuto.
Per saperne di più su questa pagina nera della storia italiana clicca qui: http://www.focusonisrael.org/2010/03/24/fosse-ardeatine/
https://www.facebook.com/ProgettoDreyfus/photos/a.387495981326769.85422.386438174765883/1607293289347026/?type=3&theater
#9Maurizio
FOSSE ARDEATINE. L’INFAME COMUNICATO
Settantaquattro anni fa era in corso per mano tedesca, sotto l’occhiuta direzione di Kappler, l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Il massacro di 335 civili inermi era cominciato verso mezzogiorno.
Questa mattina su Rai Storia la tragica vicenda è stata ricordata in una trasmissione presieduta da Paolo Mieli alla quale ha partecipato la storica Simona Colarizzi e tre giovani studenti universitari. A un certo punto si è accennato al comunicato che uscì due giorni dopo il massacro sull’ “Osservatore Romano” organo del Vaticano. Mieli l’ha menzionato come una presa di posizione equidistante fra l’azione di guerra dei Gap partigiani a Via Rasella e la vendetta nazista delle Ardeatine. Non fu così. Certo nel comunicato non si applaudì al massacro ma nelle prime tre righe esso fu addebitato moralmente ai partigiani. Il giorno prima, su “Il Mesaggero”, era stata data notizia dell’eccidio, informando che l’ordine di assassinare 10 italiani per ogni militare tedesco morto era “già stato eseguito”. “Di fronte a simili fatti – sentenziò il comunicato papalino – ogni animo onesto rimane profondamente addolorato in nome dell’umanità, e dei sentimenti cristiani. Trentadue vittime da una parte: trecentoventi persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all’arresto, dall’altra”.
Tutte le vittime, sia i militari tedeschi sia i civili assassinati, furono caricate sulle spalle dei partigiani che, in pieno centro cittadino, avevano compiuto un legittimo atto di guerra contro l’occupante nazista che, tra l’altro, violava quotidianamente lo status di “città aperta”, cioè smilitarizzata, di Roma. Questa è la verità, comunque la si voglia giudicare. Del resto la presa di posizione vaticana corrispondeva pienamente all’atteggiamento politico della Santa Sede riguardo al conflitto in corso. Per principio esso era condannato in nome dell’umanità offesa, secondo la dottrina cattolica, ma politicamente il papato pacelliano era dominata soprattutto dalla paura del comunismo. Ne dà testimonianza, fra gli altri, l’allora ambasciatore tedesco Ernst von Weizsacker in Vaticano il quale riferisce a Ribbentrop il 23 agosto ’43 che il segretario di Stato cardinale Maglione gli aveva rappresentato la sua, e certamente non solo sua, ansietà per come andava la guerra in Russia. “Il destino dell’Europa – disse l’alto prelato – dipende da una vittoriosa resistenza della Germania sul fronte russo”. Qualche giorno prima, il 3 agosto, l’ambasciatore aveva informato Berlino che ”In Vaticano la situazione italiana è considerata minacciosa. Nessuno crede più nella vittoria dell’Asse…il bolscevismo rappresenta realmente una preoccupazione primaria”. Il giorno dopo, 4 agosto, in un altro dispaccio faceva presente le diffidenze che la Santa Sede nutriva addirittura verso il governo Badoglio: ”La cosiddetta libertà che esso promette ha aperto la porta ai movimenti comunistici…In realtà la Chiesa oggi è preoccupata. Il comunismo rimane il nemico più pericoloso della Chiesa nella politica sia estera che interna.” Il 24 settembre nuova comunicazione di Weizsacker: ”Il sogno del Vaticano [era] che le potenze occidentali riconoscessero i loro veri interessi, finché erano ancora in tempo e agissero in comune coi tedeschi per salvare la civiltà occidentale dal bolscevismo…”. Probabilmente non è da escludere che queste ultime due comunicazioni dell’ambasciatore attenessero più ai suoi desideri che a effettive posizioni vaticane, ma che il Papa nutrisse paura più per i comunisti che per i tedeschi ce lo dice anche il suo atteggiamento durante l’occupazione tedesca di Roma. Le preoccupazioni di Pio XII furono rivolte soprattutto a evitare un’insurrezione della città contro i nazifascisti per timore che essa fosse egemonizzata dai comunisti. Il 14 ottobre il cardinale Maglione si rivolse all’ambasciatore tedesco Von Weizsacker per chiedere un impegno dei tedeschi a prevenire un ”moto insurrezionale comunista”.
