Siria: iraniani ed Hezbollah partecipano alle stragi di civili

 
Emanuel Baroz
28 marzo 2011
3 commenti

Siria: iraniani ed Hezbollah partecipano alle stragi di civili

di Sharon Levi

Secondo un rapporto confidenziale inviato domenica ai servizi segreti israeliani, testimoni siriani riferiscono la presenza di persone che parlano persiano tra i poliziotti addetti a reprimere le proteste che stanno infiammando la Siria.

Alcuni manifestanti che hanno preso parte ai tumulti di protesta lo hanno riferito anche su alcune pagine di Facebook. Secondo quanto riferiscono i messaggi sul noto social network, a guidare i poliziotti antisommossa nella città di Lakatia ci sarebbero elementi che non vestono la divisa della polizia e che tra loro parlano in persiano.

Fonti di intelligence hanno riferito ai media israeliani di aver intercettato alcune comunicazioni tra Teheran, Beirut e Damasco nelle quali si parla di “rafforzare la presenza di guardiani della rivoluzione iraniana in Siria” presenza da allargare anche a “elementi di Hezbollah addestrati in Iran”.

Secondo la radio delle forze armate israeliane, a Teheran gli ayatollah sono molto preoccupati per il precipitare della situazione in Siria. L’Iran rischia di vedere annullati tutti gli sforzi di rafforzare la sua presenza militare nell’area e di perdere tutti i cospicui investimenti fatti negli ultimi mesi in Siria a questo scopo. Per questo vogliono supportare il regime siriano nella repressione delle rivolte, loro che sono così esperti nell’ammazzare a sangue freddo innocui e pacifici manifestanti.

Va detto che un coinvolgimento dei guardiani della rivoluzione iraniana in Siria era già emerso sin dai primi giorni della sanguinosa repressione. L’Iran intende costruire una grandissima base navale proprio a Lakatia e uno scossone al regime siriano potrebbe seriamente compromettere il progetto.  Va invece segnalata la novità della presenza di elementi di Hezbollah. Sicuramente si tratta degli stessi che hanno affiancato i basji nelle repressioni che hanno insanguinato l’Iran, tutti addestrati nel nord dell’Iran dai pasdaran iraniani.

Secondo Protocollo

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  • #1Emanuel Baroz

    Se si fosse detta la verità sulla Siria

    Editoriale del Jerusalem Post

    Non è dato sapere il numero esatto di dimostranti uccisi finora in Siria. Amnesty International ha calcolato 55 morti, la scorsa settimana, solo dentro e attorno la città meridionale di Deraa. Attivisti siriani hanno postato su YouTube filmati molto espliciti che documentano uccisioni brutali per mano delle forze di sicurezza di Bashar al-Assad in altre città come Sanamayn dove, stando a quanto riferito da un testimone oculare alla tv Al-Jazeera, più di venti dimostranti sarebbero stati uccisi a colpi d’arma da fuoco. Altre vittime vengono riportate dalla città costiera di Latakia.

    Resoconti così imprecisi sfatano il mito secondo cui oggi vivremmo tutti in una sorta di villaggio globale. Evidentemente un regime con i necessari requisititi può ancora mantenere un controllo decisamente forte sull’informazione, per lo meno temporaneamente. I grandi inviati europei e americani, così rilevanti in Libia in questi giorni, non si recheranno tanto presto a Damasco: finché Assad regna in Siria, semplicemente non li faranno entrare.

    Ma Damasco non solo è riuscita a mantenere uno stretto controllo su quello che accade dentro i suoi confini e a preservare quel “regime del terrore” che fino a pochissimo tempo fa scoraggiava anche i più audaci dissidenti dal scendere nelle strade: è riuscita anche a vincere sul piano delle pubbliche relazioni. Il mese scorso, ad esempio, “USA Today” pubblicava un supplemento sulla Siria alquanto bizzarro, che tuttavia non era niente in confronto al pezzo apologetico comparso sul magazine di moda “Vogue” dedicato a un ritratto della moglie di Assad e intitolato “Asma al-Assad: una rosa nel deserto”. La “spigliata, complice e divertente” moglie dell’autocrate ammette coi lettori che quello in cui vive “è un quartiere difficile”. Ma non c’è da preoccuparsi, giacché veniamo informati che la “missione centrale” della 35enne First Lady siriana è di cambiare la “mentalità” di sei milioni di minorenni siriani incoraggiandoli ad impegnarsi come “cittadini attivi”. In effetti, manifestazioni che denigrano il maritino come “un traditore che ammazza la sua gente” sembrerebbero abbastanza attive, anche se probabilmente non sono il genere di cose “giovanili, glamour e tanto chic” che aveva in mente la signora Asma.

    Ma questo fenomeno, che un giornalista francese ha definito il “surrealismo” dell’articolo di “Vogue”, è purtroppo il sintomo del genere di approccio fuorviato che ha guidato americani ed europei nel perseguire ciò che è diventato eufemisticamente noto come “l’impegno costruttivo” verso Damasco: intendendo con questo che, fino a quando i siriani facevano i più elementari gesti esteriormente rivolti alla pace, tutta una serie di successive amministrazioni americane, con il forte sostegno europeo, erano pronte a soprassedere volentieri sulle innumerevoli degenerazioni di quel regime.
    Nell’estate 2005, appena un mese dopo che la Siria era stata costretta dalla “rivoluzione dei cedri” a ritirare le sue truppe dal Libano dopo un’occupazione durata 29 anni, Damasco rinnovava la sua campagna contro la democrazia libanese con una serie di attentati mortali ad attivisti della società civile, ministri del governo, parlamentari e giornalisti. Washington diramava diverse condanne, ma non faceva niente.

