Hamas festeggia a Gaza: “Presto nuovi rapimenti”
di Lorenzo Bianchi
Duecentomila a Gaza, la roccaforte di Hamas, nel quartiere Katiba, per celebrare la «vittoria sul nemico sionista». Una colonna di pullman verso la Muqata di Ramallah, il quartier generale di Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese. È proprio lui a parlare ai 117 concittadini appena rientrati in Cisgiordania dopo lunghi soggiorni nelle galere di Israele in cambio del rilascio di Gilad Shalit. Abu Mazen li ringrazia: «Siete stati voi a guidarci verso la riconciliazione che presto sarà completata, con l’aiuto di Allah».
Al suo fianco hanno preso posto due dirigenti del movimento integralista Hamas in Cisgiordania, Abdel Aziz Dweik e lo sceicco Hassan Yussef. Un terzo, Ahmad Bahar, vicepresidente del Consiglio legislativo palestinese, festeggia la «giornata storica» assicurando che la scena di ieri si ripeterà perché «altri gruppi palestinesi sono ancora in grado di catturare soldati israeliani e di ottenere scambi di prigionieri». A Rafah il numero due del Movimento islamico Abu Marzuk gli fa eco. Nella folla, come già al valico di Betunia per il quale sarebbe dovuta passare la colonna di autobus, sventolano molte bandiere verdi di Hamas, di solito una rarità nella Cisgiordania dominata dai seguaci dei rivali laici degli integralisti, i fedelissimi di Al Fatah e di Abu Mazen.
I fondamentalisti sono ringalluzziti. Secondo l’emittente israeliana Channel 2, vicino a Ramallah, la capitale cisgiordana, sono scesi in strada per rivendicare nuovi rapimenti di soldati israeliani. Abu Mazen accarezza la sua piazza con un rosario di promesse: «Siete combattenti per Allah e per la Patria. Vedremo presto libero Marwan Barghouti (l’ex braccio destro di Arafat in Cisgiordania, condannato a cinque ergastoli per aver organizzato altrettanti raid omicidi, ndr), Ahmed Saadat (leader storico del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina ndr) e tutti i prigionieri».
La promessa si completa con quella di sempre. Il presidente si batterà per la nascita di uno Stato palestinese «sui confini del 1967» (la cui capitale sarà Gerusalemme), per la «fine delle colonie» e perché la questione dei palestinesi finiti nelle galere israeliane sia «una priorità». Su questo, anticipa, che «c’è già un’intesa con gli israeliani per la liberazione di un altro gruppo di carcerati».
Non se ne sapeva nulla. Poco dopo dal Cairo arriva la conferma che esiste un’ulteriore trattativa per il rilascio di nove detenute palestinesi che non rientrano nel secondo scaglione di 550 che saranno liberati fra due mesi.
Amna Muna, una donna uscita dalla cella ieri e condannata perché su internet avrebbe (francamente non si capisce il motivo dell’utilizzo del condizionale, visto che il fatto è stato acclarato!) attirato un ragazzo israeliano di 16 anni in un imboscata mortale, ha rifiutato di essere costretta a stabilirsi a Gaza. Avrebbe esercitato dietro le sbarre un sorta di «dominio» sugli altri prigionieri palestinesi e teme vendette dei loro familiari. Al valico di Betunya si era radunata una piccola folla di parenti di ex ospiti delle celle israeliane che volevano festeggiare il ritorno dei congiunti. La ressa ha spinto i responsabili del convoglio a scegliere una strada parallela. E’ finita con una sassaiola e un lancio di lacrimogeni.