Due giorni dopo, i nazisti entrarono nel ghetto di Roma, rastrellarono e deportarono nei campi di sterminio 1.023 ebrei, tra cui donne e bambini. A guerra finita ne tornarono solo 15. Tre giorni dopo il rastrellamento, il Pontefice Pio XII, sempre angosciato dai comunisti, esprimeva al rappresentante americano Tittman, ricevuto in udienza, il suo allarme per le ”piccole bande comuniste che agiscono nei dintorni di Roma”.
La reazione vaticana alla deportazione degli ebrei, fatta il 16 ottobre quasi sotto San Pietro e i sacri palazzi apostolici, si fece attendere. Solo il 26 si poté leggere sull’Osservatore Romano una nota alquanto criptica: “L’Augusto Pontefice… non ha desistito un solo momento dal porre in opera tutti i mezzi in suo potere per alleviare le sofferenze che in qualunque modo sono conseguenza dell’immane conflagrazione. Questa multiforme e incessante azione di Pio XII, in questi ultimi tempi si è anche maggiormente intensificata per le aumentate sofferenze di tanti infelici”. Una reazione ben diversa da quella per l’eccidio delle Ardeatine e l’azione di via Rasella. Tanto è vero che il 28 ottobre 1943, Weizsäcker, nella sua relazione al Ministro degli esteri tedesco, poteva rassicurare il governo nazista sul fatto che “Il Papa, benché sollecitato da diverse parti, non ha preso alcuna posizione contro la deportazione degli ebrei da Roma” e che “Egli ha fatto di tutto anche in questa situazione delicata per non compromettere il rapporto con il governo tedesco e con le autorità tedesche a Roma. Dato che qui a Roma indubbiamente non saranno più effettuate azioni contro gli ebrei, si può ritenere che la spiacevole questione per il buon accordo tedesco-vaticano sia liquidata”. Quell’ “indubbiamente” fu oltre modo bugiardo, alle Fosse Ardeatine, com’è noto, ci furono, tra le vittime, 75 ebrei che furono assassinati solo per essere tali.
Sulla figura di Pio XII si è scritto molto. Soprattutto si è molto dibattuto sull’atteggiamento troppo prudente, per usare un eufemismo, nei confronti del nazismo e dell’Olocausto. Tant’è che gli ebrei si sono più volte opposti alla sua beatificazione da parte della Chiesa. I suoi esaltatori nel dopoguerra lo definirono “defensor urbis” per sottolinearne i meriti di protettore di Roma durante la guerra. A sostegno di Papa Pacelli è stata portata l’azione della Chiesa nel dare soccorso dentro conventi, chiese e palazzi vaticani a ebrei e antifascisti in fuga dai nazifascisti. Ma dal Papa, di fronte all’aberrazione nazista culminata nello sterminio razziale, ci si aspettava ben di più. Ci si aspettava la parola e la testimonianza del profeta, del “defensor humanitatis” contro l’orrore inumano, non il calcolo del politico.
Perché è quel calcolo che dettò l’infame comunicato del 26 marzo sull’ “Osservatore Romano” contro i partigiani.
#10Progetto Dreyfus
24 Marzo 1944: il massacro delle Fosse Ardeatine. PER NON DIMENTICARE
https://www.progettodreyfus.com/fosse-ardeatine/