Il nuovo logo di Fatah cancella Israele
Il logo ufficiale che celebra il 48° anniversario di Fatah contiene una mappa che mostra tutto Israele come “Palestina”
di Itamar Marcus e Nan Jacques Zilberdik
Ramallah (Cisgiordania) – L’Autorità Nazionale Palestinese ha pubblicato recentemente una foto del logo ufficiale scelto da Fatah per le celebrazioni del 48° anniversario del movimento. Il logo presenta vari simboli, tra cui una mappa della “Palestina” che comprende tutto Israele (e non è la prima volta che questo accade…), il numero 48, la bandiera palestinese e lo slogan per il 48° anniversario: “Lo stato e la vittoria”
Palestinian Media Watch ha documentato che le mappe ufficiali dell’ANP non riconoscono l’esistenza di Israele e considerano tutto Israele come “Palestina”. Le mappe appaiono in tutti i contesti ufficiali, comprese scuole, uffici pubblici, mezzi di comunicazione ufficiali dell’ANP, loghi, eventi e documenti ufficiali.
Altri simboli centrali dell’ideologia di Fatah appaiono inoltre nel logo, tra cui un fucile e una chiave che simboleggia la rivendicazione palestinese sulla proprietà di case all’interno di Israele (ved. le lettere in giallo). Il modello nella mappa ricorda la palestinese sciarpa- kefiah. La colomba che rompe la catena simboleggia la liberazione di tutti i prigionieri palestinesi. La cupola dorata rappresenta insieme l’Islam e la rivendicazione palestinese su Gerusalemme.
Quello che segue è l’articolo che annuncia il nuovo logo nel quotidiano ufficiale dell’ANP:
“Il funzionario senior di Fatah nella Striscia di Gaza, Yahya Rabah, ha sottolineato che il movimento quest’anno terrà una grande, centrale manifestazione nella Striscia di Gaza nel giorno del 48° anniversario dell’inizio della rivoluzione palestinese. Rabah ha spiegato a Ma’an che l’evento si terrà in considerazione del clima di riconciliazione e di unità che ha prevalso in campo palestinese in queste ultime settimane dopo i successi sul campo di battaglia (il conflitto militare Hamas-Israele a Gaza nel novembre 2012) e i risultati all’ONU (il voto delle Nazioni Unite che riconosce alla “Palestina” lo status di membro osservatore). Il comitato organizzatore del 48° anniversario del movimento Fatah ha approvato il logo dell’anniversario di questo anno particolarmente importante. [La manifestazione] si terrà a Gaza per celebrare il 48° anniversario della moderna rivoluzione palestinese con lo slogan ‘Lo stato e la vittoria.'” [Al-Hayat Al-Jadida, 10 dicembre 2012]
(Fonte: Palestinian Media Watch, 12 dicembre 2012 – traduzione grazie a loro)
Nella foto in alto: il logo ufficiale scelto da Fatah (che gestisce l’ANP di Abu Mazen, quello moderato…) per il proprio 48° anniversario
Per coloro che ne volessero sapere di più a proposito del continuo rifiuto da parte dell’ANP di Abu Mazen di riconoscere lo Stato di Israele, consigliamo le seguenti letture:
Abu Mazen: “Non riconosco Israele come stato ebraico”
Abu Mazen: “NO a Israele come Stato Ebraico”
Abu Mazen: “Noi ci rifiutiamo di riconoscere uno stato ebraico!”
Per il moderato (?) Abu Mazen non si può riconoscere Israele come stato ebraico
#1Emanuel Baroz
M.O.: BERSANI, LUNEDÌ VEDO ABU MAZEN, ORA PASSI IN AVANTI
Roma, 13 dic. – (Adnkronos) – «Lunedì vedrò Abu Mazen per riprendere il filo della questione israelo-palestinese». Lo ha detto Pier Luigi Bersani parlando alla Stampa estera. «Noi abbiamo fatto la nostra parte perché le posizioni moderate di Abu Mazen non fossero umiliate, ora loro devono rafforzare gli sforzi di disponibilità e incontro. Serve un’iniziativa, un passo avanti sul terreno del negoziato -aggiunge il segretario del Pd- penso che quello che è successo all’Onu possa essere investito in una chiave positiva».
