Hamas contro Abu Mazen: “Non accetteremo alcun accordo di pace con Israele”
Gaza, 4 Febbraio 2014 – Salah Bardaweel, esponente di Hamas (per la cui situazione invitiamo a leggere questo articolo pubblicato dagli amici di Progetto Dreyfus sulla propria bacheca Facebook), ha affermato martedì che i palestinesi non accetteranno nessun accordo firmato con Israele dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Bardaweel ha anche attaccato Abu Mazen per aver detto, in un’intervista al New York Times all’inizio di questa settimana, che potrebbe accettare la creazione di uno stato palestinese con forze di polizia ma senza forze armate. “Queste dichiarazioni – ha detto il rappresentante di Hamas – sono il preambolo della liquidazione della causa palestinese e del diritto al ritorno. E il più grande disastro sarebbe quello di riconoscere Israele come stato ebraico”.
Wasfi Qabaha, un alto esponente di Hamas in Cisgiordania, ha attaccato Abu Mazen per aver detto che potrebbe accettare truppe Nato ai confini del futuro stato palestinese. Qabaha ha detto che la presenza di forze straniere lederebbe l’indipendenza e la sovranità dello stato palestinese. Sempre martedì Ahmed al-Mudalal, esponente della Jihad Islamica citato dal quotidiano francese Figaro, ha dichiarato che il suo gruppo è completamente contrario ai colloqui di pace e sventerà qualsiasi accordo tra Autorità Palestinese e Israele, giacché servirebbe solo a “legalizzare l’occupazione sionista della Palestina”.
(Fonte: Israele.net, 5 Febbraio 2014)
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Nell’immagine in alto: la tanto auspicata fine dei colloqui di pace secondo Hamas e Fatah…
#1Progetto Dreyfus
GAZA: DIVISIONI ALL’INTERNO DI HAMAS – OPINIONI DIVERSE O COMUNE STRATEGIA?
Vista da fuori sembrava una partita a Risiko. Negli ultimi tre mesi il lancio di razzi da Gaza verso Israele si era intensificato e i cittadini del sud del paese erano costretti a vivere metà delle loro giornate, o nottate nei bunker, un po’ come era accaduto prima dell’operazione di difesa “Colonna di nuvola”. Una escalation che sembrava non arrestarsi e che più volte vedeva l’esercito israeliano rispondere con operazioni mirate, volte a distruggere basi e arsenali terroristici. Il 21 gennaio vi informavamo che Hamas aveva schierato forze di sicurezza lungo il confine con Israele, per evitare il lancio di razzi proveniente da diverso gruppi operanti nella Striscia e legati alla jihad islamica. I quotidiani israeliani e le fonti palestinesi facevano sapere che gli uomini di Hamas avevano provato a riunire intorno ad un tavolo i diversi e numerosi gruppi terroristici organizzati, senza però ottenere risultati. Durante lo scorso week end i 900 uomini armati di Hamas lasciavano il confine per ritirarsi, quando già martedì mattina tornavano a placare i terroristi che fino a qualche mese prima appoggiavano.
COSA C’È, DUNQUE, DIETRO A QUESTE MOSSE CONTRASTANTI?
Il quotidiano israeliano Ynet riporta oggi che fonti palestinesi hanno svelato una rottura all’interno di Hamas: l’ala politica a favore di una tregua da una parte, l’ala militare pro-razzi dall’altra.
La questione si è incendiata lo scorso giovedì, quando all’annesimo attacco nel confronti di Israele, l’esercito di difesa ha deciso si rispondere distruggendo tre postazioni appartenenti all’ala militare di Hamas, fra cui un deposito di razzi. A quel punto la spaccatura si è divaricata ed è iniziato un braccio di ferro fra i politici che volevano evitare il lancio di razzi, e gli uomini armati che si sono invece ritirati.
I timori dei guerriglieri di Gaza riguardano anche la loro reputazione da parte dei gruppi jihadisti di tutta l’area mediorientale, i quali hanno sempre sostenuto ed istigato attacchi continui e indiscriminati verso i cittadini israeliani. Dare l’impressione che Hamas sia disposto a fermarsi, è per i terroristi un punto di debolezza che non ci si può permettere.
Il documento firmato da Abu Ubaidah al- Jarrah, il comandante delle forze di sicurezza di Hamas, dimostra comunque la prevalsa della decisione più moderata, e annuncia la ridislocazione di uomini che controllino gli altri gruppi terroristici.
