TV: E’ POLEMICA SU FICTION PIO XII, PER EBREI E’ PATACCA BERNABEI REPLICA, NON E’ A SENSO UNICO, PIENO RISPETTO VITTIME
di Alessandra Magliaro
(ANSA) – ROMA, 1 NOV – “Patacca propagandistica, opera apologetica con una lettura assolutoria e piena di errori”: mentre su Raiuno va in onda la seconda e ultima puntata di Sotto il cielo di Roma, si fa sentire fragorosamente la voce del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che bolla così, in un’intervista al mensile ebraico Shalom, la fiction prodotta dalla Lux Vide di Ettore Bernabei.
Di Segni, che tra l’altro è stato un importante collaboratore della Lux rappresentando la religione ebraica nel comitato di esperti religiosi che diede vita al kolossal della Bibbia, si dispiace dello ‘strappo’ e dice: “La Bibbia rispettava le varie sensibilità, lo sceneggiato di oggi è invece a senso unico, con l’aggravante di una impostazione storica carente, piena di errori e imprecisioni, con scelte politiche gravi, come ad esempio la rimozione delle responsabilità fasciste”.
Il presidente della Lux Bernabei dice all’ANSA che non vuole “fare polemica con Di Segni” e qualche reazione era nel conto perché “non potevamo mica essere solidali e plaudenti”. E replica: “Non è assolutamente una fiction a senso unico. Abbiamo agito nel rispetto delle vittime, della popolazione ebraica mostrando nel film che si svolge in due piani paralleli quello che accadde nel Vaticano e dentro il Ghetto. Tutti quelli che ci hanno lavorato, hanno pensato, pur senza avere tra le mani un documentario ma una fiction, a ricostruire osservando la verità storica come emerge dai documenti che si conoscono ad oggi. Il Papa voleva salvare Roma dal rischio di una guerra guerreggiata in città e ci riuscì”.
Del resto, Papa Ratzinger, vedendo in anteprima Sotto il cielo di Roma nella residenza di CastelGandolfo il 9 aprile scorso, aveva apprezzato la fiction che racconta l’occupazione nazista a Roma e la figura di Pio XII, nel dicembre scorso proprio da lui fatto beato riconoscendone in un decreto le virtù eroiche. Ma che il tema della produzione Lux Vide dei Bernabei fosse più delicato non c’erano dubbi. La figura di Papa Pacelli è stata giudicata dagli storici in modo controverso: non prese posizioni ufficiali contro le deportazioni degli ebrei nei campi di sterminio e allo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto di Gerusalemme, c’é una fotografia di Pio XII la cui didascalia definisce ‘ambiguo’ il suo comportamento.
Alla presentazione alla stampa la settimana scorsa, Bernabei aveva avvertito: “Nessun rappresentante ufficiale della comunità ebraica ha visto Sotto il cielo di Roma, però persone del mondo e della cultura ebraica lo hanno visto in parte durante il montaggio. Non è che potessero condividere l’intera impostazione di quei temi – aveva ammesso il presidente della Lux – ma non risulta che per ora si sia sentito offeso qualcuno dal film”.
Secondo la produzione, la fiction è equilibrata riflettendo il dramma di Pio XII “che con la sua prudenza, rendendosi conto dei rischi anche sulla propria persona, si comportò con intelligenza politica e impedì che Roma fosse travolta dalla guerra”.
Per realizzare Sotto il cielo di Roma, sceneggiato da Fabrizio Bettelli e Francesco Arlanch, una commissione di storici ha valutato i documenti sull’azione del papato in quel periodo e secondo il direttore di Rai Fiction, Fabrizio Del Noce, “la fiction dà un contributo di equilibrio. Gli argomenti, grazie anche alla professionalità della Lux Vide, sono trattati in maniera non faziosa, e riproporre episodi importanti della nostra storia recente è un diritto-dovere del servizio pubblico”. E Bettelli: “Escluso per noi fare un manifesto di qualsiasi posizione storica, abbiamo puntato ad una ricostruzione equilibrata”. Sotto il cielo di Roma, con protagonisti di James Cromwell (Pio XII), Alessandra Mastronardi, Marco Foschi, Ettore Bassi e Cesare Bocci (mons. Montini), nel ripercorrere la storia dall’8 settembre ’43 al giugno ’44 mostra un papa sollecitato da più parti a intervenire su quello che i nazisti stavano facendo in città, mettendo in evidenza tutti i tentennamenti della situazione tra il voler agire rumorosamente e il fare silenziosamente.
Nella prima foto in alto: l’allora arcivescovo Pacelli, poi Papa Pio XII, abbandona il palazzo presidenziale di Berlino, nel Marzo del 1929
Nella seconda foto in alto: 20 luglio 1933: il Segretario di Stato del Vaticano, Eugenio Pacelli, che nel 1939 diventerà papa col nome di Pio XII, firma il Concordato fra la Germania nazista e la Santa Sede, ovvero il Reichskonkordat. Nella foto sotto, ripresa da più lontano, è riconoscibile all’estrema destra Giovanni Battista Montini, che in seguito, nel giugno del 1963, diventerà papa Paolo VI
#1Emanuel Baroz
Pio XII: Troppe omissioni, troppe falsificazioni, troppa acriticità
Per gentile concessione di Shalom il testo completa dell’intervista
“La fiction ‘Sotto il cielo di Roma’ è una patacca propagandistica, è un’opera apologetica”. Il giudizio del rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni
E’ appena terminata la visione in due puntate dello sceneggiato ‘Sotto il cielo di Roma’ che racconta le ore più drammatiche dell’occupazione nazista e di come si comportò il Vaticano verso gli ebrei. Che sensazioni, che giudizio ne trae?
Molto semplicemente direi che questo sceneggiato è una patacca, che persegue una finalità ben precisa, quella di dimostrare l’assoluta bontà di quel Pontefice e la giustificazione politica e morale di tutto ciò che ha fatto. La questione quanto mai controversa non si può esaurire con una discussione rapida e semplificata che finisce con una assoluzione finale scontata e apologetica, senza mostrare tutti gli aspetti e tutti i dati. Lo dico con particolare rammarico personale, avendo collaborato a lungo anni fa con la società produttrice del filmato, che quando produceva film di argomento biblico era molto attenta alle differenti sensibilità. Lo sceneggiato di oggi è invece a senso unico, con l’aggravante di una impostazione storica carente, piena di errori e imprecisioni, con scelte politiche gravi, come ad esempio la rimozione delle responsabilità fasciste. Tra i tanti errori, anche il falso, come la circostanza che l’intervento vaticano avrebbe fatto finire in anticipo la razzia del 16 ottobre. Non è vero, i tedeschi andarono avanti indisturbati secondo il loro programma, nessuno non solo li fermò, ma neppure tentò di farlo. Insomma, è un vero peccato che con tanto investimento di risorse e di bravi attori il risultato sia stato solo un film di propaganda.
Pensa quindi che questo lavoro televisivo sia stato per cosi dire commissionato?
Questo non lo posso sapere. Posso solo osservare che su questa storia c’è una drammatica discussione in corso da moltissimo tempo, con opinioni contrapposte . Questa fiction appoggia in pieno, senza mediazione, una delle due opinioni. Mi meraviglio anche come la Rai abbia potuto consentire una realizzazione così parziale, venendo meno all’obbligo di informazione obiettiva di un servizio pubblico.
Le perplessità, le critiche sono rivolte in fondo ad un prod otto televisivo che persegue uno scopo commerciale, che avrà una vita breve, che non sarà certamente utilizzato da storici e ricercatori. Questo non costituisce forse una sorta di piccola attenuante?
Il problema è che il prodotto televisivo, a differenza del saggio storico, è facilmente fruibile, entra con prepotenza e con facilità nelle case degli italiani e non tutti hanno le capacità e le nozioni per guardarlo e per giudicarlo con occhio critico. Molti, questo è la nostra preoccupazione, prenderanno per buone le omissioni, le falsificazioni e le acriticità presenti nella fiction. Un esempio: per spiegare il silenzio di Pio XII, si cita il caso dei Vescovi olandesi che protestarono contro la persecuzione antiebraica, cosa che causò un accanimento da parte dei nazisti con l’aumento delle deportazioni. La tesi dei difensori di Pio XII, esplicitamente citata nella fiction, è che il Papa alla luc e della triste esperienza dei Vescovi olandesi preferì tacere piuttosto che complicare la situazione. Bisogna però fare alcune osservazioni. Se ci fosse stato un risveglio generale molto forte delle coscienze, e non solo nel caso olandese, quello che è accaduto forse non sarebbe accaduto; milioni di cattolici erano militari nelle potenze dell’Asse e il silenzio del loro capo spirituale poteva suonare come tolleranza.
