Un giorno come tutti gli altri. Più di milleseicento giorni che Gilad Shalit è ostaggio di Hamas
di Beppe Segre
Il 25 giugno abbiamo ricordato l’anniversario: erano quattro anni giusti, poi qualcuno ha pensato a lui il 29 agosto, nella data del suo ventiquattresimo compleanno, e aveva solo diciannove anni allora. Era estate, e oggi è una giornata grigia di novembre, siamo nelle nostre tiepide case e guardiamo la pioggia che scende continua. Penso a cosa quante cose sono cambiate nel resto del mondo in questi quattro, cinque anni, e a quante cose ognuno di noi ha avuto la possibilità di fare in un periodo così lungo.
Oggi è un giorno come tutti gli altri, non ricorre nessun anniversario, e quindi nessuno ne parla, ma è il quinto anno, sono più di milleseicento giorni che Gilad Shalit è ostaggio di Hamas. Conviene ricordare che fu rapito sul territorio israeliano in un periodo di tregua, che i compagni della sua pattuglia furono uccisi nell’agguato, che gli altri militari israeliani rapiti in quell’estate furono restituiti cadaveri.
Non sappiamo in che condizioni possa vivere oggi Gilad, in dispregio alle Convenzioni di Ginevra circa il trattamento dei prigionieri di guerra, né la Croce Rossa Internazionale né altre organizzazioni umanitarie hanno avuto la possibilità di verificare le condizioni di prigionia, non è stato possibile neppure fargli pervenire un messaggio dei suoi genitori. Certo è tortura crudele e disumana la condizione di un ostaggio che sa di rischiare in ogni momento di essere ucciso per rappresaglia.
In questi quattro anni sono corse voci di trattative, di possibili scambi con centinaia o forse un migliaio di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Si è discusso se fosse moralmente lecito, per salvare una persona, liberare terroristi assassini che usciti di galera potrebbero ancora uccidere e organizzare attentati. Esponenti palestinesi, dal loro canto, hanno lamentato i tanti, troppi palestinesi incarcerati, le violenze che avvengono nei territori occupati (ricordiamo per l’ennesima volta che Israele si è ritirato dalla Striscia di Gaza da più di cinque anni!) , le vittime civili dei bombardamenti israeliani su Gaza.
La situazione è estremamente complessa, ci sono tante e tante sofferenze, lo sappiamo, e tante cause di dolore: cerchiamo di denunciare, per quello che può valere la nostra voce, ogni violenza, da qualunque parte provenga. Ma Gilad ha già sofferto troppo, e la vita di un ragazzo non può essere sfruttata, oltre ogni limite sopportabile, per il massimo guadagno politico.
Chiediamo a tutti di provare a immaginare che vita possa essere quella di un ostaggio sequestrato per anni, isolato, senza prospettive per il futuro.
Chiediamo alla diplomazia italiana ed ai nostri rappresentanti politici di insistere per mettere in atto la mozione approvata solennemente e all’unanimità dal Senato della Repubblica il 19 luglio dell’anno scorso, in cui si chiedeva al Governo di “adoperarsi con il massimo sforzo per avvicinare la liberazione del giovane soldato israeliano Gilad Shalit e nel frattempo di consentire l’ottenimento di informazioni circa le sue condizioni di prigionia e il suo stato di salute”.
Chiediamo ai movimenti che si definiscono pacifisti e ai politici della sinistra che tentano di dialogare con Hezbollah e con Hamas di non rimanere indifferenti, di esprimere pubblicamente vergogna e disgusto per un simile disumano trattamento.
Un atto di umanità potrà permettere ad ognuno di acquistare un po’ di fiducia nella controparte e di fare un piccolo passo nella direzione del cammino di pace.
(20 Novembre 2010)