(Fonte: Quotidiano.net, 19 Ottobre 2011)
Nella foto in alto: festa a Gaza per il ritorno a casa dei propri assassini
#1Emanuel Baroz
Trattato bene da Hamas? Dipende da traduzione
Secondo fonti Israele versione araba capovolge risposta ebraica
ROMA, 18 ottobre, 18:26 – Trattato bene da Hamas? Si’, ma forse solo nella traduzione in arabo. Fanno discutere in Israele le condizioni di salute del caporale (appena promosso sergente) Ghilad Shalit. Nella prima intervista rilasciata dopo la liberazione alla tv di stato egiziana, Shalit avrebbe detto di essere stato trattato bene dai carcerieri di Hamas, secondo piu’ fonti ed anche secondo la versione del quotidiano ‘Haaretz’.
Secondo il sito israeliano ynet, tuttavia, durante l’intervista Shalit e’ apparso confuso, esausto e a disagio. L’intervistatore ha fatto le domande in inglese, che poi sono state tradotte in ebraico. Shalit ha risposto sempre in ebraico. E le sue risposte sono state tradotte in arabo.
All’inizio dell’intervista, e’ stato chiesto a Shalit quali fossero le sue condizioni di salute. Il caporale, secondo ynet, ha risposto: ”Non mi sento affatto bene per l’intera vicenda”. Mentre la traduzione in arabo e’ stata: ”Sto bene”. Da qui il giallo.
Osservatori in Israele fanno peraltro notare che mentre rilasciava l’intervista, Ghilad aveva alle spalle due miliziani di Hamas con il volto coperto da passamontagna. Una volta giunto in Israele, Shalit ha detto di non essere rimasto isolato del tutto dal resto del mondo, anche perche’ gli era consentito ascoltare una radio transistor, capace anche di ricevere programmi israeliani. Shalit ha anche rivelato di essere a conoscenza degli sviluppi politici in Israele e della rivoluzione avvenuta in Egitto.
(Fonte: Ansa, 18 Ottobre 2011)
#2Emanuel Barozw
I principali leader palestinesi che saranno liberati
Ecco i principali prigionieri palestinesi che Israele rilascerà con il primo contingente dei 1.027 detenuti in cambio della liberazione del suo soldato Gilad Shalit.
– Nail Barghuthi, originario del villaggio di Kaubar, nei pressi di Ramallah, in Cisgiordania, in carcere dal 1978, è il più vecchio prigioniero palestinese di Israele. Membro all’epoca di Fatah, principale componente dell’Organizzazione di liberazione della Palestina (Olp), è stato condannato all’ergastolo per la sua partecipazione ad una operazione costata la vita a un soldato israeliano.
– Yehia Ibrahim Sinwar, di Gaza (campo di Khan Younes), detenuto dal 1988, è uno dei fondatori del braccio militare di Hamas. E’ condannato a quattro ergastoli per il rapimento e l’omicidio del soldato israeliano Nachson Wachsman.
– Rawhi Jamal Mushtaha, di Gaza (quartiere di Shajaiya di Gaza city), detenuto dal 1988, uno dei fondatori dell’ala militare di Hamas, è condannato a quattro ergastoli.
– Jihad Yaghmour, altro dirigente di Hamas, in carcere dal 1994, condannato all’ergastolo per il suo coinvolgimento nel rapimento e nell’omicidio del soldato israeliano Nachson Wachsman. Originario di Gerusalemme est, sarà costretto a emigrare all’estero.
– Walid Anjas, in carcere dal 2002, condannato a 36 ergastoli per l’attentato contro il caffé Moment a Gerusalemme, rivendicato da Hamas, nel quale morirono 11 israeliani il 9 marzo 2002. Originario di Ramallah, sarà costretto a emigrare all’estero.
– Nasser Yateima, in carcere dal 2002, condannato a 29 ergastoli per l’attentato in un hotel di Netanya, nei pressi di Tel Aviv, la sera della pasqua ebraica, rivendicato da Hamas, nel quale morirono 29 israeliani il 27 marzo 2002. Originario di Tulkarem, nel nord della Cisgiordania, sarà costretto ad emigrare all’estero.