In un altro caso, al contrario di quello olandese, la forte protesta religiosa e poi politica ha impedito le deportazioni: è quello che ha fatto la Chiesa ortodossa in Bulgaria, spingendo il governo e il re; è un fatto che mi coinvolge da vicino poiché lì abitavano i miei nonni materni, che si salvarono con altre decine di migliaia di ebrei. Ma nella storia olandese c’è un altro aspetto di cui di solito non si parla, perché si pensa solo in termini di ebrei contrapposti ai cosidetti ariani. Esist eva in realtà tra i due una terza fascia di popolazione, non insignificante, costituita da coppie miste, di figli di matrimoni misti e loro discendenti, di ebrei battezzati, tutte tipologie già prese in considerazione dalle leggi razziali, che rispetto agli ebrei dovevano essere molto più protetti da parte della Chiesa. Di questo erano ben consapevoli i nazisti, criminali sì ma non sprovveduti dal punto di vista politico, che utilizzavano questa fascia come strumento di pressione sulla Chiesa. E’ quello che succede in Olanda, dopo la protesta dei Vescovi questo gruppo viene preso e deportato nei campi di sterminio.
Attenzione però, le vittime di questa ritorsione non furono 40.000 come detto disinvoltamente nella serata di Porta a Porta, ma un gruppo di 694 ebrei cattolici e di 850 ebrei protestanti (di questi ultimi la maggioranza sopravvisse) La vittima più famosa è Edith Stein, una ebrea tedesca che si era batte zzata e si era fatta suora e ora è santa, patrona d’Europa. Quindi i nazisti esercitarono il ricatto non tanto sugli stessi ebrei, che comunque sarebbero stati sterminati nelle camere a gas, ma su questi casi misti. Ed è ciò che al contrario accadde a Roma: nella retata del 16 ottobre 1943 vennero arrestate molte persone, dopo di che iniziò la selezione e un certo numero fu rilasciato. Sono queste le persone di cui la Chiesa si preoccupò veramente, in modo attivo e discreto, sapendo che se avesse protestato non sarebbero state liberate da sole. Ma se avesse protestato forse si sarebbero salvati anche gli altri 1090, semplici ebrei. Fece bene il papa a tacere e non rischiare? Possiamo almeno ammettere che questo va discusso senza arrivare a facili conclusioni? E poi perchè fermarsi alla storia degli ebrei romani? La Shoà riguardava tutta l’Europa, culla della cristianità.
E’ tutta la struttura della fiction che va a senso unico, a cominciare dal tema che lega la trama, il progetto nazista del rapimento del Papa. Ora, ammesso il progetto abbia avuto un suo sviluppo, c’è da chiedersi perché non sia stato realizzato; a parte il clamore e la protesta che avrebbe suscitato, quale sarebbe stata la ragione per i nazisti di rapire un Papa tanto acquiescente? Il 28 ottobre 1943 l’ambasciatore tedesco a Roma scriveva a Berlino in un rapporto confidenziale: “Il Papa, benché sollecitato da diverse parti, non ha preso alcuna posizione dimostrativa contro la deportazione degli ebrei di Roma. ….egli ha fatto di tutto anche in questa situazione delicata per non compromettere il rapporto con il Governo tedesco e con le autorità tedesche a Roma.”
Attorno al papato di Pio XII dobbiamo ancora leggere molti documenti e molte carte che il Vaticano non ha ancora reso accessibili. Esistono però tre punti fermi fra loro molto divergenti che bisogna c onsiderare. Il primo è che la Chiesa di Pio XII anche nel 1943 continuò a manifestare un forte antiguidaismo, dichiarando ‘meritevoli di conferma’ le leggi razziali italiane e francesi. Il secondo è l’opera di salvataggio svolta da molti conventi ed istituzioni religiose cattoliche, sebbene alcune delle quali solo a fronte di un pagamento. Il terzo punto riguarda attestazioni di stima e di riconoscenza di parte del mondo ebraico, dal 1945 ai primi anni ’60, come ad esempio quello di Golda Meir. Tutto ciò non le appare quanto meno contraddittorio?
La questione è complessa così come tutto il papato di Pio XII e la reazione successiva a quel papato. Sulle leggi razziali bisogna dire innanzitutto che la Chiesa cattolica arriva al 1943 con un passato antico e recente di ostilità verso il popolo ebraico. Ostilità che in Italia si è manifestata con l’emanazione delle leggi razz iali quando la Chiesa non protestò per l’intero impianto, ma espresse critiche solo per quella parte della legislazione che non riconosceva i matrimoni misti. Non si può capire nulla di ciò che è successo in quegli anni se non si tiene conto che allora l’ebraismo non era affatto nelle simpatie o nella protezione della Chiesa cattolica, si trattava pur sempre di “perfidi giudei” che scontavano il deicidio e la loro ostinazione. Ma il fatto che vi siano stati salvataggi durante l’occupazione di Roma è innegabile, è un fatto che non si può omettere o non riconoscere con gratitudine per i singoli religiosi e le singole istituzioni religiose cattoliche che tanto si prodigarono per la salvezza degli ebrei. Non è possibile un giudizio tutto bianco o tutto nero; la realtà è molto più complicata.
Sul terzo punto bisogna dire che il popolo ebraico appena uscito dalla Shoa ed invest ito del compito di curarsi le ferite e di costruire lo stato di Israele aveva problemi ben più urgenti dell’affrontare il processo storico riguardo Pio XII. Su questo presunto silenzio ebraico bisognerebbe indagare meglio, sa tanto di leggenda. Il fatto poi che Golda Meir con un telegramma o l’orchestra israeliana con un concerto abbiano espresso ringraziamenti non modifica il giudizio o perlomeno i termini del problema; e bisogna anche pensare al contesto storico e alla tristissima necessità del nascente stato ebraico di trovare aiuti e sostegni di fronte al nuovo tentativo di distruggerlo. Un comportamento, quello di Golda Meir (che non era politicamente perfetta….) che per altro non ha prodotto alcun beneficio: abbiamo dovuto attendere ancora molti anni prima che lo Stato di Israele vedesse il suo riconoscimento da parte del Vaticano. In quel famoso primo decennio postbellico i rapporti ebraico cristiani erano semplicemente quelli di prima, istituzional mente gelidi. Il dialogo è stato inventato dopo. Attribuire ai servizi segreti comunisti la paternità del ripensamento ebraico sulla figura di Pio XII dopo la sua morte è una leggenda, è un modo per eludere il dibattito.
Elemento non secondario del dibattito attorno all’operato di papa Pacelli attiene alla sua santificazione. Si tratta di un aspetto della teologia cattolica sul quale il mondo ebraico si è sempre detto non competente. Ma allo stesso tempo l’eventuale santificazione di Pio XII sarebbe per ulteriore motivo di incomprensione. Può spiegare meglio questo aspetto?
Bisogna fare una distinzione. La beatificazione è un atto interno alla Chiesa che ha le sue motivazioni, i suoi rituali, una logica sui quali non abbiamo il diritto di interferire. Il problema è sul significato e sull’impatto dal punto di vista storico. Se la beatificazione significa che vengono pr emiate le sue virtù eroiche e religiose è un processo che ci lascia assolutamente indifferenti. Ma se la beatificazione è il riconoscimento della giustezza di certi comportamenti storici e questi comportamenti non sono chiari e anzi sono criticabili per molti aspetti, se la beatificazione vuole essere una sorta di lavatrice della memoria (di indifferenza se non di ostilità antiebraica) allora tutto questo lascia veramente perplessi.
In realtà il mondo cattolico, come ogni altro mondo, è umanamente diviso tra chi non tollera l’idea di dover ammettere errori commessi nel passato, specialmente se tali errori possono essere stati commessi dai suoi massimi rappresentanti e chi invece ritiene che le persone e le istituzioni possono sbagliare e si può andare avanti tenendo conto di questi errori, correggendoli per il futuro. La grande discussione non si risolve con le semplificazioni delle assoluzioni.
La questione su Pio XII è oggi uno degli elementi che rendono difficile la prosecuzione del dialogo tra ebraismo e cattolicesimo, un dialogo zoppicante. Oggi a che punto ci troviamo?
Il processo di pacificazione, questo è forse un termine migliore del dialogo, tra Chiesa cattolica e popolo ebraico è estremamente complicato. Ha fatto passi importanti negli ultimi decenni ed è un fenomeno storico di grandissima rilevanza al quale personalmente tengo molto. C’è da dire però che su questo processo tanto difficile spesso si assiste, con espressione comune, ad un passo avanti a cui seguono due passi indietro subito dopo e quindi ogni momento di questo difficile confronto ci riserva delle sorprese o delle delusioni. Non è stata certamente una sorpresa la dichiarazione finale del Sinodo delle Chiese del Medio oriente ma è stata chiaramente una delusione. Voglio invece dire che abbiamo molto apprezzato la nomi na del nuovo responsabile per i rapporti con l’ebraismo, il neo nominato cardinale Kurt Koch che nel corso della manifestazione in ricordo del 16 ottobre ha usato parole molto forti e precise anche sulla responsabilità cristiana nel periodo della Shoa. Per cui sul dialogo ebraico-cristiano non si può trarre un giudizio unico: esistono molti elementi di perplessità accanto a molti motivi positivi e di speranza.