M.O: BERSANI LUNEDÌ INCONTRA A ROMA ABU MAZEN
(ANSA) – ROMA, 13 DIC – Pier Luigi Bersani lunedì prossimo incontrerà il presidente dell’Anp Abu Mazen per riprende il filo della questione israelo-palestinese dopo il voto favorevole dell’Italia all’Onu.
«Ad Abu Mazen dirò – sostiene Bersani – che noi abbiamo fatto la nostra parte perché le posizioni moderate di Abu Mazen non fossero umiliate, ora loro devono rafforzare gli sforzi di disponibilità per fare un passo avanti nei negoziati».(ANSA).
#2Emanuel Baroz
Il moderato
di Francesco Lucrezi
Secondo il Devoto-Oli, l’aggettivo ‘moderato’, riferito a una persona, indica un soggetto “che si controlla prudentemente riguardo al proprio comportamento o alle proprie posizioni”, “ispirato a criteri di saggezza e opportunità”. Con specifico riferimento alla politica, il termine va a qualificare chi appaia “contrassegnato da un atteggiamento di centro, programmaticamente alieno da ogni estremismo e spesso da ogni novità”.
La lingua, si sa, cambia, e sovente le parole vedono consistentemente trasformare il proprio significato. Ci è già capitato di formulare qualche osservazione, in passato, riguardo all’evoluzione (involuzione) semantica della parola ‘pacifista’, che, se un tempo richiamava profumo di fiori, immagini di sorrisi e suoni melodiosi, fa oggi venire alla mente mascelle serrate, bandiere bruciate e bottiglie molotov. E la stessa sorte, evidentemente, è toccata al termine ‘moderato’, se il principale personaggio pubblico a cui essa è sempre, sistematicamente, apoditticamente riferita è il Presidente dell’ANP Mahmoud Abbas (alias Abu Mazen: il doppio nome dà un’aria di avventura, pensiamo a Superman-Clark Kent, Batman-Bruce Wayne, Tex Willer-Aquila della Notte ecc.).
Abu Mazen (alias Mahmoud Abbas) è moderato, lo è sempre stato, lo è sul piano antropologico, ontologico, chi lo smentisce dice un’assurdità, nega che la terra gira intorno al sole. Questo dicono tutti: giornali, politici, commentatori di ogni colore. Mahmoud alias Abu è il rappresentante moderato dei Palestinesi, contrapposto agli estremisti di Hamas, e chi lo contrasta o lo indebolisce lavora oggettivamente a favore della violenza e del terrorismo. Chi, invece, ami la pace e il dialogo, deve fare solo una cosa, ossia sostenere il moderato Abu alias Mahmoud, dargli sempre ragione, accontentarlo su ogni punto, applaudirlo, rafforzarlo, incoraggiarlo.
Inutile stare a ricordare che questo signore discusse la sua tesi di laurea, presso l’Università di Mosca, sul tema (moderato?) del ruolo svolto dalle organizzazioni sionistiche nella realizzazione della Shoah; che rifornisce di lauti vitalizi le famiglie degli autori dei più sanguinosi attacchi terroristici, responsabili anche di decine e decine di vittime; che promuove, nella sua terra, una propaganda antiebraica ispirata ai più puri e classici stereotipi antisemiti; che non pronuncia mai la parola Israele, in nessun contesto, neanche a proposito delle condizioni atmosferiche, senza accompagnarla dalle più virulente e velenose forme di criminalizzazione (genocidio, mostruosità, apartheid, razzismo ecc. ecc.: ma come si potrà fare mai la pace con dei mostri simili?).
Inutile ricordarlo, perché, dicendolo, non si verrebbe neanche contraddetti. Semplicemente, nessuno starebbe e sentire, nessuno ne avrebbe voglia. Se si nega la qualifica di ‘moderato’ a Mahmoud alias ecc., crollano tutte le categorie su cui si basa ogni possibile interpretazione del conflitto mediorientale, tutte le possibili e ipotetiche soluzioni, legate, ovviamente, alla vittoria dei moderati, e quindi di Abu alias, il moderato per antonomasia, la quintessenza stessa della moderazione, la tangibile incarnazione di tale concetto.
In una prossima edizione del Devoto-Oli, suggeriamo di levare la pur eccellente definizione della parola, sostituendola con la faccia di Alias: cosa, meglio di quel volto, sintetizza l’idea di un individuo “che si controlla prudentemente riguardo al proprio comportamento o alle proprie posizioni”, “ispirato a criteri di saggezza e opportunità”, “contrassegnato da un atteggiamento di centro, programmaticamente alieno da ogni estremismo”?