– Abdelaziz Salha, in carcere dal 2001, condannato all’ergastolo per il linciaggio di due soldati israeliani a Ramallah e arrestato dalla polizia palestinese. Tristemente noto per essere stato fotografato con le mani insanguinate alla finestra del commissariato. Originario di Ramallah, sarà costretto a emigrare a Gaza.
– Ahlam al Tamimi, prima donna del braccio armato di Hamas, di Nabi Saleh, vicino a Ramallah, nata a Zarqa (Giordania), in carcere dal 2001. Condannata a 16 ergastoli per un attentato in una pizzeria di Gerusalemme ovest nel quale il 9 agosto 2001 morirono 15 israeliani.
– Amna Mouna, in carcere dal 2001 per aver attirato un adolescente israeliano incontrato su internet in un agguato mortale delle brigate dei Martiri di Al Aqsa, braccio militare di Fatah. Originario di Gerusalemme est, sarà costretto a emigrare a Gaza.
– Sami Khaled Younes, il più anziano, nato nel 1932, detenuto dal 1983. Tassista arabo israeliano, condannato a 40 anni di reclusione per l’omicidio di un soldato israeliano.
– Christian Adel Isaac Bandak, in carcere dal 2003, cristiano, membro delle brigate dei Martiri di al Aqsa, braccio armato di fFatah. Condannato a quattro ergastoli per la morte di tre israeliani nel 2002. Originario di Betlemme, nel sud della Cisgiordania, sarà costretto a emigrare a Gaza.
(16 ottobre 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/esteri/2011/10/16/news/i_principali_leader_palestinesi_che_saranno_liberati-23324070/
#3Alex Zarfati
Amna Mouna è una donna, quindi “originaria”.
Lei è stata protagonista di un episodio legata a un ricordo collettivo da brividi che fece scalpore in Israele. Fu lei ad attirare un adolescente a Gerusalemme Est – adescato attraverso internet con l’illusione d’un flirt – in una trappola mortale tesa da una cellula delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, gruppo armato nato dalla costola più radicale del Fatah. Dovrà a sua volta trasferirsi obbligatoriamente a Gaza.
Ma ha fatto sapere di avere paura di “ritorsioni” e quindi “desidererebbe” una destinazione diversa (sic).
#4Emanuel Baroz
Elder of Ziyon: One reason Shalit looked so ill at ease in his interview
http://elderofziyon.blogspot.com/2011/10/one-reason-shalit-looked-so-ill-at-ease.html
#5Emanuel Baroz
Pensieri dopo la gioia
di Ugo Volli
Dopo la festa, un po’ di riflessione non guasta. Mi riferisco a Gilad Shalit, naturalmente. Da quando si è profilato lo scambio ho detto che non mi sento di valutare lo scambio, dato che non sono israeliano, e lo confermo. Credo che dalla comoda sicurezza dell’Italia noi possiamo solamente mantenere la solidarietà con Israele, accettare le sue scelte, gioire per il risultato immediato e preoccuparci per i rinforzi ricevuti dai terroristi – non certo metterci a discettare su che cosa si sarebbe dovuto o non dovuto fare, dall’alto della nostra lontananza e ignoranza di molti fatti, secondo il modello tipico dei falsi amici di Israele.