Vorrei però sottolineare una questione che ritengo centrale. Il dialogo tra Ebraismo e Cristianesimo è una urgenza alla quale non possiamo sottrarci e anche se possono esserci momenti difficili, non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo.
Quando si potrà esprimere un giudizio definitivo sul pontificato di Pio XII, solo dopo che saranno stati resi pubblici tutti i documenti?
Il ritardo nell’apertura degli archivi indica che molte cose potrebbero essere rivelate e questo potrebbe significare che ci vorrà ancora molto tempo.
(Fonte: Kolot.it, 2 Novembre 2010)
#2Emanuel Baroz
TV: PACIFICI, FICTION SU PIO XII REVISIONISMO INACCETTABILE
(ANSA) – ROMA, 2 NOV – “Un revisionismo inaccettabile”: questo il giudizio del presidente della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici sulla fiction tv dedicata a Pio XII. “La stragrande maggioranza del mondo ebraico e parte di quello non ebraico – spiega – ha un giudizio preciso sul modo in cui si comportò Pio XII: avrebbe potuto intervenire e non lo ha fatto; non ha protestato quando venne violata la Basilica di San Paolo dai nazisti e dalla banda Koch, portando via famiglie di ebrei, tra i quali il nonno di mia moglie Ezio Spizzichino. Soprattutto non protestò e non scese per strada, non portò la solidarietà, come fece in occasione del bombardamento di San Lorenzo, quando deportarono gli ebrei”. “Eppure – precisa – è un fatto riconosciuto che insieme al silenzio di papa Pacelli molti enti religiosi, molti conventi accolsero, ospitarono e salvarono gli ebrei romani. Si è trattato di una grande opera meritoria di cui noi siamo e rimarremo sempre riconoscenti e grati”. “Ma questa riconoscenza – continua Pacifici – non può impedirci di ricordare innanzitutto che alcuni ordini religiosi, alcuni conventi, accolsero ebrei o in cambio della conversione al cristianesimo, e i bambini ebrei battezzati sono tantissimi, o in cambio di denaro e quando il denaro fu esaurito gli ebrei furono messi alla porta. Di questo aspetto, certamente non glorificante, gli autori della fiction non hanno tenuto conto e sarebbe auspicabile che la Rai volesse produrre una nuova storia televisiva su quegli anni, ma raccogliendo tutte le sensibilità, non omettendo nessuna scomoda verità”. Sulla santificazione di Pio XII, Pacifici osserva che se fosse legata al modo in cui si comportò durante il secondo conflitto mondiale, “ciò costituirebbe una offesa non solo per il popolo ebraico, ma anche per quei tanti uomini e donne di Chiesa che con azioni attive, positive – anche a rischio della loro vita – e non con il silenzio salvarono gli ebrei”.
TV: LARAS, FIGURA PIO XII ELEMENTO FRENANTE SU DIALOGO
(ANSA) – ROMA, 2 NOV – La figura di Pio XII è destinata “a rimanere un elemento frenante lungo il percorso del dialogo ebraico-cristiano”. Lo sostiene il rabbino Giuseppe Laras, ex presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, che così interviene sulla fiction tv dedicata da Raiuno alle vicende di papa Pacelli. “E’ fuor di dubbio che allora – aggiunge Laras che all’epoca della visita alla sinagoga di Roma di Benedetto XVI espresse forte contrarietà dopo le decisioni del papa proprio su Pacelli – mancò da parte di Pio XII una condanna aperta, ferma e netta, dei crimini perpetrati dai nazisti contro gli ebrei, e non solo. E così mancò la voce del papa anche durante la deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma il 16 ottobre, operata in pieno giorno e di fronte a tutti. Alcuni, da parte cattolica, giustificano tali silenzi con la preoccupazione del pontefice di evitare un acuirsi delle persecuzioni, non solo verso gli ebrei ma verso anche talune comunità cristiane”. “Con tutto il rispetto e considerati i tempi drammatici e terribili di cui stiamo parlando, Pio XII – sottolinea Laras – più che da uomo di religione sembra essersi comportato da uomo politico, avendo fatto prevalere considerazioni di ordine strategico-diplomatico anziché religioso, rispettabilissime, ma certo non all’altezza delle attese del momento e del ruolo di autorità morale e spirituale universale ricoperto dal pontefice romano”. Sulla fiction, Laras rileva “l’evidente grande sforzo mediatico di certa parte del mondo cattolico di enfatizzare l’opera di salvezza attivata all’epoca dal papa e dalla Chiesa a favore di alcuni ebrei in quel frangente terribili. Accanto, però, ai molti esempi fulgidi di dedizione, altruismo e coraggiosa generosità, non possiamo nascondere – spiega – l’esistenza di tante storie di segno radicalmente opposto, come, ad esempio, tentativi di conversione al cristianesimo, a volte effettivamente realizzatisi, operati nei confronti di alcuni ebrei perseguitati che avevano trovato asilo in talune istituzioni cattoliche”.
TV: FOXMAN, FICTION SU PIO XII MOSTRA SOLO PARTE VICENDE
DIRETTORE ANTI-DEFAMATION LEAGUE, SI APRANO GLI ARCHIVI
(ANSA) – ROMa, 2 NOV – “Il film secondo quello che mi hanno raccontato mostra soltanto una parte delle vicende ed esprime un solo punto di vista. E questo certo non incoraggia il dialogo”. Così Abraham Foxman direttore nazionale dell”Anti-Defamation Leagué giudica, in una dichiarazione all’ANSA, la fiction di Raiuno su papa Pio XII. “Finché non avremo a disposizione tutti i documenti degli Archivi Vaticani – ha aggiunto Foxman che in questi giorni si trova a Rooma – non possiamo che definire ambigua la politica di papa Pacelli. Solo dopo l’apertura di quegli archivi con tutte le informazioni a disposizione, potrà esserci un giudizio definitivo. Per questo sono assolutamente d’accordo con la definizione di ambiguità usata nei confronti di Pio XII dallo Yad Vashem, il Sacrario della Memoria di Gerusalemme” “Nella fiction tv, sempre in base a ciò che mi hanno detto, ci sono soltanto – ha concluso – le cose positive. Ci sono stati molti italiani che hanno aiutato gli ebrei in quei momenti terribili, ma non sappiamo se lo abbiano fatto per seguire la loro coscienza o perché lo abbia detto la Chiesa. non ci sono documentazioni”.
#3Emanuel Baroz
Rav Elia Richetti (Ari) – “Omissioni di un film assolutorio”
Intervenendo a proposito della fiction televisiva Sotto il cielo di Roma dedicata a papa Pio XII, il presidente dell’Assemblea rabbinica italiana rav Elia Richetti ha dichiarato: “Se l’intento di chi ha scritto e prodotto la fiction Sotto il cielo di Roma era agiografico e assolutorio nei confronti di Papa Pio XII, temo che lo scopo non si sia raggiunto. Troppe le omissioni, ma soprattutto incredibili e scarsissimamente documentate le ambientazioni, non solo ebraiche ma anche cattoliche, mostrate nel filmato.
A partire da un ghetto di Roma nel quale non si intravede mai la Sinagoga maggiore, da ebrei osservanti che il venerdì sera si ritrovano in un’osteria (anche l’oste con la kippah!) a suonare la fisarmonica, da ebrei nessuno dei quali ha un cognome anche solo vagamente ebraico, fino a riti cattolici inesistenti, preti senza croci eccetera, il pressapochismo lancia un’ombra di incredibilità anche agli eventi storici più incontrovertibili.
Sia ben chiaro: la Chiesa – o le persone di sua fiducia – ha il diritto di difendere il suo operato, di mettere in risalto gli indubbi atti di carità del Papa nei confronti di molti ebrei non solo di Roma. Ma ciò non giustifica, a mio avviso, alcune scelte redazionali: il già citato pressapochismo e la mancata citazione di eventi e di personaggi di un certo rilievo. Forse Papa Pacelli avrebbe meritato avvocati migliori”.
(Fonte: Rassegna Ucei, 3 Novembre 2010)
#4Emanuel Baroz
Risposte incaute
di Gadi Polacco, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Nell’intervista rilasciata a Rossella Tercatin ( http://moked.it/blog/2010/11/02/ettore-bernabei-sotto-il-cielo-di-roma-ricostruzione-storica-veritiera/ ) in seguito all’anteprima dell’apologetica miniserie su Pio XII, Ettore Bernabei esprime un paio di bizzarri concetti che, se non ci fosse in sottofondo la tragedia di quegli anni, si potrebbero anche classificare come esilaranti.
“Gli sceneggiatori hanno voluto evitare le posizioni ufficiali riguardo alla figura del pontefice. Non si sono schierati né da una parte né dall’altra……” e infatti è proprio dal sito della Lux Vide, la società di Bernabei e soci,che apprendiamo come “Lux Vide ha lavorato sui documenti per la causa di beatificazione di Pio XII …” che, con tutto il rispetto, non sono certo di fonte autonoma e indipendente.
