Libano del Sud: esplosione in deposito armi di Hezbollah
Beirut, 24 Novembre 2011 – Una forte esplosione di origine non chiara ha avuto luogo nella notte fra martedì e mercoledì nel villaggio di Siddikine, nei pressi di Tiro (Libano meridionale). Secondo alcuni mass-media libanesi, l’incidente sarebbe avvenuto in un deposito di armi di Hezbollah, circostanza smentita dalla milizia sciita.
Le forze di sicurezza libanesi hanno cercato di ispezionare il luogo, ma membri di Hezbollah hanno impedito loro l’accesso dopo aver imposto un cordone di sicurezza intorno alla zona. L’esplosione è avvenuta in una zona teoricamente controllata dai caschi blu dell’Unifil, che hanno avviato un’inchiesta.
(Fonte: Israele.net)
Per ulteriori dettagli sulla notizia, ampiamente censurata dai mass media italiani, cliccare qui, qui, qui e qui
Nella foto in alto: una manifestazione di Hezbollah
#1HaDaR
Ovviamente i media italiani preferiscono sorvolare: come venderebbero altrimenti la bufala del lavoro eccellente svolto dalle truppe italiane che sono il 90% dei caschi blu della zona, che non servono che a fare da scudi umani a HIzbollah e al suo riarmo vertiginoso, e che sono comandati da un generale italiano?
Come del resto fecero nel 1983 in Libano, gli Italiani preferiscono mantenere buoni rapporti con tutti, anche i terroristi di cui DOVREBBERO impedire il riarmo.
Ma si sa, se non fai quel che fa comodo a loro, coi terroristi non la si fa a tarallucci e vino o a spaghettate… Le pallottole fan male, ed è meglio se se le prendono gli altri…
#2Alberto Pi
22/11/2011 – IL CASO
Hezbollah decapita la Cia in una pizzeria di Beirut
di Maurizio Molinari
Smacco alla Cia a Beirut, firmato da Hezbollah. Il teatro dell’agguato degli 007 filo-iraniani agli agenti americani è stato il popolare Pizza Hut della capitale libanese. Adoperando il più aggiornato software per comunicazioni disponibile in commercio, gli Hezbollah avevano ascoltato le comunicazioni in cui gli agenti della Cia in Libano adoperavano come codice per gli informatori libanesi il termine «pizza». La sorveglianza delle telefonate ha consentito di individuare l’identità di almeno uno, o forse due, informatori. Pedinandoli gli Hezbollah sono così arrivati al Pizza Hut mettendo le mani su una inattesa miniera di informazioni, è qui infatti che la Cia incontrava non uno, due o tre informatori ma dozzine di libanesi e cittadini di altri Paesi che consegnavano, o più spesso vendevano, notizie sul Partito di Dio.
I miliziani hanno ascoltato, fotografato e schedato chiunque entrava e usciva per settimane, forse mesi. Il risultato è stata una mappa del network della Cia in Libano nonché la scoperta di una rete parallela di spie, questa volta in Iran. A Langley, il quartier generale dell’Agency, più volte sono suonati campanelli d’allarme sotto la direzione di Leon Panetta ma chi guidava il desk libanese li ha sottovalutati. Il risultato è uno dei più pesanti bilanci per l’intelligence americana in Medio Oriente perché lo sceicco Hassan Nasrallah lo scorso giugno ha annunciato in tv la «cattura di due agenti della Cia» e ieri fonti statunitensi hanno confermato che gli agenti «smascherati e catturati» sono molti di più, «dozzine di persone». In maggioranza si tratta di libanesi, arabi di altri Paesi e iraniani ma potrebbero esservi anche dei cittadini americani. E se la notizia trapela sui media degli Stati Uniti è perché l’amministrazione Obama non ha idea di che fine abbiano fatto.
A gestire le conseguenze del pesante bilancio è David Petraeus, successore di Panetta, la cui scelta è di alzare il velo su quanto avvenuto nell’evidente tentativo di spingere Hezbollah a trattare per la liberazione dei catturati, avvalorando così l’ipotesi che alcuni possano essere americani. Le fonti di intelligence ammettono che «nella guerra di intelligence a volte si vince, altre si perde» e che «potrebbero esserci state delle vittime» ma il danno maggiore è la decapitazione della struttura di spionaggio con cui la Cia sorvegliava Hezbollah e l’indebolimento del network iraniano per raccogliere informazioni sul programma nucleare.
L’ex agente Cia a Beirut Rober Baer ha poche speranze di ritrovarli: «Se erano vere spie contro gli Hezbollah non credo li rivedremo mai». Per Matthew Levitt, esperto di intelligence al Washington Institute, invece «molto dipende da chi è stato catturato e cosa ha da dire perché in passato Hezbollah ha già fatto sparire delle persone, ma alcune le ha tenute in vita» come ad esempio è avvenuto con l’israeliano Elhannan Tannenbaum rapito nel 2000 e rilasciato nel 2004 in uno scambio di prigionieri. E la Cia potrebbe avere oggi degli iraniani da scambiare con Hezbollah.
