M.O.: fallito attentato a gasdotto fra Egitto, Israele e Giordania
Il Cairo, 27 Marzo 2011 – E’ fallito un attentato per far esplodere il gasdotto fra l’Egitto, Israele e la Giordania. Lo ha riferito la sicurezza egiziana, precisando che le bombe piazzate non sono esplose. Forti misure di sicurezza sono state ora imposte attorno alla stazione di pompaggio del gas nella penisola del Sinai. Meno di due mesi fa un’esplosione al gasdotto aveva portato ad una sospensione del flusso di gas.
A seguito di questa scoperta, è stata sospesa per poche ore la fornitura di gas naturale egiziano ad Israele.
(Fonte: Adnkronos e Israele.net, 27 Marzo 2011)
Nella foto in alto: il gasdotto di El Arish dato alle fiamme il 5 Febbraio 2011
#1Alberto Pi
Scenario
La Gerusalemme assediata
Israele stretto tra Siria, Libano e Iran.
di Gea Scancarello
Ebrei ultraortodossi osservano il luogo dell’esplosione a Gerusalemme (Ap Images).
C’è un’equazione sui cui da tempo si arrovellano i mediorientalisti: un morto israeliano a quanti morti arabi corrisponde? La soluzione, nonostante l’ampia casistica, non è ancora stata trovata. L’ordine di grandezza, tuttavia, si misura con il dispiego di armi: i palestinesi accoltellano una famiglia ebraica, Gerusalemme risponde bombardando.
ESCALATION DI VIOLENZA. La regola del più forte è una consuetudine della Galilea. Almeno da quando le nazioni circostanti accolsero la nascita di Israele (1948) con una dichiarazione di guerra. L’ultimo capitolo di un’escalation ininterrotta sono stati i raid su Gaza di marzo, ai quali ha fatto seguito la bomba esplosa a Gerusalemme mercoledì 23.
E il botta e risposta sanguinario è destinato probabilmente a continuare: tensioni e rivoluzioni del mondo arabo minano la sicurezza dello Stato ebraico. Accerchiato dai ribelli che vogliono smantellare l’ordine costituito, e meno protetto dagli americani orfani dell’Egitto. Quindi, sempre più incline a mostrare i muscoli.
Dalla strage dei coloni alla bomba sull’autobus
L’autobus esploso nel centro di Gerusalemme il 23 marzo 2011 (Ansa).
La più recente recrudescenza bellica è stata inaugurata dalla strage di Itamar, colonia ebraica della Cisgiordania settentrionale, lo scorso 11 marzo. Una famiglia di coloni – madre, padre e tre bambini – è stata sterminata da un uomo palestinese, di cui si sono perse le tracce. L’impossibilità ad attribuire una responsabilità non ha arrestato la rappresaglia del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Dopo qualche giorno, approfittando della distrazione della comunità internazionale concentrata sulla Libia, l’aviazione israeliana ha preso a sganciare bombe sulla Striscia di Gaza, roccaforte dei miliziani di Hamas. Gli stessi che detengono la maggioranza nel ‘parlamentino’ dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), storicamente più vicini alla lotta armata che al dialogo.
E la risposta di Hamas è stata immediata: una pioggia di razzi Qassam sui vicini insediamenti ebraici. Questi, poi, hanno esploso con un colpo di cannone. Ultimo episodio, per il momento, lo zaino bomba in centro a Gerusalemme, su un autobus di linea: fine di una ‘tregua’ cittadina durata sette anni.
Gerusalemme sotto il tiro dei nemici
I controlli della polizia israeliana nei dintorni dell’attentato (Ansa).
La deflagrazione ha miracolosamente fatto una sola vittima, ma la reazione emotiva di Israele è stata quella di stragi peggiori. Più che la conta dei morti, pesano le consapevolezze.
A partire dalla provenienza di alcuni dei razzi sparati dai fortini di Hamas. Stando alle fonti di Gerusalemme, si tratterebbe di armi ricevute dall’Iran, triangolate dalla Jihad islamica di stanza in Siria.