    Nell’inverno 2007 l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Zbigniew Brzezinski, un forte sostenitore dell’“impegno costruttivo”, si trovava a Damasco per incontrare Assad proprio mentre, dall’altra parte della città, veniva ucciso Imad Mughniyeh, un capo Hezbollah respsonabile – fra l’altro – dell’uccisione di circa 250 soldati americani nell’attentato alla caserma dei marines a Beirut del 1983. Il fatto che il super ricercato Mughniyeh si aggirasse liberamente per Damasco rendeva evidente che la Siria offre ospitalità a una varietà di terroristi, da quelli sulla via dell’Iraq per combattere le truppe americane, al capo di Hamas Khaled Mashaal, a membri di al-Qaeda e della jihad globale; un’ospitalità che si compiva sotto il naso di un’alta personalità americana in visita.

    Nelle scorse settimane, a quanto risulta, mentre l’occidente intraprendeva l’azione militare contro Muammar Gheddafi, la Siria era occupata ad aiutare il despota belligerante. La scorsa settimana i ribelli libici hanno abbattuto due piloti di caccia siriani. Secondo fonti citate da Lee Smith, del Weekly Standard, la Siria avrebbe inviato due dozzine di jet in aiuto a Gheddafi.
    Intanto, nelle prossime settimane, si attende che il tribunale speciale dell’Onu, incaricato di indagare sull’assassinio nel 2005 dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri, renda pubblici i suoi risultati con la prevista incriminazione sia di Hezbollah che della Siria. Eppure, inspiegabilmente, mentre Damasco continua a rafforzare i suoi legami col fronte dei terroristi, Iran compreso, recentemente gli Stati Uniti hanno reintegrato il loro ambasciatore, che era stato rimosso appunto nel 2005 in seguito all’assassinio di Hariri. E domenica scorsa il segretario di stato Usa Hillary Clinton ha messo in chiaro che al momento l’America non ha alcuna intenzione di intervenire militarmente in Siria.

    È vero che ci sono ottimi motivi per temere che chiunque subentrerà al regime di Assad sarà probabilmente ancora più ostile all’occidente e a Israele; ma è anche sicuramente vero che da gran tempo si sarebbe dovuta abbandonare la pluridecennale politica dell’“impegno costruttivo” verso una dirigenza che si dimostrò particolarmente spietata nel falciare decine di migliaia di propri cittadini l’ultima volta che osarono sfidare la dinastia degli Assad, nel 1982. L’unica cosa che l’“impegno costruttivo” sembra aver ottenuto è di rafforzare un regime così brutale nella sua convinzione di poter continuare a governare con l’assassinio e l’intimidazione, garantendo nello stesso tempo a quel regime la possibilità di guadagnarsi un’immagine internazionale positiva. Il tentativo di dipingere la Siria di Assad come una sorta di regime illuminato, umano e riformista non era quasi mai apparso in tutta la sua stupidità come oggi, con le forze di sicurezza del presidente che scattano ai suoi ordini e abbattono a mitragliate la propria gente, esattamente come facevano ai tempi di suo padre.

    (Da: Jerusalem Post, 28.3.11)

    http://www.israele.net/articolo,3098.htm

    29 Mar 2011, 11:10 Rispondi|Quota
  • #2Dott. Sergio HaDaR Tezza

    Non c’è rischio che i finti umanitari antisemiti, che si sono precipitati a bombardare la LIbia e a prendere parte in un’insurrezione dalle dubbie origini, facciano alcunché contro la Siria anche se massacrassero di nuovo 20.000 civili col gas come fecero nel 1982 quando soppressero un’insurrezione dei Fratelli Musulmani… (la solita alternativa della tosse o del catarro quando si ha a che fare col mondo musulmano che circonda Israele)
    IN SIRIA NON C’È PETROLIO e sono troppo amici di coloro che il petrolio ce l’hanno e con cui i finti umanitari antisemiti hanno OTTIMI RAPPORTI: l’Iran!
    Del resto, dopo che toccano la Libia, se toccano anche la Siria, partono due dei maggiori partner economici dell’a-morale Italia nel Medio Oriente…(l’altro è l’Iran!)

    29 Mar 2011, 12:33 Rispondi|Quota
  • #3Emanuel Baroz

    LIBIA: PORTAVOCE NEGA AL-QAEDA O HEZBOLLAH TRA RIBELLI

    (AGI) Bengasi, 30 Marzo 2011 – I ribelli libici hanno categoricamente smentito che tra le loro file ci possano essere infiltrati appartenenti a ‘al-Qaeda’, ai radicali sciiti libanesi di Hezbollah o ad altri gruppi estremistici: “Qui in Libia non ce ne sono”, ha tagliato corto Musafa Geriani, portavoce della Coalizione del 17 Febbraio, che raccoglie le forze di opposizione al regime di Muammar Ghedafi. “Fondamentalmente si tratta di propaganda, e di un equivoco. Certo”, ha osservato Geriani, “la Libia e’ un Paese musulmano. E allora? Che cosa si aspettavano?”, ha incalzato in tono polemico

    3 Apr 2011, 14:39 Rispondi|Quota
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