Altri dettagli contribuiscono ad ampliare le dimensioni di una disfatta che forse poteva essere evitata: nel 2009 Hezbollah aveva catturato o ucciso almeno cento informatori di Israele adoperando strumentazioni di intelligence che proprio gli Stati Uniti avevano consentito di far arrivare a Beirut per rafforzare la sorveglianza sulla guerriglia filo-iraniana. Due anni dopo gli stessi strumenti hi-tech, uniti ai più recenti software, si sono trasformati in un boomerang per l’intelligence Usa, consentendo ad Hezbollah di ottenere un successo che ne conferma l’impenetrabilità. Ma non è tutto perché una volta individuato Pizza Hut come «hub» della Cia, l’operazione di controspionaggio è iniziata con due Hezbollah che sono entrati, si sono seduti al tavolo di uno 007 americano e gli hanno offerto informazioni facendo il doppio gioco. Da quel momento l’equilibrio di forze si è rovesciato, con gli agenti americani obbligati a fuggire o a tentare di salvare gli informatori rimasti. La vulnerabilità della Cia ai doppiogiochisti evoca quanto avvenuto a Khost, in Afghanistan, il 30 dicembre 2009 quando un presunto informatore si fece saltare in aria uccidendo 7 agenti.
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/finestrasullamerica/grubrica.asp?ID_blog=43&ID_articolo=2261&ID_sezione=58
#3Alberto Pi
Libano, il mistero del drone scomparso
La trappola di Israele. L’intelligence fa cadere un aereo senza pilota, gli Hezbollah lo trovano ma esplode a comando
di Guido Olimpio
WASHINGTON – Nuova puntata nella guerra delle ombre. Dopo i sabotaggi in Iran, i rovesci per la Cia, che ha perso agenti in Libano e in Iran, tocca agli Hezbollah, il movimento libanese filo-iraniano. I militanti – secondo il sito “Tikun Olam” – sono rimasti vittima di una trappola organizzata dall’intelligence militare israeliano Aman.
LA RICOSTRUZIONE – L’esplosione che ha distrutto un grande deposito di armi e missili a Siddiquin, nel Libano meridionale, sarebbe stata provocata da una sofisticata operazione. L’antefatto: da tempo gli Hezbollah sono alla ricerca di strumenti per poter bloccare elettronicamente i droni usati da Israele. E secondo alcune informazioni forse sono riusciti ad ottenere qualche risultato. Così, quando giorni fa si sono perse le tracce di un velivolo senza pilota israeliano in Libano si è pensato che i militanti avessero fatto centro. Invece, secondo “Tikun Olam”, è stato l’Aman a far cadere il velivolo senza pilota in modo che gli Hezbollah potessero trovarlo. In seguito i resti del drone sarebbero stati trasferiti dai guerriglieri nel deposito di Siddiquin dove avrebbero voluto ispezionarlo con cura.
GLI SCENARI – Ma gli israeliani, una volta accertato che si trovava nella base, lo hanno fatto detonare, probabilmente con un segnale lanciato da un altro drone e ciò avrebbero provocato un’esplosione secondaria. Come per altre storie di spionaggio mancano le conferme indipendenti. Le fonti libanesi hanno parlato solo dell’esplosione di un vecchio ordigno e gli Hezbollah hanno preferito restare silenziosi. In attesa di chiarimenti (e di nuova puntata) possiamo immaginare i seguenti scenari. 1) La storia della trappola è credibile: in passato diversi depositi sono stati distrutti con atti di sabotaggio. 2) Questa versione serve a nascondere la perdita di un drone da parte di Israele (per avaria o davvero per mano dei guerriglieri). 3) Israele ha messo in giro la voce per insinuare il dubbio nelle mente degli avversari: se dovessero trovare i resti di un altro velivolo potrebbero farlo saltare per evitare brutte sorprese. Va ricordato che Israele è riuscito a piazzare in territorio nemico apparati di spionaggio ad alta tecnologia e dotati di un sistema di autodistruzione. Sullo sfondo dell’intrigo, infine, resta un punto chiave. La presenza di dozzine di bunker creati dall’Hezbollah nel Libano sud. Rifugi dove sono stoccati migliaia di razzi che possono essere dai militanti per colpire le città israeliane.
