Onu, una vetrina dell’ostilità a Israele
di Pier Luigi Battista
“Se l’Algeria inserisse nell’ordine del giorno all’ONU una risoluzione secondo cui la terra è piatta, e che è Israele ad averla appiattita, tale risoluzione passerebbe con 164 voti a favore, 13 contro e 26 astensioni” (Abba Eban, 1975)
Con un provvedimento mondiale dettato da improrogabili esigenze di spending review, si potrebbe utilmente chiudere l’Onu per manifesta inutilità. Le Nazioni Unite conquistano la vetrina del mondo ogni volta che bisogna umiliare in qualche modo Israele (dimenticando che lo Stato israeliano è nato grazie a una spartizione Onu che prevedeva la nascita di uno Stato palestinese, a suo tempo accettato da Israele e rifiutato dagli arabi). Per il resto, ogni volta che c’è da difendere la pace, o proteggere qualche martoriata popolazione dagli effetti di una pulizia etnica, o tutelare i diritti umani, l’Onu sparisce, o addirittura consegna le chiavi agli aguzzini. Come quando affidò alla Libia di Gheddafi la presidenza della commissione per i diritti umani, o all’Iran delle lapidazioni quella per la difesa dei diritti delle donne. Oggi affida alla Turchia il compito di difendere il vessato popolo palestinese. Ma nessuno le chiede conto del trattamento del popolo curdo. E il fatto che ad Ankara non si può nemmeno nominare il massacro degli armeni.
Nel Ruanda l’Onu non c’era, e se c’era manifestava la sua impotenza. A Srebrenica i caschi blu c’erano, ma per non muovere un dito contro le stragi. L’Onu non c’è, neanche un comunicato, una nota di disappunto, una timida perplessità pubblica, quando bande di fanatici tentano di uccidere in Pakistan una ragazzina la cui unica colpa è di voler andare a scuola. L’Onu non c’è quando i cristiani sono sterminati in Nigeria. L’Onu non c’è quando Morsi si proclama dittatore. L’Onu lascia soli i giovani che protestano di nuovo a piazza Tahrir, non alza la voce se alle ragazze della «primavera araba» i Fratelli musulmani hanno imposto i test obbligatori di verginità. L’Onu non c’è a fermare l’eccidio del Darfur. L’Onu non c’è quando la Cina vessa, a scopo dissuasivo per i possibili emuli, le famiglie dei giovani tibetani che si danno fuoco per I’ìndìpendenza della loro Patria. L’Onu non c’è quando si apprende che, sempre in Cina, le operaie sono costrette a fare il test di gravidanza per imporre l’aborto di Stato. L’Onu non c’è quando nella Birmania dei simpatici e coraggiosi monaci vestiti d’arancione viene perseguitata la minoranza musulmana. L’Onu non c’è mai, per definizione.
Però c’è quando deve organizzare a Durban un convegno contro il razzismo che diventerà la più clamorosa manifestazione di antisemitismo sotto l’egida delle Nazioni Unite: una vergogna assoluta. C’è se deve far sfilare sul palco del Palazzo di Vetro le delegazioni delle numerose tirannie sparse nel mondo che condannano all’unisono la «disumana» Israele. In questo caso c’è sempre. E allora, se proprio non si vuole abolire l’Onu, si operino dei tagli netti per convocare solo un paio di volte l’anno l’assemblea generale per inveire contro Israele. Risparmio assicurato ma the show must go on.
(Fonte: Corriere della Sera, 3 Dicembre 2012)
#1Emanuel Baroz
Un altro passo avanti, un altro scossone
di Marcello Cicchese
Qualcuno ha detto che l’Onu, accettando lo stato palestinese come membro oosservatore, ha commesso un altro errore. Ma non è vero: oggi l’Onu non fa che proseguire quel cammino di stravolgimento del diritto internazionale che è iniziato nel 1947 con la Risoluzione di spartizione del territorio, allora chiamato Palestina, che dalle Potenze vincitrici della prima guerra mondiale era stato delineato all’interno dell’ex impero ottomano al solo scopo di “ricostituire” (non far nascere ex novo) la nazione del popolo ebraico. Non si tratta dunque di errore da parte dell’Onu, ma di proseguimento coerente e voluto di una politica di progressiva negazione dei diritti del popolo ebraico. L’anno scorso, quando l’assemblea delle Nazioni Unite si accingeva a fare un primo tentativo (non riuscito) nella medesima direzione, avevamo presentato il libro di Howard Grief:“The Legal Foundation and Borders of Israel under International Law”. Oggi presentiamo un altro libro che espone in modo molto più succinto le stesse tesi: Cynthia D. Wallace, “Foundations of the International Legal Rights of the Jewish People and the State of Israel“.
Poiché nei tempi che incombono si sentono ripetere con leggerezza slogan che hanno soltanto il carattere della ripetitività senza averne alcuno di verità, ripresentiamo, in forma leggermente aggiornata, sette tesi che avevamo elencato l’anno scorso nella medesima occasione. Chi ne chiede la dimostrazione può leggersi i testi indicati sopra.
1) Lo Stato d’Israele non è il frutto tardivo del colonialismo delle potenze occidentali, ma, al contrario, le sue difficoltà sono dovute al perdurare di atteggiamenti colonialstici europei che hanno favorito la nascita puramente strumentale di Stati arabi come Iraq, Giordania, Libano, Arabia Saudita, mentre hanno danneggiato la fondazione dello Stato ebraico.