Possiamo sperare, forse, che il personaggio, in futuro, cambi un po’ atteggiamento? Molto difficile, per due ragioni. La prima è che, se il Nostro diventasse, un giorno, ‘veramente’ moderato (per intenderci, alla ‘Devoto-Oli’), perderebbe immediatamente il suo carisma e la sua popolarità, come Sansone perse la forza quando gli tagliarono i capelli. La seconda ci viene illustrata dallo stesso dizionario, secondo cui il ‘moderato’ è “programmaticamente alieno” non solo “da ogni estremismo”, ma anche “da ogni novità”.
(Fonte: newsletter Ucei, 12 dicembre 2012)
#3Emanuel Baroz
Sulla Palestina all’Onu l’eredità di Monti a Bersani
http://www.huffingtonpost.it/giancarlo-loquenzi/post_4155_b_2224230.html
#4Emanuel Baroz
17/12/2012 “Avvertiamo il primo ministro Benjamin Netanyahu: preparati, l’esercito di Maometto verrà da te. Quelli che portano esplosivi in Siria, Iraq, Afghanistan e Pakistan ti scoveranno, ad Allah piacendo. Il prossimo combattimento sarà tra noi e voi”. Lo ha detto Abed Shihadeh (Abu Muhammad al-Thawi), capo del movimento salafita giordano, sostenitore dei ribelli siriani, intervenendo al funerale del jihadista che la settimana scorsa si è fatto esplodere presso il ministero dell’interno ad Amman. Al-Thawi ha esortato i terroristi che hanno rivendicato l’attentato ad andare avanti dicendo loro: “Prendete Damasco e poi marciate su Tel Aviv. Per noi, la Palestina si estende dal fiume [Giordano] al mare [Mediterraneo], da Rafah [confine fra Gaza ed Egitto] a Nakura [confine fra Israele e Libano]. Non ci fermeremo fino a quando la Palestina non sarà liberata”.
17/12/2012 Dopo che l’editoriale del New York Times del 2 dicembre si era scagliato contro Israele per i progetti di costruzione nella zona E-1 (fra Gerusalemme e Ma’ale Adumim), domenica il giornale ha pubblicato una rettifica in cui riconosce che “tale sviluppo non taglierebbe fuori Ramallah e Betlemme da Gerusalemme, né dividerebbe in due la Cisgiordania” e dunque “tecnicamente non renderebbe impossibile la continuità territoriale dello stato palestinese”.
17/12/2012 Il primo ministro dell’Autorità Palestinese, Salam Fayyad, ha esortato a lanciare una “intifada del boicottaggio economico di tutti i prodotti israeliane” come mezzo per “resistere all’occupazione”.
17/12/2012 L’operazione anti-terrorismo israeliana su Gaza del novembre scorso ha dissuaso Hamas da nuove ostilità, a dispetto delle sue pretese di vittoria, e in questo momento quel fronte è tranquillo come non era mai stato negli ultimi vent’anni. Lo ha detto a YnetNews un alto ufficiale delle Forze di Difesa israeliane. Hamas vanta come vittoria il fatto che non vi sia stata l’offensiva di terra israeliana che avrebbe rovesciato la sua amministrazione su Gaza. “L’euforia dei capi di Hamas – dice l’alto ufficiale israeliano – non è per una vittoria, ma per il sollievo di poter uscire dai nascondigli. Hanno subito un duro colpo e devono rappezzare il loro onore”. L’ufficiale ha spiegato che molti capi terroristi sono stati risparmiati perché si sono nascosti fra i civili non combattenti, come nell’ospedale Shifa di Gaza. “La prossima volta – ha aggiunto la fonte – non spareremo comunque su Shifa, ma daremo la caccia ai loro capi ovunque si trovino”.
17/12/2012 “I ribelli siriani non avranno la meglio”. Lo ha dichiarato domenica il capo dei terroristi sciiti libanesi Hezbollah, Hassan Nasrallah, in un discorso pre-registrato. “Coloro che pensano che l’opposizione armata in Siria avrà successo – ha aggiunto Nasrallah – si sbagliano di grosso”.
17/12/2012 Siria. Per la prima volta in 21 mesi di conflitto, domenica l’aviazione del regime ha bombardato il campo palestinese di Yarmouk ed altre zone nella parte sud di Damasco. Colpita anche una moschea a Yarmouk: almeno 25 i morti. Ne ha dato notizia l’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo.