L’ASSE PALESTINO-SIRIANO. E proprio con Damasco i responsabili di Hamas hanno avuto intensi scambi negli ultimi giorni. Il capo dei combattenti palestinesi, Ismail Haniyeh, ha telefonato ad Abdallah Ramadan Salah, numero uno della Jihad: ufficialmente per chiedere di non esarcerbare lo scontro. Ma la stessa richiesta getta ombre lunghe sul conflitto e sulla sua estensione oltre gli stretti confini della Galilea. Nel mirino, ovviamente, c’è il nemico sionista: inviso tanto ai palestinesi quanto ai militanti radicali che si affacciano intorno.
In cima alla lista dei sospetti di Gerusalemme ci sono i Fratelli Musulmani che, temono gli analisti, si muovono dietro la protesta siriana contro il presidente Bashar al-Assad. L’obiettivo non è solo disfarsi del dittatore, quanto instaurare un regime islamico.
HEZBOLLAH SI ATTIVA. Cattive notizie per Israele arrivano anche dai confini egiziani con Gaza: un tempo presidiati dall’esercito del Cairo, dalla caduta di Hosni Mubarak sono diventati un colabrodo, da cui filtrano armi e denari diretti a Hamas.
Ma la situazione è incandescente in qualsiasi direzione si guardi. In Libano sono ripresi i rapimenti degli stranieri, consuetudine degli anni della guerra civile. Sette estoni sono stati presi in ostaggio nella valle della Bekaa, al confine con la Siria e roccaforte di Hezbollah: un segno che il Partito di Dio si sta preparando ad alzare il tiro. Con il placet dell’Iran di Ahmadinejad, che agli sciiti Hezbollah fornisce soldi e armamenti.
IL DECLINO DEGLI USA. Israele, insomma, è circondato da nemici ringalluzziti e determinati. E questa volta nemmeno gli americani possono arrivare in soccorso: il presidente Barack Obama, peraltro mai troppo vicino a Bibi Netanyahu, si è appena cacciato nella guerra di Libia. Come se non bastasse, la presa statunitense sull’Egitto si è dissolta con la caduta del raìs, e quella sull’Arabia Saudita, storico alleato e nemico giurato di Teheran, è sempre più debole.
Tanto che a Washington hanno lamentato di non essere stati informati quanto Abdallah ha inviato l’esercito (leggi) a occupare il Bahrein per sedarne le rivolte.
Leggi e razzi per resistere all’incendio mediorientale
Il premier israeliani Benjamin Netanyahu e il leader palestinese Mahmoud Abbas (Ap Images).
Sotto assedio, almeno psicologico, Israele si difende nell’unico modo che conosce: attaccando. Per il momento, con disposizioni di carta, foriere però di nuovi scontri. La Knesset, il Parlamento di Gerusalemme, ha approvato mercoledì 23 marzo un provvedimento per bloccare i finanziamenti pubblici a qualsiasi fondazione che «mini lo Stato di Israele e contraddica i suoi valori».
Formula generica dietro la quale si nasconde l’intenzione di bloccare gli enti arabi operante sul territorio, inclusi quelli che ricordano la Palestina e il diritto ai due Stati. L’hanno chiamata, non a caso, Nakba law, legge della catastrofe: il suo primo effetto sarà impedirà ai palestinesi di manifestare nel giorno in cui ricorre la loro cacciata dalla Galilea.
CACCIA ALL’UOMO. Ma gli israeliani hanno anche infittito i controlli tra i loro stessi uomini. Le nuove comunità di coloni sono ora autorizzate a creare comitati di ammissione, in grado di impedire a gruppi misti, inclusi arabi israeliani, di trasferirsi negli insediamenti.
La strategia della tensione è solo agli inizi, e le bombe su Gaza rischiano di diventare un piccolo avvertimento per tutti i confinanti. Il Medio Oriente brucia e Israele non ha nessuna intenzione di spegnere l’incendio.
Giovedì, 24 Marzo 2011
http://www.lettera43.it/cronaca/11467/la-gerusalemme-assediata.htm