2) La legittimità nazionale dello Stato ebraico non nasce nel 1947 con la Risoluzione di spartizione 181 dell’Onu, ma nel 1920 con la Risoluzione di Sanremo stabilita dalle Potenze alleate vincitrici della prima guerra mondiale:
3) La Risoluzione di spartizione 181 non è la benevola dichiarazione che ha fatto nascere lo Stato d’Israele, ma, al contrario, è la malevola prevaricazione che ha causato l’illegale decurtazione di una parte consistente della terra che già apparteneva, de jure, allo Stato ebraico.
4) L’Olocausto non è la molla che ha spinto le nazioni, per rimorso e volontà di compensazione, a dare agli ebrei una nazione, ma, al contrario, è la tragedia che ha costretto l’Organizzazione Sionista e l’Agenzia Ebraica ad accettare, come sotto ricatto, la spartizione della loro terra perché era assolutamente urgente dare asilo alle migliaia di profughi ebrei scampati all’Olocausto, e che nessuno, a cominciare dalla Mandataria Gran Bretagna, voleva accogliere.
5) Uno Stato palestinese, nel senso geografico del termine, esiste già, ed è lo Stato ebraico d’Israele. Uno Stato arabo palestinese non ha alcuna legittimità nella terra che, fin dall’inizio delle trattative successive alla prima guerra mondiale, è stata destinata dalle Potenze alleate vincitrici ad essere la sede della nazione ebraica.
6) Il costituendo Stato arabo nella Terra d’Israele e/o Palestina non nasce con l’intenzione di vivere accanto allo Stato ebraico, ma, al contrario, con il solo scopo di arrivare a distruggerlo. Chi pensa di dar prova di moderazione parlando di “due stati per due popoli che vivano l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza” contribuisce, che lo voglia o no, in buona fede o no, al raggiungimento dell’obiettivo arabo.
7) Per anni la politica d’Israele è stata “terra in cambio di pace”: non ha ottenuto niente. In realtà Israele ha dato “diritti in cambio di pace”. La terra, la vedono tutti, per vedere i diritti invece bisogna leggere e studiare, se si vuole procedere in termini di verità e giustizia. Se invece si vuole soltanto ottenere quello che si vuole con la forza e la real politik, studiare non serve: basta sparare, quando si può, e mentire, quando non si può. Meglio ancora quando si possono fare le due cose insieme, come è accaduto recentemente con l’accoppiata Hamas-Onu.
Con i cosiddetti accordi di pace i nemici di Israele, non riuscendo ad abbatterlo subito con la violenza, sono riusciti a metterlo su un piano inclinato. Con piccoli, graduali scossoni provano ripetutamente, con pazienza e tenacia, a farlo scivolare dolcemente sempre più in basso. L’ultima decisione Onu è un altro scossone, per la felicità di coloro che aspettano soltanto il momento in cui Israele sarà arrivato così in basso da non esserci più bisogno di scossoni: una mazzata e via.
E le nazioni buone che amano Israele continueranno ad amarlo, perché proporranno l’istituzione di un’altra Giornata della Memoria: la memoria del compianto Stato d’Israele, che – diranno – purtroppo non esiste più, ma aveva il diritto all’esistenza.
Ma tutto questo non avverrà.
(Fonte: Notizie su Israele, 30 novembre 2012)
#2Robdic
Ci siamo, me lo sentivo che sarebbe successo: anche l’Italia convoca l’Ambasciatore d’Israele. Complimenti vivissimi al Governo e al ministro degli esteri (per fortuna che è stato ambasciatore in Israele)
== M.O.: TERZI, CONVOCATO AMBASCIATORE ISRAELIANO A ROMA =
(AGI) – Bruxelles, 5 dic. – L’Italia ha convocato
l’ambasciatore israeliano a Roma, Naor Gilon. Lo ha reso noto
il ministro degli esteri, Giulio terzi a Bruxelles per il
vertice Nato.
#3Progetto Dreyfus
@Robdic: L’Ambasciatore dovrebbe rispondergli così:
Il principale ostacolo alla pace? una cinquantina di palazzi in periferia!
http://www.ilborghesino.blogspot.it/2012/12/il-principale-ostacolo-alla-pace-una.html
ricordando a Terzi questo:
Terzi: 100 mln di euro alla Palestina “nonostante le difficoltà di bilancio”
http://www.imolaoggi.it/?p=33720
#4Robdic
@Progetto Dreyfus: Senza dubbio, ma io spero che l’ambasciatore abbia anche detto a Terzi (magari in forma diplomatica) che non si accettano prediche e lezioni da chi si vende all’emiro del Qatar
#5Aldo
Ma questo articolo?! L’avete letto?????
http://www.ilpopolarenews.it/?p=2914
#6Robdic
@Aldo: Veramente interessante, per fortuna non tutti hanno portato il cervello all’ammasso, ci sono ancora poche voci isolate che hanno il coraggio di dire la verità (scomoda)
#7l’ecclesiaste
o ma siete veramente patetici! Non pubblicate niente che non si accordi con quello che pensate? Altrimenti vi rovinano il bel quadretto, vero?
Bè, vi faccio io una domanda, allora. Quanti Paesi parteciparono alla conferenza di Snremo? Furono tenute in considerazione le opinioni degli abitanti sia ebrei che arabi della Palestina?
#8Emanuel Baroz
veramente mi sembra che qui diamo spazio a tutti, a volte anche agli idioti che ci insultano (e per questo molti dei nostri lettori ci criticano), quindi di patetico per ora c’è solo i ltuo intervento
#9Ruben Dr
Ecco n’antro idiota!!!!!
#10Robdic
Più che l’ecclesiaste dovresti chiamarti il “gran demente”, viste le tue non-argomentazioni.