In qualche modo ammirevole è anche, nel tentativo di minimizzare i dubbi circa ciò che Pio XII avrebbe forse potuto fare, la seguente affermazione: “In fondo il papa è il vescovo di Roma, e quindi Pio XII si è fatto carico di salvare più vite possibili nella sua diocesi….”. Insomma, il Papa ridotto alla potenzialità di un curato locale, non proprio Don Camillo Monsignore, ma quasi, concetto che, per fare un paragone più recente, avrebbe potuto pertanto giustificare un disinteresse di Wojtyla per la sua Polonia in quanto “solo” e lontano Vescovo di Roma!
Un tipico esempio di come non sia sempre possibile dare un colpo al cerchio e uno alla botte….
http://moked.it/blog/2010/11/03/risposte-incaute/
#5mike
“Quando si potrà esprimere un giudizio definitivo sul pontificato di Pio XII, solo dopo che saranno stati resi pubblici tutti i documenti?”
praticamente mai, come su qualunque altra cosa su cui non si abbiamo tutti i documenti a disposizione
io sono sionista – vi prego di credermi – ma per la stessa qualita’ di ragionamento di segni dovrebbe per esempio criticare un film come exodus, e tutte le opere di propaganda sionista, che scordano di approfondire (per dirne una) il rapporto di reciproco sfruttamento che ci fu tra gli agenti dell’agenzia ebraica e dell’hagana negli anni 30 e il regime nazista. controverso, difficile da analizzare senza troppe carte in mano, difficile da spiegare al grande pubblico, e quindi omesso 🙂
questo su pio xii e’ un film, punto e basta. trovo imbecille fare i puntigliosi quando ci si comporta in maniera identicamente superficiale e propagandistica su altri discorsi.
#6Alberto Pi
Pio XII voleva che i nazisti vincessero la guerra per fermare il comunismo
Sotto il cielo (nero) di Roma. I documenti che inchiodano le falsità della fiction televisiva.
Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino
Ogni chiesa ha i suoi chierichetti. Assistono il prete durante la messa, portano il secchiello dell’acqua benedetta e i santini per i fedeli. O, meglio ancora, per gli infedeli. Se ne trovano a tutte le età, anche se sono per lo più ragazzi allevati nelle parrocchie con corsi per catecumeni. Si distinguono perché hanno un contegno, uno stile comunicativo, che lo stesso esercizio del chierichetto obbliga ad avere. Toni persuasivi, quasi da confessori, voce bassa e sicurezza per le proprie verità. Sono espressioni, direbbe Foucault, del potere che deforma e rende gli uomini a sua immagine e somiglianza.
Un esempio di chierichetto in una messa televisiva solenne è il solito Bruno Vespa con il suo “Porta a Porta”. Imperversa da tempi immemorabili su Rai Uno tutte le sere tra il lunedì e il giovedì, in seconda serata. Come le febbri malariche endemiche che si presentavano a intermittenza e che gli antichi, non sapendo come definire, chiamavano terzane maligne e quartane …
I conteggi l’hanno fatta da padrone tra il surreale e l’osceno. Va’ be’, dicevano i sacerdoti della sacra audience televisiva, saranno pure stati deportati mille ebrei romani tra il 16 e il 18 ottobre 1943, finiti qualche giorno dopo nelle camere a gas del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Ma, diciamocelo, il principe romano Eugenio Pacelli, passato alla storia come papa Pio XII, in fondo ne ha salvati più di quattromila in conventi e monasteri, nei mesi dell’occupazione tedesca.
Bisognava vederli Paolo Mi eli, presidente della Rcs libri, e l’inossidabile Bruno, inforcare gli occhialini da vista per spiegare al popolo numeri e statistiche. Certo, il buon Pacelli ha fatto opera di carità, non c’è dubbio. Se n’è stato zitto zitto nelle sue stanze del palazzo apostolico in quei giorni tragici, mentre sotto le sue finestre scorrevano le fila interminabili di ebrei prelevati dalle loro case romane come animali e condotti ai vagoni ferroviari per avviarli verso la morte. E se Pio XII avesse alzato la voce, hanno aggiunto, altre migliaia di inermi cittadini sarebbero stati cacciati a calci e pugni dentro i carri bestiame della stazione Tiburtina. Non vi è dubbio.
Bella storia ci raccontano Vespa, Mieli e gli altri ospiti presenti in studio. Bel servizio pubblico ci rende la Tv di Stato. Quasi che la disputa fosse sull’odio o l’amore che Pacelli provava nei confronti del popolo eletto. Una sciocchezza, questa dell&rsqu o;avversione atavica verso gli ebrei da parte del Vaticano, grande quanto il cupolone di San Pietro.
I documenti ci offrono scenari diversi. Sono carte che abbiamo raccolto negli ultimi tre anni negli archivi nazionali britannici di Kew Gardens, non lontano da Londra. E’ stato un lavoro metodico, di scavo tra le migliaia di rapporti del Foreign Office e del German Foreign Ministry (Ministero degli Esteri tedesco), sequestrati dalle truppe alleate a Berlino nel 1945 e copiati uno per uno a Londra e a Washington negli anni successivi. Un patrimonio di inestimabile valore costituito da milioni e milioni di documenti. Nel nostro Archivio di Partinico, in via Catania 3, ne conserviamo varie centinaia riguardanti, appunto, le attività di Pacelli nei primi anni del conflitto.
“Con la sconfitta della Russia, risulterebbe quanto meno inevitabile il forte indebolimento dell’influenza bolscevica nel mondo.” Così si esprime un membr o della Curia romana dinanzi all’ambasciatore germanico presso la Santa Sede, il 24 giugno 1941. Sono passate appena quarantotto ore dall’attacco di Hitler contro l’Unione sovietica. “Si è temuto che il bolscevismo emergesse come potenza europea e che, anzi, rimanesse incolume a livello planetario fino alla fine del conflitto.” Peccato che il tentativo di indebolire il bolscevismo sia costatao la vita a trenta milioni di persone sul fronte orientale. E meno male che la Chiesa cattolica romana si manifesta come apostolica.
Ma la santa pietà non finisce qui. Il 12 luglio 1941, il ministero degli Esteri tedesco redige un corposo documento segreto intitolato “Rapporto sulle attività del Papa”. Le informazioni provengono da un “confidente attendibile” che, qualche settimana prima, ha appreso di un colloquio animato tra il rappresentante statunitense in Vaticano, Harold Tittman, e Pacel li. Tittman chiede al pontefice ragguagli sull’eccessiva tolleranza della Santa Sede nei confronti dei dittatori. Pacelli risponde piccato: “Gli Stati Uniti dovrebbero comprendere la posizione del Vaticano. Il conflitto russo-tedesco sta per cominciare. Il Vaticano farà di tutto per accelerarne lo scoppio e per convincere Hitler ad agire, con la promessa di un sostegno morale. La Germania dovrebbe sconfiggere la Russia, ma si indebolirebbe a tal punto che, nei suoi confronti, si potrebbe procedere [da parte degli Usa e della Gran Bretagna] in maniera totalmente diversa.”
In buona sostanza, il papa cerca di far credere a Tittman che l’appoggio del Vaticano a Hitler è una strategia sottile che ha un duplice scopo: la sconfitta dell’Urss, con il conseguente annientamento del bolscevismo, e l’inevitabile indebolimento della Germania nazista che, seppur vittoriosa, sarebbe costretta, obtorto collo, a trovare un accordo geopolitico con gli Usa e la Gran Bretagna. Un’idea, questa, abbastanza diffusa all’epoca. Anche negli Usa, se è vero che il futuro presidente americano John F. Kennedy lo scriveva nei suoi articoli.
Il 10 dicembre 1942 Picot, un funzionario del ministero degli Esteri tedesco, invia all’ambasciata presso la Santa Sede in Roma, una nota confidenziale. Vi si afferma che il rappresentante di Roosevelt in Vaticano, Myron Taylor, si è incontrato con il papa per discutere un eventuale negoziato di pace tra le potenze belligeranti. Pacelli se ne esce con una frase agghiacciante. I governi di Stati Uniti e Gran Bretagna, a suo parere, “non sarebbero in grado di opporsi sufficientemente alla pressione dei partiti comunisti. In maniera inevitabile, un’ulteriore espansione del bolscevismo in Inghilterra e in America, porterebbe il Vaticano ad avvicinarsi alle potenze dell’Asse, che diverrebbero un bastione contro il bolscevismo e con le quali la Chiesa potrebbe sicuramente stabilire un’intesa dopo la guerra.
Il 23 febbraio 1943, von Bargen, un diplomatico tedesco con sede a Bruxelles, invia a Berlino una nota segreta. Vi si legge di un colloquio avvenuto qualche settimana prima a Roma tra il cardinale francese Suchard e Pacelli. Secondo lo spionaggio nazista “il papa è turbato dai successi militari dei russi e dalla possibilità di un crollo della Germania, che aprirebbe la strada al bolscevismo in Europa. […] Il papa è angosciato innanzitutto dalla minaccia bolscevica.