17/12/2012 Secondo YnetNews, uno dei leader dell’opposizione egiziana avrebbe riconosciuto domenica che i risultati provvisori del referendum indicano l’approvazione della nuova Costituzione voluta dal presidente Mohamed Morsi. In serata, il Partito Libertà e Giustizia, braccio politico dei Fratelli Musulmani, ha dichiarato che i voti a favore sarebbero il 56,5%, in questa prima giornata di votazione, ma molte Ong hanno denunciato irregolarità.
17/12/2012 Come preannunciato, il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman ha presentato domenica mattina le sue dimissioni al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per rinunciare all’immunità e “affrontare il prima possibile l’incriminazione” per abuso di ufficio (relativa a una promozione di un ambasciatore nel 2001). Netanyahu ha deciso di assegnare al proprio ufficio l’interim degli affari esteri fino alle elezioni di gennaio. Lieberman, che è a capo del partito Israel Beiteinu, in lista insieme al Likud, ha confermato sabato che, nonostante l’incriminazione, intende candidarsi alle elezioni parlamentari del prossimo 22 gennaio.
17/12/2012 Catherine Ashton, rappresentante della politica estera dell’Unione Europea, parlando a un giornale saudita ha detto che l’UE potrebbe ripristinare il monitoraggio al valico di Rafah, fra Egitto e striscia di Gaza. L’Unione Europea si era impegnata a monitorare il passaggio al momento del disimpegno di Israele da Gaza nel 2005, ma aveva poi ritirato i suoi uomini nel 2007 quando Hamas ha assunto con la forza il controllo di Gaza.
16/12/2012 Ahmed Jibril, capo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina-Comando Generale (FPLP-GC), è fuggito dai combattimenti in corso a Damasco. Lo si è appreso sabato da fonti palestinesi e da fonti vicine ai ribelli siriani. Ahmed Jibril, 84 anni, insieme al figlio ha lasciato il quartiere Yarmouk e si rifugiato a Tartous, città siriana a maggioranza alawita, vicina al presidente Assad. Il FPLP-GC ha mantenuto stretti legami con Assad dopo l’inizio della rivolta interna siriana, a differenza della maggior parte dei capi di Hamas che facevano base a Damasco e che hanno preso fisicamente e politicamente le distanze dal presidente siriano.
16/12/2012 Jonathan Pollard, l’analista del Pentagono ebreo americano condannato all’ergastolo negli Stati Uniti per spionaggio anti-americano, passò a Israele informazioni di intelligence circa il mondo arabo, ma non segreti militari americani. È quanto emerge da documenti classificati della Cia di cui è stata autorizzata la pubblicazione. Secondo questi documenti, il Mossad aveva chiesto a Pollard informazioni sui programmi militari di paesi arabi e musulmani, tra cui il programma nucleare del Pakistan, e Pollard avrebbe passato a Israele informazioni sul quartier generale dell’Olp in Tunisia oltre a valutazioni sulla situazione in Siria. Secondo i documenti, Israele non ha mai cercato di ottenere da Pollard informazioni di intelligence sull’attività militare degli Stati Uniti. Pollard ha già scontato 27 anni di carcere e Israele non è mai riuscito a ottenere la sua scarcerazione.
16/12/2012 “A nome degli israeliani, in quanto amici e come genitori, siamo al vostro fianco, oggi, profondamente addolorati per il massacro atroce e incomprensibile di 20 bambini e 6 insegnanti nella scuola primaria Sandy Hook”. Lo ha scritto il presidente israeliano Shimon Peres in una lettera particolare inviata al presidente americano Barack Obama. “Non c’è crimine più orribile dell’omicidio di bambini – scrive Peres – I cuori di tutti gli israeliani sono con le famiglie delle vittime e con tutti gli americani”.
16/12/2012 “I missili Patriot in Turchia costituiscono una minaccia di guerra mondiale”. È l’avvertimento lanciato dal capo di stato maggiore dell’esercito iraniano, Hassan Firouzabadi, citato sabato dall’agenzia iraniana Isna. Su richiesta di Ankara la scorsa settimana la Nato, di cui la Turchia fa parte, ha autorizzato il dispiegamento di batterie anti-missile Patriot (fornite da Stati Uniti, Germania e Paesi Bassi) per rafforzare le difese aeree contro possibili attacchi missilistici dalla Siria.