Questa novità che vede la distinzione fra ‘ala militare’ e ‘ala politica’ di Hamas (come per Hezbollah), va presa comunque con molta cautela ed è una scissione pericolosa: forse è proprio questo il gioco che sta impostando quella che comunque resta senza dubbio una associazione terroristica, ottenere la fiducia internazionale, almeno per la parte politica, ed entrare così nei negoziati con Israele. In questo modo, quella che viene chiamata ‘ala militare’ potrebbe continuare la sua escalation di violenza verso i civili israeliani, lasciando impuniti e puliti i leader come Ismail Hanyeh, il quale ha sempre incitato al martirio, alla guerra santa e alla distruzione dello Stato Ebraico.
https://it-it.facebook.com/ProgettoDreyfus/photos/a.387495981326769.85422.386438174765883/584055318337500/?type=1&relevant_count=1
#2Daniel
Questa l’avete letta?
A Gaza ricompare l’ombra di Dahlan
di Francesca Paci
L’ex golden boy di Fatah oggi in disgrazia a Ramallah potrebbe essere la carta di Hamas per uscire dall’isolamento
La vita a Gaza ristagna senza speranza. Eppure, sotto traccia, qualcosa a livello politico si muove. Prova ne sia che il governo di Hamas ha annunciato di aver nuovamente dispiegato le proprie forze di sicurezza lungo il confine con Israele per prevenire il lancio di razzi verso lo stato ebraico e fortificare al tempo stesso «il fronte interno e gli accordi approvati dalle fazioni della resistenza nell’interesse del nostro popolo». Cosa significa? L’informazione è interessante non per quel che dice ma per quel che suggerisce. Gli accordi menzionati di Hamas sono quelli del cessate il fuoco raggiunto a novembre 2012 con Israele dopo una settimana di raid. Accordi che all’epoca fecero sembrare vittorioso Hamas (sostenuto dall’ei fu presidente egiziano Morsi) al punto da fargli snobbare la contrarietà dei gruppi più estremisti come la Jihad Islamica ostilissimi a qualsiasi forma di intesa, sia pur temporanea, con Israele.
Molto è cambiato da allora, a partire dall’Egitto. E Hamas, dopo essersi allontanato dall’asse sciita Iran-Siria-Hezbollah per rafforzare l’alleanza sunnita, è ora isolatissimo perchè deve fare i conti non solo con il gelo degli ex amici sciiti ma anche con l’esercito egiziano scatenato al confine sud e con i tentativi dell’Autorità Nazionale Palestinese di riavviare i negoziati con Israele a dispetto di Gaza. Il presidente Abu Mazen infatti, perdente e umiliato nel novembre 2012, si prende ora la rivincita e tratta con gli americani come se Hamas non esistesse.
Che chance a Hamas di uscire dal corner? Poche, considerando la sua crescente impopolarità tra la gente di Gaza, schiacciata tra la disoccupazione, l’impossibilità di muoversi e la mancanza di orizzonti. Non avrebbe senso dunque mostrare ancora i muscoli con gruppi come la Jihad Islamica essendo in posizione di tale debolezza. Ecco però che risbuca fuori il nome di Mohammed Dahlan, l’uomo forte di Fatah che teneva Gaza con pugno di ferro fino alla guerra civile del 2007 al termine della quale Fatah fu cacciata da Gaza. Dahlan, controverso, ripetutamente accusato di corruzione, è stato anche ministro dell’interno palestinese e rappresentante di spicco di quella «nuova generazione» che ambiva a contendere il palcoscenico ad Arafat e alla vecchia guardia.
Raccontano fonti interne che in questi giorni sarebbero tornati a Gaza per la prima volta dal 2007 Majid Abu Shamala e Alaa Yaghi, due deputati palestinesi vicinissimi a Dahlan. È vero che a gennaio il premier di Hamas Ismail Haniyeh aveva dichiarato benvenuti i politici di Fatah al fine di favorire la «riconciliazione nazionale». Non solo, sembra anche che alcuni uomini di Dahlan abbiano in queste settimane ottenuto il permesso di lavorare a Gaza senza essere marcati a vista (circa l’80% dei suoi sarebbero tornati a Gaza accogliendo l’invito di Haniyeh). E sembra anche che Hamas abbia restituito alla charity della moglie di Dahlan la licenza per operare nei campi profughi di Gaza.