Però qualche ragionamento si può fare: non su Israele, ma sugli altri attori coinvolti nelle vicende mediorientali. Sapete per esempio come ha reagito l’Onu per voce del suo commissario per i diritti umani Navi Pillay (quella di Durban 3, quella che ha nominato Goldstone capo della commissione per la nomina dei giudici della corte internazionale)? Molto istruttivo. Ha detto di essere preoccupata. Un po’ in ritardo, direte voi, perché non era mai stata turbata dal fato di Shalit. Infatti non è preoccupata per lui, ma per i poveri carcerati. I più pericolosi, quelli condannati in media per una decina di omicidi ciascuno, che non possono immediatamente tornare alle loro case o piuttosto alle loro fabbriche di bombe, ma sono costretti all’esilio (http://www.jpost.com/DiplomacyAndPolitics/Article.aspx?id=242289). Triste, vero? Anche la Croce Rossa è preoccupata… per i palestinesi. Eh, non c’è giustizia per loro, poverini. Per questo sono stati costretti a uno scambio così iniquo…
E l’Unicef? Per bocca del suo “rappresentante nei territori occupati” Jean Gough ha detto che a questo punto è imperativo liberare tutti i minorenni che stanno nelle carceri israeliane. Anche loro, di Shalit rapito a 19 anni non gli importava niente, dei terroristi imprigionati a 17 sì. Sono bambini… (ANSA 18-10-2011 11:39) Mi raccomando, non date soldi all’Unicef, non comprate cartoline o altri gadget, non aiutateli in nessun modo. Non se lo meritano, sono ben altro dei disinteressati difensori dei bambini che dicono di essere. Magari qualche volta lo fanno, ma non con tutti e non alla stessa maniera per tutti.
Poi ci sarebbe, lo immaginate, Amnesty International, che non ha trovato nessun commento migliore che lamentarsi delle “dure condizioni di detenzione dei prigionieri palestinesi”, che non erano prigionieri ma carcerati, con tutti i diritti dei carcerati di tutto il mondo civile: avvocati, visite, compagni, scadenza della pena e innanzitutto un pubblico processo e niente minacce di morte, tutte cose che Shalit non ha avuto neanche lontanamente (http://elderofziyon.blogspot.com/2011/10/amnesty-international-becomes-even-more.html).
C’è la Turchia, che si è offerta di ospitare i detenuti obbligati per la loro pericolosità ad andare all’estero. E’ uno dei tre stati che l’hanno fatto, ma non per favorire la pace o aiutare Israele, no: per ribadire l’alleanza con Hamas, come ha dichiarato un esponente governativo (http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4135644,00.html).
E ci sono naturalmente i palestinesi: quelli cattivi di Hamas e quelli “buoni” di Fatah. Lasciamo stare i primi, che in questa circostanza si sono confermati da sé rapitori, sequestratori, ricattatori. Sapete come hanno accolto i macellai che sono stati rilasciati nello scambio? Con una festa nazionale. “Eroi” li ha chiamati Mahmoud Abbas, il loro “presidente”, quello pacifico che ha “abbandonato il terrorismo”: “combattenti della libertà” gli assassini di bambini, i linciatori a nude mani, gli organizzatori di attentati negli autobus e nei ristoranti. Bella libertà, bell’eroismo. (http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/abbas-greets-newly-released-palestinian-prisoners-you-are-freedom-fighters-1.390697). E sapete come ha risposto la folla dei fanatici convenuti: “Vogliamo un altro Shalit, Due Shalit, cinque!” (http://www.jpost.com/MiddleEast/Article.aspx?id=242258). Con questi aspiranti sequestratori Israele secondo il mondo dovrebbe affrettarsi a fare la pace. Celebrare ufficialmente gli assassini è ripetere il delitto una seconda volta, assumerselo ufficialmente. Com’è possibile perdonare questa gente (http://www.commentarymagazine.com/2011/10/17/palestinians-celebrate-murder-shalit/)? Come può il mondo sostenerli? Purtroppo può. Possono l’Onu, Amnesty International, la Croce Rossa
PS: Ancora un pensierino, che ho letto da qualche parte. Shalit è magro, peserà 50 chili. E’ stato scambiato contro mille e rotti terroristi. Quanto vale ciascuno di loro? Un millesimo di Shalit. Se lo misuriamo in peso, cinquanta grammi. come un bicchierino di quelli che si usano per la grappa o un pugnetto di sabbia. Questo è il loro valore, autocertificato: un sorso, un po’ di polvere. Che sia disperso per sempre.
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