16/12/2012 Iran. Le autorità di Teheran hanno fissato le elezioni presidenziali per il prossimo 14 giugno. Lo ha annunciato sabato il canale iraniano Press TV, citando il ministro dell’interno Mostafa Mohammad Najjar, secondo il quale la votazione per il presidente si svolgerà contemporaneamente alle elezioni dei consigli municipali.
16/12/2012 La comunità musulmana di Chicago ha lanciato venerdì una campagna sui social network volta a recuperare la parola ”jihad”, dissociando dal terrorismo un termine che secondo loro si riferisce a una “lotta spirituale”. La campagna – diffusa tramite poster su autobus, Twitter, Facebook e sul sito myjihad.org – mostra fedeli che raccontano le loro “vittorie personali”.
16/12/2012 Palestinesi di Hebron (Cisgiordania) hanno annunciato con un video diffuso venerdì la nascita di un nuovo gruppo terrorista, le Brigate di Unità Nazionale, composto a loro dire da membri di Hamas, Jihad Islamica, Fatah e Fronte Popolare, con lo scopo di promuovere l’unità palestinese per combattere contro Israele una “terza Intifada che sta erompendo dal cuore di Hebron e si estenderà a tutta la Palestina”. Nell’annuncio il gruppo, pur dicendosi a favore del riconoscimento alle Nazioni Unite della Palestina come “stato non membro osservatore”, dichiara che combatterà per riconquistare “tutta la Palestina dal mare [Mediterraneo] al fiume [Giordano]”.
(Fonte: Israele.net)
#5Daniel
Il budino e l’antisemitismo
di Ugo Volli
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=47358
#6Daniel
E il discorso di Abu Mazen ?
di Marco Paganoni
Per una volta dobbiamo dare atto alla stampa che è stata corretta. Correttamente, infatti, tutta la stampa non ha riportato il discorso all’Onu che Abu Mazen effettivamente non ha fatto.
In quel discorso il presidente dell’Autorità Palestinese avrebbe potuto dire, più o meno: Egregi signori, oggi vi chiediamo di riconoscerci come stato di Palestina anche se un accordo con Israele non l’abbiamo ancora raggiunto. Ma ci è perfettamente chiaro che lo stato di Palestina non potrà nascere davvero finché non ci siederemo a negoziare con gli israeliani tutte le questioni in sospeso, che sono tante e di vitale importanza. Ci è chiaro che i confini dovranno essere negoziati e che non potranno in ogni caso coincidere con le arbitrarie linee di cessate il fuoco del 1949, causa a loro volta di troppe guerre. Per questo bisognerà anche negoziare precise garanzie di sicurezza, e lo stato di Palestina, nella sua vocazione alla coesistenza pacifica, accetterà di essere smilitarizzato fino a quando entrambe le parti non decideranno diversamente. Ed è chiaro che nello stato di Palestina potranno vivere cittadini ebrei, così come vi sono cittadini arabo-palestinesi nello stato d’Israele. Ed è chiaro che bisognerà negoziare su Gerusalemme, di cui riconosciamo i profondi legami con la storia e la cultura ebraica, per cui è chiaro che andrà fatto uno sforzo particolare per escogitare una appropriata una condivisione della città che ne garantisca il libero accesso a tutti quanti. Così come è chiaro che bisognerà negoziare in buona fede e con buona volontà sulla questione dei profughi – tutti i profughi generati dal lunghissimo conflitto arabo-israeliano – sulla base di un principio di giustizia e di buon senso: come i profughi ebrei dai paesi arabi hanno trovato patria nello stato d’Israele, così i profughi palestinesi e i loro discendenti troveranno patria nello stato di Palestina.
Detto questo, nel discorso che non ha fatto all’Onu Abu Mazen avrebbe potuto darci una plausibile spiegazione del motivo per cui nel 2008 lasciò cadere l’offerta di Ehud Olmert che prevedeva di trasferire alla sovranità palestinese una quantità di territorio pari al 100% di quella da essi ufficialmente rivendicata (sommando striscia di Gaza, gran parte della Cisgiordania e altre terre all’interno della Linea Verde) nonché la cogestione di Gerusalemme e un’amministrazione internazionale dei Luoghi Santi.