Meno di un mese dopo, un diplomatico tedesco presso la Santa Sede, Erdmannsdorff, riferisce a Berlino su un colloquio avvenuto ai primi di marzo tra Pacelli e il cardinale americano Spellman. A poco servono le rassicurazioni di quest’ultimo sul “pericolo bolscevico”, un prodotto della propaganda tedesca. Leggiamo: &l dquo;Spellman, come già Myron Taylor, ha ricevuto da Roosevelt l’incarico primario di tranquillizzare il papa sul fatto che il governo sovietico non mira a bolscevizzare l’Europa. Tuttavia, gli ambienti vaticani più influenti ritengono, come in passato, che la Russia non ha rinunciato ai suoi piani di bolscevizzazione del mondo.”
In luglio, l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, von Weiszaecker, riferisce a Berlino di aver illustrato al papa “l’impegno tedesco contro il bolscevismo”. E aggiunge: “Il colloquio, che è durato mezz’ora, è stato sostenuto dal papa in maniera apparentemente pacata. Ma il suo fervore spirituale si è infiammato quando è stata affrontata la questione della lotta contro il bolscevismo, riconoscendo che, su questo tema, gli interessi sono comuni.”
Il 3 settembre 1943, von Weiszaecker scrive: “Un vescovo del la Curia mi ha confidato che secondo il papa, per il futuro della Chiesa cattolica è assolutamente necessario un Reich tedesco forte. E da una trascrizione attendibile di un colloquio sostenuto da un pubblicista politico italiano con il papa, apprendo che questi, ad una domanda sul popolo tedesco, ha così risposto: ‘E’ un grande popolo. Nella lotta contro il bolscevismo, ha versato il suo sangue non solo a beneficio dei suoi alleati, ma anche dei suoi attuali nemici. Non posso pensare che il fronte russo finisca per essere travolto’ [dall’Armata rossa].”
L’8 ottobre lo stesso ambasciatore tedesco annota che “l’aspetto più inequivocabile della politica estera vaticana è oggettivamente l’avversione al bolscevismo. […] Come minimo, la Curia desidera che la Germania sia forte e unita, una barriera contro la Russia sovietica”. E continua: “Il papa è dell’opinione che per il momento non sia possibile intraprendere colloqui di pace. Su questo punto, ora, la politica papale non vede altro sostegno contro il bolscevismo che non sia quello tedesco.”
L’Office of Strategic Services statunitense, alla fine del 1943, redige un documento segreto sulla situazione nella Santa Sede al 13 dicembre 1943. Apprendiamo, così, che durante un colloquio con von Weiszaecker, Pacelli si è così espresso:
“Il papa si augura che i nazisti mantengano le posizioni militari sul fronte russo e spera che la pace arrivi il prima possibile. In caso contrario, il comunismo sarà l’unico vincitore in grado di emergere dalla devastazione bellica. Egli sogna l’unione delle antiche nazioni civilizzate dell’Occidente per isolare il bolscevismo a Oriente. così come fece papa Innocenzo XI, che unificò il continente [l’Europa] cont ro i musulmani e liberò Budapest e Vienna.”
In un rapporto inviato da Kaltenbrunner, responsabile della Sipo e dell’Sd, a von Ribbentrop, ministro degli Esteri germanico, il 16 dicembre 1943, leggiamo, tra l’altro, che “il papa ha infine affrontato il tema del pericolo bolscevico su scala mondiale, lasciando intendere che fino a questo momento soltanto il nazionalsocialismo ha rappresentato una roccaforte contro il bolscevismo”.
Ce n’è abbastanza per tirare una prima valutazione sulla politica di Pio XII nei confronti di ciò che accade sullo scacchiere internazionale nei primi anni del conflitto.
Il papa valuta le forze in campo e opera una scelta preferenziale tra quelle in grado di assicurare al cattolicesimo il predominio sul laicismo. Sono forze che nella sua schematizzazione ideologica si oppongono, in primis, al comunismo. Ma anche all’ateismo, al li berismo, al capitalismo, alla democrazia partecipativa a suffragio universale. Aspetti tutti che esplicitano le molteplici forme della contemporaneità, così come emergono lungo il corso della prima metà del Novecento e da cui si svilupperanno le strategie di consenso di Giovanni Paolo II e del suo ideologo Joseph Ratzinger.
Il tema del “silenzio” di Pio XII sull’Olocausto, ovvero del perché in sei anni di guerra Pacelli non denunciò mai apertamente la persecuzione e lo sterminio degli ebrei, è la diretta conseguenza di un’impostazione storiografica errata e, quindi, fuorviante. E’ un falso problema.
Poteva mai Pacelli condannare apertamente il nazismo, se egli vedeva in questo (a differenza del suo predecessore Pio XI) il regime che, per primo, avrebbe liberato l’Europa e il mondo dal comunismo sovietico? E cioè dalla creatura più bestiale e demoniaca che il Novecento avesse mai partorito?
Naturalmente, nella fiction televisiva, di tutto questo non c’è traccia alcuna. Ci troviamo di fronte, tanto per cambiare, alle solite forme della propaganda occulta di antica memoria. Per quanto si tratti di un prodotto ineccepibile sotto il profilo tecnico, l’impressione che se ne ricava, stando alle anticipazioni, è di un’opera, scusate la parola grossa, pavoliniana. E meno male che, secondo Fabrizio Del Noce, direttore di Rai Fiction, la Rai si è affidata a una “commissione di storici importante”. Chissà, allora, cosa sarebbe successo se la Tv che noi finanziamo ne avesse fatto a meno.
Dice bene Corrado Augias su “la Repubblica” del 15 ottobre scorso: “Lo scopo della fiction è tratteggiare al meglio una figura preparandola alla santità. Non è da sceneggiati come questo che si può pretendere una sia pur approssimativa verit&agrav e; storica.”
http://casarrubea.wordpress.com/2010/10/31/pio-xii-sotto-il-cielo-nero-di-roma/
#7Emanuel Baroz
Lasciamo tutti un commento sul blog della RAI!!!!
http://rumors.blog.rai.it/2010/10/29/rai-uno-sotto-il-cielo-di-roma-alessandra-mastronardi-ettore-bassi-james-cromwell-papa-pacelli-pio-xii-roma-video-fiction/#comment-678
#8Ruben DR
I TRE FALSI NELLA FICTION SU PIO XII
Repubblica — 03 novembre 2010 pagina 28 sezione: COMMENTI
Caro Augias, non so a chi esprimere la rabbia che mi tengo dentro. Per pura «tigna» (cocciuta determinazione) ho visto fino in fondo «Sotto il cielo di Roma». Che ci fosse qualcosa che non andava, era chiaro dalla prima puntata. Nella seconda, difesa ad oltranza della condotta di Pio XII durante l’ occupazione nazista. Il Rabbino capo di Roma si è già pronunciato, ma mi preme far notare che, alla fine, viene ribaltata la visione per cui il Papa in quei mesi si tirò fuori dalla Storia, in pratica lavandosi le mani della deportazione e di tutto il resto. Questo sarebbe perfino tollerabile. È invece falso che: «i nazisti sono andati via senza sparare un colpo, e nessun colpo è stato sparato contro di loro», frase pronunciata dal personaggio del segretario particolare. Lo sa pure mia figlia di dieci anni che i nazisti, abbandonando Roma pressati dagli Alleati, hanno lasciato scie di sangue in città e fuori. Solo di via Rasella hanno parlato con dovizia di particolari, con la solita vecchia tesi che furono i partigiani a causare le Fosse Ardeatine. Sono così indignata che sto per sentirmi male.
Lucilla Pietrantoni [email protected]
Concordo con la signora Pietrantoni e con il sintetico giudizio del rabbino capo di Roma: una patacca. Il filmato aveva una tesi di fondo che voleva dare consistenza alle virtù eroiche di papa Pacelli già ufficialmente riconosciutegli nel dicembre 2009. Nella realtà storica, Pio XII è stato, quanto meno, un papa inadatto al momento terribile che il mondo e Roma stavano passando. Buon diplomatico, cauto negoziatore, severo custode della dottrina, era anche prigioniero dell’ antisemitismo assorbito negli anni di seminario, terrorizzato dalla possibilità che l’ Unione Sovietica vincesse la guerra. Il filmato contiene almeno tre falsi: che i tedeschi si ritirarono senza sparare quando in una delle ultime stragi, a La Storta, venne trucidato tra gli altri Bruno Buozzi; che la razzia fu interrotta su pressioni vaticane; che il papa in persona trattò per dare parte dell’ oro chiesto dagli occupanti. Vero che i conventi ospitarono ebrei, resistenti, comunisti. Anche due persone della mia famiglia godettero di questi rifugi. Vero anche che le gerarchie vaticane non mossero un dito per evitare la razzia e lo scempio. Se il papa, come aveva fatto in luglio dopo il bombardamento di San Lorenzo, si fosse recato, solo, in silenzio, al ghetto, se si fosse inginocchiato a pregare là dove gli sventurati erano stati caricati sui camion, se una foto lo avesse ritratto, egli avrebbe scosso il mondo anche senza dire una parola. Così non fu. L’ ambasciatore tedesco poté scrivere, soddisfatto, che gli ebrei di Roma erano stati portati via facendoli passare quasi sotto le finestre del papa.