(Fonte: Corriere della Sera, 26 novembre 2011)
#4Liberali per Israele
Argentina, le stragi impunite di Hezbollah in America Latina
di Matteo Tagliapietra
Sono passati diciannove anni da quel terribile pomeriggio del 17 marzo 1992 quando alle 14.45, nella sede diplomatica israeliana tra calle Arroyo e calle Suipacha a Buenos Aires, un’esplosione provocò la morte di oltre venti persone e il ferimento di quasi 250. Ancora oggi i però familiari delle vittime e i sopravvissuti chiedono chiarezza sulle dinamiche del massacro e sulle possibili “connessioni locali” che avrebbero facilitato il lavoro degli attentatori. La matrice islamica della bomba fu infatti subito definita, con l’auto-attribuzione dell’operazione da parte del movimento fondamentalista di Hezbollah come rappresaglia per l’uccisione da parte dell’esercito israeliano del leader Abbas Musawi. L’organizzazione indicò anche come autore materiale della strage un argentino convertito all’Islam, morte nell’esplosione. Da allora nessun passo avanti è stato fatto nella persecuzione dei responsabili e, scrivono i familiari nel loro ricorso alla segreteria penale speciale della Corte Suprema che si occupa della vicenda, nessuno si è occupato di analizzare quali siano state le “connessioni locali”.
Parte della colpa, sostiene il ricorso, nel facilitare quello che è stato il primo attacco terroristico di matrice islamica in Argentina, deve essere inoltre attribuita alla “corruzione dilagante” nel Paese negli anni ’90. In particolare si chiede di verificare il rapporto che legava l’allora responsabile della dogana dell’aeroporto internazionale (Ezeiza) della capitale il generale Ibrahim al-Ibrahim, al trafficante di armi siriano Monzer al-Kassar. Secondo le accuse mosse dalle vittime, al momento della nomina da parte dell’allora presidente Carlos Menem, al-Ibrahim non era neanche in grado di parlare lo spagnolo e avrebbe favorito la debolezza del sistema dei controlli che ha permesso l’ingresso nel Paese del materiale necessario per l’attacco. Del generale si sono perse le tracce proprio nel 1992 dopo la sua fuga dall’Argentina a causa dell’accusa di aver favorito l’ingresso in nel Paese, attraverso l’aeroporto di Ezeiza, di denaro proveniente dal narcotraffico.
Al momento, la segreteria speciale che si occupa del caso è in attesa della conferma ufficiale della morte di Imad Mughniyeh, considerato uno dei capi dell’intelligence di Hezbollah, per il quale è pendente un mandato di cattura internazionale per l’attacco. Sebbene nel corso del processo la Corte abbia evitato di definire l’attacco come “delitto contro l’umanità” come chiedevano i familiari, ha comunque deciso di impedire che il reato cadesse in prescrizione, permettendo così lo sviluppo delle indagini e la presentazione di questa nuova istanza. Questo anche in considerazione del fatto che un tribunale Usa ha condannato l’Iran, come Paese “ideologo” dell’attentato, a pagare 33 milioni di dollari ai familiari del diplomatico David Ben-Rafael che perse la vita quel giorno. In realtà, ad oggi, le indagini non hanno portato ancora all’arresto o al processo di nessun responsabile.
Un comportamento che ha sollevato numerose proteste e provocato molti dubbi tra le vittimeei i loro parenti sulla versione ufficiale dell’accaduto. Alcuni di loro infatti lo scorso anno hanno deciso di citare in giudizio lo Stato argentino per l’incapacità di risolvere il caso. Per ricordare l’attentato oggi pomeriggio è prevista una cerimonia in piazza dello Stato di Israele, alla presenza del ministro della Giustizia argentino Aníbal Fernández, del suo collega alla Sicurezza israeliano Avi Dichter, del capo del governo cittadino Mauricio Macri e dell’ambasciatore di Israele Rafael Eldad. Dichter è arrivato in Argentina ieri per riunirsi con il giudice che si sta occupando del secondo attentato terrorista, avvenuto il 18 luglio del 1994, che colpì la sede dell’Amia (“Associazione mutuale israelita d’Argentina”). Nell’attentato, anche in questo caso perpetrato con un’autobomba, persero la vita 85 persone e ne rimasero ferite oltre 300. La tesi dell’accusa nel processo, iniziato nel 2001, vede l’Iran nel ruolo di ideatore e Hezbollah in quello di braccio operativo della strage.
http://liberaliperisraele.ilcannocchiale.it/2011/11/25/argentina_le_stragi_impunite_d.html
#5Emanuel Baroz
Hezbollah: un colpo di stato militare, qualora il regime di Assad cadesse
Gli Hezbollah in Libano stanno considerando la via del colpo di stato qualora il regime di Assad dovesse cadere a seguito delle manifestazioni o per l’intervento militare internazionale. Attivisti di Hezbollah hanno riferito ad Al – Arabiya che la leadership di Hezbollah ha espresso una reale preoccupazione sulla caduta di Bashar Assad, che è considerato un alleato strategico per l’Iran e Nasrallah. Secondo le fonti si sta pianificando un colpo di stato militare, in collaborazione con altri funzionari libanesi, fedeli a Hezbollah.
(Fonte: FocusMO, 23 novembre 2011)