Interpellato dal network al Monitor, l’analista politico Ibrahim Abrash spiega che la ragione del riavvicinamento tra Hamas e Dahlan sarebbero gli ottimi contatti di quest’ultimo con il regime militare egiziano e con gli Emirati Arabi Uniti. E, bisogna aggiungere, i per niente buoni rapporti di Dahlan con Abu Mazen (un tempo suo sponsor e oggi contrario al suo rientro sulla scena politica palestinese). Il governo di Gaza non conferma, anzi. Ma l’impressione, da Gaza, è che qualcosa si stia muovendo. Per Hamas ne va della propria sopravvivenza.
http://www.lastampa.it/2014/02/04/blogs/oridente/a-gaza-ricompare-lombra-di-dahlan-RqtmtTCSM9Vx12xPRbmIAO/pagina.html
#3Emanuel Baroz
Hamas: luce verde a nuovi lanci di missili su Israele
di Sarah F.
Dopo che nei giorni scorsi Hamas aveva schierato le proprie forze di sicurezza lungo tra Israele e la Striscia di Gaza per evitare il lancio di missili su Israele, da ieri ha cambiato idea e ha dato sostanzialmente luce verde al lancio di missili su Israele.
Infatti, secondo fonti della difesa israeliana, Hamas avrebbe ritirato le proprie forze di sicurezza dalle posizioni lungo il confine con Israele dando così implicitamente il suo assenso al lancio di missili. Il fatto è avvento tra la serata di ieri e la notte scorsa.
La decisione di Hamas arriva dopo che anche nei giorni scorsi erano stati sparati missili contro la città israeliana di Eilat e dopo che l’aviazione israeliana aveva risposto bombardando postazioni terroristiche a Gaza.
Per il momento non si segnalano nuovi lanci di missili contro Israele ma nelle orecchie degli israeliani ancora risuona l’avvertimento lanciato qualche giorno fa dal Generale Aviv Kohavi il quale ha quantificato il numero di missili puntati su Israele in 170.000. Nella difesa israeliana si fa sempre più avanti l’idea che il problema Hamas debba essere risolto una volta per tutte.
http://www.rightsreporter.org/hamas-luce-verde-a-nuovi-lanci-di-missili-su-israele/
#4Emanuel Baroz
Quei bravi ragazzi palestinesi. Come ti frego Israele
di Adrian Niscemi
Chi un pochino conosce le cose mediorientali e le analizza senza pregiudizi conosce molto bene la falsità e l’ipocrisia dei leader palestinesi e in particolare di Abu Mazen, il cosiddetto Presidente della ANP (Autorità Nazionale Palestinese) cosiddetto perché da diversi anni occupa quel posto senza essere stato eletto da nessuno e senza avere in mente di indire libere elezioni. Ma l’intervista rilasciata al New York Times le supera tutte.
A parte la furbesca scelta della testata, la più vicina a Obama, quello che fa Abu Mazen è uno spudorato esercizio della menzogna, non tanto per quello che dice quanto piuttosto per quello che non dice. Abu Mazen intorta gli americani e si presenta come la parte buona e bella dei negoziati lasciando intendere che se i negoziati di pace falliranno sarà per colpa di quei cattivoni di israeliani.
Cosa propone Abu Mazen? I principali nodi del contendere sono, come sappiamo, la sicurezza di Israele e la faccenda di Gerusalemme est. Per questo gli israeliani si oppongono a due punti del piano di pace proposto e quasi imposto dal segretario di Stato americano, John Kerry, quello che riguarda la permanenza delle truppe israeliane in Cisgiordania che secondo Kerry andrebbero sostituite da truppe NATO e l’incedibilità di Gerusalemme est. Cosa fa allora Abu Mazen? Diventa improvvisamente una colomba e propone una forza di pace della NATO a guida americana in Cisgiordania e a Gerusalemme est al posto delle truppe israeliane. Così prende tre piccioni con una fava, passa da colomba perché va incontro al piano di Kerry, si sbarazza della presenza del IDF in Cisgiordania e si impossessa di Gerusalemme est. Ma non solo, con questa mossa non si ingrazia solo gli americani ma salta a piè pari il problema del riconoscimento di Israele che non viene nemmeno nominato né da Kerry né dallo stesso Abu Mazen, mentre ambedue pretendono che Israele riconosca la Palestina con Gerusalemme est come capitale e l’uscita delle truppe israeliane dalla Cisgiordania e da Gerusalemme est conclamerebbe proprio una implicita accettazione di questo dato di fatto.