Un’offerta che fece “trasecolare” l’allora segretario di stato Usa, Condoleeza Rice, che si disse poi “scioccata” dal rifiuto di Abu Mazen. E avrebbe potuto spiegarci come mai da quattro anni si rifiuta di negoziare nonostante le dichiarazioni di Netanyahu a favore della soluzione a due stati; e come mai non abbia ripreso a negoziare nel 2010 quando Netanyahu per dieci mesi decretò un blocco senza precedenti di tutte le attività edilizie ebraiche in Cisgiordania, compresi i grossi insediamenti di Ma’aleh Adumim, Efrat ed Ariel destinati a restare parte d’Israele; e come mai non si precipiti a negoziare ora per stabilire confini definitivi, se davvero ha tanta urgenza di fermare gli insediamenti. Sinceramente ce lo chiediamo in tanti, e se lo chiedono gli israeliani.
Oggi, egregi signori – avrebbe continuato Abu Mazen nel discorso che non ha fatto all’Onu – chiediamo di essere riconosciuti come stato di Palestina, ma non useremo questo riconoscimento per cercare di incastrare Israele davanti alla Corte Penale Internazionale accusandolo di ogni possibile nefandezza, e in sostanza del fatto stesso di esistere. Giacché perseguire una condanna di Israele, come ha fatto Abu Mazen all’Onu nel settembre scorso, per “pulizia etnica, terrorismo, razzismo, istigazione al conflitto religioso, apartheid, espropri, demolizioni, carcerazioni illegali, occupazione, colonizzazione, ostruzionismo della pace e piani per una nuova nakba” non sembra l’atteggiamento più consono al dialogo e al compromesso. Piuttosto, poteva dire Abu Mazen, cercheremo di trascinare davanti alla Corte Internazionale il regime siriano, o quel regime iraniano che auspica esplicitamente la cancellazione dalla faccia della terra del nostro interlocutore di pace, e che anche solo per questo non meriterebbe di sedere in questa illustre Assemblea. E qui, già che c’era, Abu Mazen avrebbe potuto denunciare con forza l’occupazione della striscia di Gaza da parte di un’organizzazione terroristica al soldo di Tehran, guerrafondaia e antisemita, che tanti danni procura al popolo palestinese e alle sue aspirazioni di convivenza pacifica.
Nel discorso che non ha fatto all’Onu, Abu Mazen avrebbe potuto proclamare con voce forte e chiara che la nascita dello stato di Palestina accanto a Israele sancirà la fine di ogni violenza contro Israele, che con essa gli arabi e i palestinesi, compresi quelli di Gaza e quelli sparsi nel mondo, garantiscono – per usare le parole della risoluzione 242 del 1967 – la cessazione di ogni rivendicazione e stato di belligeranza e il rispetto e il riconoscimento della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di Israele, e del suo diritto a vivere in pace entro frontiere sicure e riconosciute, al riparo da minacce o atti di forza. Possiamo solo immaginare lo scroscio di applausi. Anche americani e israeliani.
Infine Abu Mazen avrebbe potuto concludere il discorso che non ha fatto all’Onu proclamando esplicitamente la soluzione basata sul principio “due stati-due popoli”. Attenzione: due stati per due popoli. Né lui, né tutti gli altri rappresentanti palestinesi parlano mai di “due popoli”. Due stati, sì certo: lo stato da cui dovranno sgomberare tutti gli ebrei e lo stato dove avranno il “diritto” di insediarsi i discendenti dei profughi. Magari anche tre stati, visto che Hamas non ha alcuna intenzione di mollare la striscia di Gaza. O anche quattro, se si tien conto del fatto che il vicino regno di Giordania sorge su una parte della ex Palestina Mandataria, ha due terzi di popolazione palestinese e pure la regina è palestinese. Ma non parlano mai di uno stato nazionale per il popolo ebraico. In fondo, sarebbe bastato che Abu Mazen citasse alla lettera, nel 65esimo anniversario, la risoluzione approvata dall’Assemblea Generale il 29 novembre del 1947 e scandisse con voce chiara e forte il diritto ad esistere su quella terra di due stati: un “Arab State” e un “Jewish State”, uno stato arabo e uno stato ebraico.
La notizia è che Abu Mazen non ha fatto nulla di tutto questo (con l’acquiescenza di 138 paesi, Italia compresa). E questa notizia, la stampa, avrebbe dovuto darla.
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=47160