[email protected] – CORRADO AUGIAS
#9Parvus
Basti citare un dato: Continuano a menarla sul fatto che il Papa voleva salvare Roma dalla guerra guerreggiata in città e ci riuscì.
Verissimo.
Ma anche dove non c’era il Papa in nessuna città italiana c’è stato scontro fra i tedeschi e gli angloamericani.
Pertanto sarebbe ora che si smettesse con queste menate.
#10giovanni antonio persce
infatti dopo che l’ho vista ,ho detto che era soltanto una patacca. PIoXII è stato soprattutto un accorto capo di Stato che temeva più l’Urss e il comunismo ,nonostante conoscersse che cos’era il nazismo(era sta ambasciatore a Berlino) e fosse stato il Segretario di Stato di PIO XI.IO non cel’ho con lui ed quello che il Vaticano vuole fare non sono assolutamente affari che riguardino gli ebrei,ma mai e poi mai ci chiedano di trasformarlo in quello che non è mai stato.
#11Emanuel Baroz
Riccardo Pacifici: “La Rai faccia un gesto riparatore”
La Rai faccia un “documentario riparatore”. Così il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici commenta la fiction di Raiuno ‘Sotto il cielo di Roma’ trasmessa nelle serate di domenica 31 ottobre e lunedì 1 novembre. “Mi piacerebbe – spiega Pacifici – che i vertici Rai, con cui abbiamo ottimi rapporti, prendessero in esame, anche se ormai il danno è fatto, l’idea di fare un documentario che tenga conto anche del mondo ebraico e delle sue vittime, da rispettare nel loro dolore e nella loro memoria storica. Un progetto forte che rimetta in ordine le cose”. “Quando la Basilica di San Paolo fu violata -ricorda Pacifici- e il nonno di mia moglie Ezio Spizzichino fu catturato, non ci fu una protesta formale presso l’ambasciata tedesca e papa Pio XII non intervenne. Perché il papa andò in mezzo alle macerie di San Lorenzo gridando al dolore mentre non è venuto al Portico d’Ottavia? Perché non ha fermato i treni quando avrebbe potuto farlo?”.
Pacifici pone l’accento anche su un aspetto che ritiene molto pericoloso: “Le fiction entrano nell’immaginario collettivo al di là che ci sia o no la verità storica – sottolinea – ‘Sotto il cielo di Roma’ guarda la storia da un punto di vista che noi non condividiamo, contestiamo e consideriamo un pericoloso tentativo di revisionismo storico, qualora passasse come messaggio universale. Il fatto che il Vaticano ha dovuto utilizzare un mezzo come la fiction per dire la sua verità storica prova che le sue argomentazioni sono deboli”.
“È evidente che la fiction – continua Pacifici- è un’operazione mediatica creata ad arte, finalizzata a costruire un consenso utile a santificare una figura controversa come Papa Pio XII. Il mondo ebraico non vuole introdursi nel discorso della santificazione del papa perché è una questione che non ci riguarda, ma sarebbe molto grave che si cercasse di modificare la realtà storica facendo apparire quel Papa come un eroe della Seconda Guerra mondiale”. “Noi abbiamo un enorme debito di riconoscenza verso tanti uomini di chiesa che si sono adoperati per salvare tanti ebrei – aggiunge Pacifici – Non riconoscerlo sarebbe un atto di ingenerosità e di ingratitudine. Del resto lo testimoniano i 21 mila casi di medaglie dei giusti consegnate dal museo della Shoah (Yad Vashem) a tantissimi esponenti del clero cattolico”. “Non bisogna però dimenticare – dice – quanti criminali nazisti sono riusciti a sfuggire alla giustizia grazie all’aiuto di conventi e prelati che gli hanno dato ospitalità e gli hanno dato lasciapassare e visti per fuggire liberi in sud America e nei paesi arabi, rovescio della stessa medaglia. E non possiamo neanche dimenticare altri ordini monastici che hanno accolto ebrei in cambio di denaro e poi li hanno messi fuori dalla porta senza pietà non appena questo era finito. O quanti invece – conclude – hanno aperto le loro porte in cambio della conversione”.
Secondo Abraham Foxman direttore nazionale dell’ ‘Anti-Defamation League’, è necessario attendere l’apertura degli archivi vaticani per esprimere un parere obiettivo sull’operato di papa Pacelli “Solo dopo l’apertura di quegli archivi con tutte le informazioni a disposizione, – chiarisce Foxman – potrà esserci un giudizio definitivo. Per questo sono assolutamente d’accordo con la definizione di ambiguità usata nei confronti di Pio XII dallo Yad Vashem, il Sacrario della Memoria di Gerusalemme”. “Nella fiction tv, sempre in base a ciò che mi hanno detto, ci sono soltanto le cose positive. Ci sono stati molti italiani che hanno aiutato gli ebrei in quei momenti terribili, ma non sappiamo se lo abbiano fatto per seguire la loro coscienza o perché lo abbia detto la Chiesa. non ci sono documentazioni”.
“La visione che viene data in questa fiction su Pio XII è totalmente fuori dalla storia: ci sono tre episodi che non corrispondono alla realtà dei fatti”. Dice invece il direttore del Museo della Shoah Marcello Pezzetti, “prima di tutto il Vaticano non ha mai fermato la razzia del 16 ottobre che si è svolta invece proprio come era stata programmata dai nazisti, senza interferenze. I nazisti aspettarono due giorni prima di deportare gli ebrei, anche perché si aspettavano una reazione dal Vaticano, ma questa non arrivò mai e loro poterono procedere”. Secondo errore dice Pezzetti “è dire che non è stata espressa condanna dal Vaticano perché in Olanda alla protesta dei vescovi olandesi è seguita la deportazione 40 mila ebrei, cosa assolutamente non veritiera! I vescovi olandesi, ben più coraggiosi di quelli italiani – continua – avevano protestato esclusivamente per gli ebrei che erano diventati cristiani e per i figli e coniugi di matrimonio misto”. “Terzo errore – aggiunge Pezzetti – è il rapimento del papa dato come dato storico certo: non esiste nessuna documentazione su questo, tutto si basa principalmente sulla testimonianza di Karl Wolff, ex assistente di Himmler, noto criminale e noto bugiardo e quindi non è attendibile”.
Per il rav Giuseppe Laras, ex presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, la figura di papa Pio XII è destinata “a rimanere un elemento frenante lungo il percorso del dialogo ebraico-cristiano”. “Con tutto il rispetto e considerati i tempi drammatici e terribili di cui stiamo parlando, Pio XII – sottolinea Laras – più che da uomo di religione sembra essersi comportato da uomo politico”.
http://moked.it/blog/2010/11/03/%E2%80%9Cloperazione-mediatica-per-santificare-pio-xii%E2%80%9D/
#12Alberto Pi
Silenzio assenso in Vaticano
di Francesco Lucrezi, storico
Il carattere violentemente ostile e aggressivo, nei confronti di Israele e dell’intero popolo ebraico, del messaggio finale dell’assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi è già stato ampiamente denunciato, e l’unica cosa importante che resta da appurare è in che misura tali posizioni siano fatte proprie anche dalle alte gerarchie del Vaticano e dalla Chiesa nel suo complesso. Ma c’è una piccola frase, nel velenoso documento, che merita di essere sottolineata, e riguardo alla quale appare assolutamente necessaria una definitiva parola di chiarimento da parte della Santa Sede. Ci riferiamo al passaggio in cui il Sinodo afferma che, avendo il Nuovo Testamento superato il Primo, non ci sarebbe più una Terra Promessa per il popolo d’Israele, perché la “la Terra Promessa è tutta la terra”, e dunque “non vi è più un popolo eletto”. Che vogliono dire queste parole? Quali conseguenze si devono ricavare da esse?
Per rispondere, occorrerebbe innanzitutto chiarire se il Sinodo intendesse riferirsi essenzialmente al moderno Stato d’Israele, come patria del popolo ebraico tornato nella sua “Terra Promessa”, o piuttosto all’intera identità e storia del popolo ebraico, al suo lungo processo di affermazione, nazionale e spirituale, nel tempo e nello spazio.