Come sempre quindi il leader palestinese, che a furbizia ha superato il maestro Arafat, si mette nella posizione di rendere impossibile il raggiungimento di un accordo di pace perché nega due delle principali condizioni non negoziabili poste da Israele (il riconoscimento e l’indivisibilità di Gerusalemme) ma allo stesso tempo fa in modo che la colpa di tale fallimento ricada su Israele.
Inutile dire che quanto detto da Abu Mazen ha suscitato entusiasmo sia tra gli americani che in Europa e che nessuno si sia curato delle condizioni poste da Israele. Non solo, anche se ieri Kerry si è affrettato a smentire sostenendo di essere stato frainteso, l’altro giorno è arrivato a minacciare un boicottaggio globale di Israele se lo Stato Ebraico non si fosse piegato alle condizioni americano-palestinesi.
E’ una offensiva a 360° contro Israele che sembra aver colto di sorpresa i diplomatici israeliani in primo luogo proprio per l’atteggiamento americano mai così accondiscendente con i palestinesi. A Gerusalemme sanno che un rifiuto delle condizioni poste da Kerry e ben accette da Abu Mazen comporterebbe automaticamente il fallimento dei colloqui di pace e che la colpa ricadrebbe su Israele. Ma allo stesso tempo non possono cedere né sulla sicurezza né tantomeno sulla questione di Gerusalemme est. Poi c’è la questione dei coloni. Né Abu Mazen né John Kerry hanno mai nominato questo problema, ma l’accettazione da parte israeliana del piano Kerry prevederebbe l’automatica espulsione di 400.000 coloni dalla Cisgiordania (e non 120.000 come inizialmente stimato) il che diventerebbe per Israele un problema insostenibile anche economicamente.
Difficile dire ora cosa dovrebbe fare Israele. Kerry e i palestinesi hanno praticamente i totale controllo sui media internazionali oltre che l’appoggio diplomatico di moltissimi paesi, quindi gli israeliani e i loro amici hanno poche possibilità di far sentire le proprie ragioni. La tentazione di far saltare tutto è molto forte ma per farlo Israele deve uscire dall’accerchiamento mediatico, favorito anche da una gestione dei media decisamente non in linea con i tempi (forse uno dei più grandi errori commessi da Israele e dai suoi amici che continuano imperterriti a usare i media in gruppi chiusi se non segreti). Occorre quindi cambiare strategia mediatica per uscire da questo isolamento e adottare una strategia d’attacco. Abbiamo visto che gli odiatori si mettono a tacere proponendo la semplice verità e gli scettici si convincono esponendo le proprie ragioni. Inutile fare centinaia di gruppi chiusi su Facebook quando a poter accedere a quei gruppi sono solo e sempre le stesse persone. O si esce da questo isolamento oppure l’avranno vinta gli altri.
http://www.rightsreporter.org/quei-bravi-ragazzi-palestinesi-come-ti-frego-israele/
#5HaDaR
Chissà che ne dicono D’Alema e i suoi compagni…piú o meno Ebrei, che so io Giorgio Gomel, Gad Lerner e il resto degli utili idioti e comodi idoli ebraici da tre soldi della sinistra …visto che tutti han parlato di “ricerca di dialogo con Hamas”… il che è un po’ come parlare di “ricerca di dialogo con Himmler”…
#6Emanuel Baroz
A proposito di Hamas….
Egitto: “Hamas è parte integrante dei Fratelli Musulmani”
Il Cairo 17/01/2014. Lo Sheikh Nabil Naim leader dell’Egyptian Islamic Jihad group, Al Jihad, ha detto in un intervento telefonico ad un programma andato in onda su On Line Media che Hamas è parte integrante dei Fratelli Musulmani.
Naim ha sottolineato che la stessa Fratellanza è l’ala armata del gruppo in Egitto e quindi direttamente coinvolta nella commissione degli atti terroristici che hanno avuto luogo in Egitto. Naim, nel programma condotto dall’anchorman Rami Radwan, ha aggiunto che un un gran numero di egiziani arrestati, hanno confessato di aver ricevuto denaro e addestramento da Hamas. Il leader di Al Jihad ha sottolineato che c’è un tentativo di infangare la rivoluzione del 30 giugno e che il dichiarare organizzazione terrorista la Fratellanza ne è una conferma.
http://www.agccommunication.eu/component/content/article/89-regoledingaggio/6234-hamas-fratellanza-musulmana-egitto