Schiene rotte, ganci e catene. Le celle segrete di Abu Mazen

 
Emanuel Baroz
29 dicembre 2010
1 commento

Schiene rotte, ganci e catene. Le celle segrete di Abu Mazen

di Davide Frattini

Il primo giorno Ashraf è stato interrogato da tre uomini, il secondo lo hanno chiuso in cella di isolamento, il terzo sono tornati i tre uomini del primo e lo hanno picchiato, il quarto gli hanno bendato gli occhi, legato le mani dietro la schiena e lo hanno lasciato così per ventiquattro ore, il quinto gli hanno permesso di sedersi restando incatenato e bendato, il sesto l’hanno messo in una stanzetta con il materasso, il settimo hanno tolto il materasso e l’hanno ammanettato alla porta. Gli agenti dei servizi segreti palestinesi lo avevano prelevato all’inizio di settembre dal suo negozio, una vetrina sulla polvere di Hebron. «Dobbiamo parlarti per cinque minuti» , avevano detto. E’ tornato a casa dopo due mesi.

Perché tra il 2007 e il 2009 è stato in un carcere israeliano, dove ha conosciuto Nasat Al Karmi, ricercato con l’accusa di aver ucciso quattro coloni il 31 agosto e ammazzato da Tsahal l’ 8 di ottobre. Perché è un sostenitore di Hamas e dopo l’agguato le forze agli ordini di Abu Mazen hanno voluto stremare i rivali del movimento fondamentalista, 700 arresti in pochi giorni. Ashraf (non è il suo vero nome, ha 30 anni) dice di non essere un attivista, di non essere coinvolto in politica, gli piace Hamas, questo sì, e ha votato per loro. La famiglia è legata al movimento integralista e in Cisgiordania è abbastanza per finire nelle prigioni gestite dalla Sicurezza preventiva, i servizi segreti civili e quelli militari, le tre strutture che qui vengono spesso identificate con una sola parola (mukhabarat) e una tecnica di tortura: shabah. Il prigioniero viene tenuto per ore, a volte giorni, con le mani legate, in piedi su una sedia o attaccato a un gancio. La posizione lo spezza, senza lasciare segni. Ahmad Salhab, un meccanico di 42 anni, fatica a camminare e a muovere un braccio.

Human Rights Watch ha raccolto la sua testimonianza in un dossier sugli abusi nelle carceri dell’Autorità. Anche Ahmad è stato portato via senza mandato e tenuto nella prigione di Hebron, poi trasferito in quella di Gerico. Lo shabah gli ha danneggiato i dischi della colonna vertebrale. «Le denunce continuano ad aumentare — dice Joe Stork, vicedirettore per il Medio Oriente di Human Rights Watch —. Il presidente Abu Mazen e il primo ministro Salam Fayyad conoscono la situazione e devono intervenire».

Da due mesi, gli specialisti della Commissione indipendente per i diritti umani palestinese non possono visitare le prigioni dei servizi segreti, i comandanti del mukhabarat si sono risentiti dopo un rapporto del gruppo che invitava i magistrati a controllarne l’operato. Le denunce di soprusi vengono raccolte dai volontari sparsi in Cisgiordania, in undici mesi sono stati segnalati 126 casi di tortura, dal giugno del 2007 otto persone sono morte durante la detenzione. «Sono arresti politici, senza garanzie — commenta Farid Al Atrash, che segue le aree di Betlemme e Hebron —, una conseguenza dello scontro tra Fatah e Hamas» .

«Stiamo diventando uno Stato di polizia» , avverte un altro attivista per i diritti umani. I palestinesi che se la sentono di criticare apertamente il presidente e i suoi fedelissimi — ha rivelato pochi giorni fa un sondaggio — sono il 27 per cento, ancora meno a Gaza, dove il potere da contestare è rappresentato da Hamas. «Le nostre caserme sono state visitate da delegazioni internazionali e nessuno ha potuto rilevare episodi di abusi» , risponde Abu Al Feda, capo di gabinetto del generale Majed Faraj, che comanda l’Intelligence Generale. L’Autorità palestinese ha proclamato nell’ottobre del 2000 di aver bandito la tortura dalle carceri, dopo le proteste dei Paesi donatori occidentali. Che adesso sono di nuovo preoccupati. «I soprusi sono un danno a lungo termine alla credibilità e legittimità del governo di Ramallah— commenta un diplomatico europeo al quotidiano Financial Times — e creano dei problemi anche a noi: non possiamo contribuire a finanziare un sistema repressivo» .

(Fonte: Il Corriere della Sera, 28 Dicembre 2010, pag. 16)

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  • #1Antonio Colacino

    Figuriamoci se e quando avranno uno Stato, davvero il mondo non ha bisogno di un altro Stato medievale, teocratico, violento ed oscurantista.

    31 Dic 2010, 17:23 Rispondi|Quota
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