Nel primo caso, il senso unico e inequivocabile del documento è che lo Stato di Israele non avrebbe più diritto di esistere, non sussistendo alcun diritto del popolo ebraico su quella terra. Le ragioni di questa delegittimazione, certamente, rappresenterebbero un’assoluta novità, dal punto di vista ecclesiastico, giacché mai e poi mai la Chiesa Cattolica, di fronte al fenomeno del sionismo, ha accettato l’idea della sovranità dello Stato di Israele come un diritto di ritorno alla “Terra Promessa”. A lungo, com’è noto, la posizione della Chiesa è stata di assoluta e intransigente contrarietà di fronte all’idea di una qualsiasi forma di sovranità politica del popolo ebraico, su qualsiasi pezzo di terra, in qualsiasi angolo del mondo, rimandando ogni discussione sul tema a dopo che gli ebrei avessero “riconosciuto Gesù” (il Cardinale Merry del Val, incaricato dal papa di trattare con Theodor Herzl, affermò, nel 1904: “finché gli ebrei negano la divinità di Cristo, noi non possiamo pronunciarci in loro favore”); e quando, finalmente, il 30 dicembre 1993, è stato firmato un accordo di reciproco riconoscimento tra Israele e Santa Sede, si è fatta molta attenzione a precisare che tale riconoscimento aveva una natura esclusivamente politica e diplomatica, senza alcuna connotazione e implicazione a livello teologico e religioso (come era già stato ufficialmente puntualizzato, in una nota del 1985, dalla Santa Sede: “l’ambito del dialogo religioso” deve restare “ben distinto dall’ambito politico”, e “l’esistenza dello Stato di Israele e delle sue scelte politiche non devono essere considerate in una prospettiva in sé stessa religiosa, ma nel loro riferimento ai comuni principi del diritto internazionale”).
Ma, al di là di questa evidente forzatura e manipolazione (anzi, proprio in ragione di essa), il messaggio resta chiarissimo: “avete perso il vostro diritto”.
Proprio per il linguaggio adoperato, di tipo più religioso che politico, però, appare più probabile che le parole del Sinodo non intendessero riferirsi al solo Stato di Israele, ma all’intero popolo ebraico. Ed è evidente, in questo caso, che esse rappresentano non già una correzione o una parziale ‘retromarcia’ rispetto al Concilio Vaticano II, ma una totale cancellazione di tutto quanto era stato raggiunto, dopo quasi duemila anni di odio e persecuzioni, con la Dichiarazione “Nostra Aetate” (che ricordava, nel 1965, che gli ebrei “rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento”). Il dono di Dio, secondo il Sinodo, è dunque stato revocato, il Nuovo Testamento non integra e completa l’Antico, ma lo sostituisce e cancella, l’ebraismo non è più la “santa radice” del cristianesimo, ma una gramigna da estirpare.
Ripetiamo: che ne pensa il Vaticano? Silenzio-assenso?
http://moked.it/blog/2010/11/03/silenzio-assenso-in-vaticano/
#13Ruben DR
Davar Acher – Non possiamo tacere
di Ugo Volli
La profonda incrinatura avvenuta nelle ultime settimane nel dialogo col mondo cattolico deve indurci a riflettere con molta cura. Le occasioni e i temi del dissenso sono state due, molto diversi: da un lato lo svolgimento molto spesso marcatamente antisionista del sinodo dei vescovi del Medio Oriente, e dunque il diritto all’esistenza di uno stato ebraico; dall’altro la trasmissione di uno sceneggiato televisivo su Pio XII, con la ripresa martellante della campagna per la sua beatificazione e dunque il nostro diritto a una memoria critica della Shoah.
E però il risultato è stato lo stesso: una forte amplificazione di stampa del punto di vista della Chiesa, una risposta ebraica abbastanza fievole, limitata a singoli interventi non coordinati di rabbini, di intellettuali, di giornalisti, di qualche presidente di Comunità particolarmente sensibile; l’ebraismo italiano in quanto tale, cioè l’UCEI, in queste occasioni non ha saputo o voluto parlare. Le reazioni dell’opinione pubblica e di quasi tutti i settori politici di fronte alle nostre ragioni sono state distratte o comunque poco sensibili, spesso addirittura meravigliate per la nostra reazione agli atteggiamenti della Chiesa.
Come se, nel primo caso, noi non avessimo diritto di parlare di Israele se non per partecipare alla sua condanna già stabilita che si ritiene obbligatoria. (Le violentissime e scomposte reazioni che si sono avute alla partecipazione di Saviano a una manifestazione per Israele dicono la stessa cosa: chi parla per Israele è un nemico del popolo e va emarginato e boicottato.) Come se, nel secondo caso, noi non avessimo diritto di proporre la nostra testimonianza di vittime nella discussione sulla storia della Shoah, ma dovessimo adeguarci alla parte scritta per noi dagli altri, per scopi che non ci riguardano. Se no, se ricordiamo la nostra memoria storica, se pretendiamo di esprimere il nostro giudizio su personaggi pubblici e istituzioni storiche, siamo “ingrati”, “ostinati” e magari anche “perfidi”, per rispolverare una vecchia parola che a sua volta ha una storia dolorosa.
Se dunque in un autorevolissimo consesso della Chiesa si dice che la fondazione di Israele è un'”ingiustizia” da correggere e se sostiene che la “resistenza” palestinese è da appoggiare, se i più autorevoli esponenti del sinodo affermano che non c’è più terra promessa e popolo eletto, dunque che il cuore della Torah (o dell’Antico Testamento, come dicono) è abrogato, tornando a posizioni preconciliari, la cosa piace ai filopalestinesi e interessa poco gli altri. Gli ebrei devono tacere, se proprio non vogliono fare il loro dovere di condannare “l’oppressione coloniale”. Se poi i giornali vaticani dicono che la maggior parte degli ebrei si sono salvati grazie alla Chiesa e dunque al Papa, citando numeri inverosimili e circostanze inesistenti, se lodano un racconto in cui la Resistenza non c’è e i fascisti neanche, scompaginando dunque le basi stesse della nostra “repubblica democratica nata dalla resistenza”, non se ne accorgono né le organizzazioni partigiane, né i partiti e gli intellettuali di sinistra, distratti da temi no global e terzomondisti. E l’ebraismo che protesta suscita “insofferenza” per la sua “ostinazione”, come ha scritto Vittorio Messori in un articolo sul “Corriere” che è difficile non definire minaccioso. Noi semmai dovremmo pensare a un rabbino di Roma il cui allarme non fu ascoltato e poi si convertì, come se l’imprevidenza dei dirigenti comunitari e non l’azione di fascisti e nazisti, nel gelido silenzio della Chiesa, fosse stata la causa della strage.
Vale la pena di tentare un paragone per chiarire questa dinamica, che mi è stato autorevolmente suggerito. Quando un mese fa un professore di provincia ha messo in rete una sua lezione sulla Shoah in cui sosteneva tesi negazioniste o revisioniste, le deplorazioni non sono mancate. Quasi tutti i politici – non la Chiesa – hanno accettato almeno a parole (i fatti li dobbiamo ancora vedere) l’idea di una legge contro il negazionismo. Ma quando il sinodo dei vescovi del Medio Oriente parla contro Israele o le voci cattoliche sostengono una ricostruzione storica unilaterale e inesatta del suo atteggiamento verso le persecuzioni, ci viene chiesto invece di non disturbare il manovratore. La ragione è semplice: la Chiesa per definizione dev’essere buona e non può sbagliare, non può stare dalla parte dei persecutori (anche se Giovanni Paolo II di qualcosa ha pur chiesto scusa…) Gli ebrei invece, almeno da vivi, sono di per sé “ostinati”, anche se forse non deicidi certo mancanti di fede; quando agiscono per difendersi fanno “peccato contro Dio”; chi li ha uccisi in quantità industriali certamente è malvagio, ma questo marchio riguarda solo pochi carnefici nazisti, non i complici fascisti, non l’indifferenza di chi non volle vedere o intervenire, non il popolo tedesco, non la Chiesa che vide, e ufficialmente tacque.
E comunque noi ebrei dobbiamo solo esprimere umilmente gratitudine, non rivendicare diritti, non avere un punto di vista nostro, non cercare di distinguere noi chi ci ha aiutato e chi non l’ha fatto, a chi esprimere gratitudine e a chi dissenso. La cosa che ci viene richiesta è di tacere e magari di assomigliare il più possibile al ricordo folkloristico dei nostri antenati, quei dolci individui disarmati degli Stehtl askenaziti che pregavano, raccontavano meravigliose storie allegoriche, si lasciavano massacrare senza opporre resistenza, le cui favole sono applaudite a teatro..
Eppure noi dobbiamo continuare a parlare; non solo per solidarietà a Israele o per onorare la memoria di chi fu ucciso nella Shoah, non solo per il dovere di quella testimonianza del vero che è così centrale nell’ebraismo. Ma anche per responsabilità verso il paese, in cui viviamo e che è anche nostro, dove la coscienza storica sembra essersi spenta, il senso della nazione dimenticato e l’attaccamento alla democrazia trasformato in sterile polemica di parte. Testimoniando che Israele non è ingiustizia ma realizzazione democratica di un sogno nazionale, abbiamo anche il ruolo di richiamare il valore dell’unità nazionale e della democrazia in Italia; ricordando che il fascismo e la monarchia, non solo il nazismo furono colpevoli di gravi crimini contro i cittadini italiani (gli ebrei e non solo loro), rivendicando il ruolo della Resistenza al nazismo, esponendo le ambiguità della Chiesa in quel periodo, noi ci assumiamo il compito di ricordare le radici laiche e antifasciste della nostra democrazia.
Mi è capitato talvolta di dover lamentare la sovraesposizione mediatica del piccolo ebraismo italiano, chiamato a far da testimone sull’affidabilità democratica di questo o quel politico o a giudicare sull’accettabilità di politiche della memoria, fino all’onomastica stradale. Il duplice attacco della Chiesa e dei suoi difensori alla Sermonti mi ha fatto cambiare in parte idea. E’ vero, noi abbiamo anche il compito di coscienza democratica di questo paese. Lo siamo in quanto minoranza che ha subito l’oppressione e la persecuzione, lo siamo in quanto abbiamo il coraggio di opporre le nostre ragioni al potere più forte che c’è oggi in Italia, quello clericale. Questo ruolo di coscienza è pesante, ma essenziale. Chi ci minaccia, come fa Messori, probabilmente non vuole fare solo a meno del nostro “ostinato” controllo, ma in generale di controlli e contraddittori, per affermare la volontà “provvidenziale” di istituzioni che non vogliono ammettere di aver mai potuto sbagliare.
Ugo Volli
(Rassegna Ucei, 7 Novembre 2010)
#14Alberto Pi
Gattegna: “Dialogo e amicizia. Ripartiamo da patti chiari”
Intervenendo in merito alle recenti polemiche che hanno fatto seguito alla fiction televisiva Sotto il cielo di Roma, il Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna si è espresso riguardo allo stato del dialogo ebraico cristiano con il testo che segue, ripreso integralmente e richiamato in prima pagina dal quotidiano Osservatore Romano nella sua edizione datata mercoledì 10 novembre.
“La trasmissione televisiva delle due puntate della fiction “Sotto il Cielo di Roma” ha rilanciato l’animato dibattito che è in corso da circa cinquant’anni sul comportamento tenuto dal papa Pio XII nei confronti del nazismo in generale e in particolare durante l’occupazione di Roma nel periodo 1943-44.
“E’ un dibattito che rimane aperto sia in sede scientifica, fra gli storici, sia fra coloro che sono favorevoli o contrari alla sua beatificazione, ma credo sia opportuno tenere nettamente separati i due contesti.
Sulla causa di beatificazione, procedura interna della Chiesa Cattolica, gli ebrei non vogliono intervenire, anche perché certamente i più interessati a una verifica incontrovertibile di tutto ciò che riguarda la vita e le opere del papa sono gli stessi promotori e sostenitori della sua beatificazione.
“Riveste invece grande interesse per gli ebrei l’accertamento della verità storica su tutti i fatti avvenuti dal 1938 al 1945, periodo nel corso del quale sono stati messi in atto prima la discriminazione, poi la persecuzione e infine lo sterminio.
“Sarebbe di fondamentale importanza proseguire e completare il lungo e difficile lavoro di ricerca negli archivi, di studio e di valutazione che certamente non può essere svolto in tempi brevi, né può essere trattato con rigore scientifico da una “fiction” televisiva che, per sua stessa natura, è una “finzione” o quantomeno una narrazione soggettivamente trasfigurata dall’ispirazione e dalla sensibilità degli autori.
“Nel corso del dibattito sorto in questi ultimi giorni sono state espresse significative convergenze nel considerare l’opera dignitosa sul piano artistico, ma volutamente e dichiaratamente agiografica della figura del protagonista e, mi permetto di segnalare, ricca di molte inesattezze storiche: su quest’ultimo aspetto è emersa una diversificata gamma di opinioni, tutte ampiamente argomentate, tanto che a questo punto, piuttosto che proseguire nel sostenere teorie contrapposte, sarebbe più utile riprendere il percorso che è stato intrapreso negli ultimi decenni.
“E’ utile ricordare che un nuovo clima e nuovi costruttivi rapporti si sono instaurati tra ebrei e cattolici dopo il Concilio Vaticano Secondo: la promulgazione della dichiarazione Nostra Aetate, l’allacciamento delle relazioni diplomatiche tra il Vaticano e lo Stato di Israele, i viaggi di tre pontefici in Israele, le visite di due papi alla Sinagoga di Roma e infine, proprio finalizzata alle ricerche storiche sul periodo degli anni Trenta e Quaranta, la costituzione della Commissione Bilaterale composta di esperti incaricati di studiare la nuova documentazione, non ancora conosciuta, che sta emergendo dagli Archivi Vaticani.
“Al fine di proseguire con le iniziative dedicate alla reciproca comprensione e all’amicizia, un gesto utile, necessario e certamente apprezzato sarebbe una aperta dichiarazione di rinuncia da parte della Chiesa a qualsiasi manifestazione di intento rivolto alla conversione degli ebrei, accompagnata dall’eliminazione di questo auspicio dalla liturgia del Venerdì che precede la Pasqua.
“Sarebbe un segnale forte e significativo di accettazione di un rapporto impostato sulla pari dignità e sul reciproco rispetto, condizioni queste indispensabili per un futuro di amicizia e solidarietà, le stesse di cui tanti cattolici dettero prova quando, a rischio della propria vita, salvarono migliaia di ebrei dalla deportazione nei campi di sterminio”.
Renzo Gattegna, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
http://moked.it/blog/2010/11/09/gattegna-dialogo-e-amicizia-ripartiamo-da-patti-chiari/
#15Emanuel Baroz
Il presidente israeliano, Shimon Peres, ha rilasciato un’intervista al mensile cattolico “30 Giorni” che lascia perplessi, rendendo difficile capire i suoi motivi. Egli dice all’intervistatore: “Come ripeto spesso, i rapporti sono i migliori possibili da duemila anni a questa parte. Dai tempi di Gesù a oggi non abbiamo mai mantenuto relazioni migliori “. Mi chiedo cosa abbia spinto il Presidente a rilasciare un tale certificato di benemerenza alla Santa Sede, del tutto immeritato secondo molti osservatori. Riassumiamo in breve l’atteggiamento di Benedetto XVI.
Anzitutto sussiste una notevole differenza di trattamento degli ebrei da un lato e dello Stato d’Israele dall’altro. Rispetto e dichiarata amicizia nei confronti degli ebrei e solo riprovazione e critiche acerbe nei confronti di Israele. Per far tornare i Lefebvriani in seno alla Chiesa, Benedetto XVI ha rimesso in vigore il Messale Tridentino nel 2007, restaurando la preghiera perché gli ebrei vedano la luce ( e si convertano al Cattolicesimo). Nel 2008 ricevendo le credenziali dell’ambasciatore d’Israele Mordechai Lewy, il Papa aprì il suo discorso ringraziando il Signore per aver esaudito le aspirazioni del popolo ebraico per una dimora nella terra dei loro padri. Ottimo, ma subito dopo incluse nel discorso quattro pagine di lamentele contro Israele: l’allarmante declino della popolazione Cristiana nel Medio Oriente e le sofferenze della popolazione palestinese, ricordò che il negoziato per le esenzioni fiscali non è ancora terminato e non è risolta la questione dei visti al personale ecclesiastico.
Nel gennaio 2009 durante l’operazione militare israeliana “Piombo Fuso” il Papa parlò cinque volte in sette giorni in favore dei Palestinesi, senza mai dire una parola di solidarietà per la popolazione civile israeliana che subì attacchi missilistici pluriennali. Durante la sua visita in Israele nel maggio 2009 egli osservò “E’ tragico constatare che ancor oggi vengono innalzati muri”. Nessuna comprensione per le ragioni di Israele nel costruire la barriera che ha salvato numerose vite umane impedendo l’accesso dei terroristi palestinesi. Durante la stessa visita il 13 maggio parlando ai profughi palestinesi Benedetto XVI li paragonò alla Sacra Famiglia. Secondo il Vangelo di Matteo la Sacra Famiglia fu costretta a fuggire in Egitto poiché Erode, re degli ebrei, voleva uccidere il bambino. Egli conferisce così ai palestinesi una dimensione teologica.
Il recente sinodo dei vescovi del Medio Oriente ha offerto l’occasione alla chiesa per un ulteriore attacco contro Israele. Il sinodo si è concluso nell’ottobre scorso con un messaggio finale con cui si accusa Israele di agire con ingiustizia nei confronti dei palestinesi i quali soffrono “le conseguenze dell’occupazione israeliana: la mancanza di libertà, di movimento, il muro di separazione e le barriere militari, i prigionieri politici, la demolizione delle case, la perturbazione della vita economica e sociale e le migliaia di rifugiati”. Insomma la chiesa ha finalmente trovato la causa di tutti i mali del Medio Oriente, cioè Israele.
di Sergio Minerbi, diplomatico
(Fonte: Rassegna Ucei, 1 Dicembre 2010)