Abu Mazen interlocutore di pace? Fine di un’illusione
L’accordo Fatah-Hamas è uno schiaffo in faccia a Stati Uniti, Unione Europea e a molti stati arabi
di Guy Bechor
Che si realizzi o meno, la decisione del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di unire le forze con l’organizzazione terroristica Hamas non è altro che uno schiaffo in faccia a coloro che consideravano Abu Mazen un valido interlocutore di pace, e in particolare all’amministrazione americana, al Segretario di stato americano John Kerry e all’Unione Europea. Si potrebbe persino considerarla un’umiliazione.
A che scopo, infatti, Stati Uniti e Unione Europea per anni hanno tenuto in vita l’entità denominata Autorità Nazionale Palestinese con una respirazione artificiale fatta di miliardi di dollari? A che scopo questa Autorità ha ricevuto dall’Unione Europea qualcosa come 7 miliardi di euro in contanti a partire dal 1994? Il primo scopo era arginare Hamas. E a quale scopo i paesi europei sostengono alle Nazioni Unite lo status di “osservatore” di un sedicente “stato palestinese”, se non per indebolire Hamas? E cosa fa adesso l’Autorità Nazionale Palestinese, dopo tutti quei soldi e tutti quegli sforzi? Si riunifica con Hamas, e potrebbe persino cederle il potere con le elezioni.
Semplicemente vergognoso. Ma c’è una spiegazione. Finora il denaro europeo è affluito all’ANP incondizionatamente e senza alcun vero controllo. Ma una nuova legislazione approvata lo scorso 3 aprile dal Parlamento europeo ha fissato alcune nuove condizioni. Cosa che di fatto mette fine all’Autorità Nazionale Palestinese per come l’abbiamo conosciuta sinora, dal momento che verrà svelato il suo sostegno economico ai terroristi. Ecco una buona ragione per cui Abu Mazen corre tra le braccia di Hama: sa che il flusso di denaro è destinato a prosciugarsi in ogni caso.
E adesso? Se l’ANP farà un governo congiunto con Hamas, diventerà impossibile trasferirle anche un solo centesimo perché Hamas è ufficialmente considerata un’organizzazione terroristica sia da Washington che dall’Europa. E chiaramente anche Israele dovrà congelare i trasferimenti di fondi a un’entità ufficialmente (e di fatto) terrorista, smettendo ad esempio di coprire a spese dei contribuenti israeliani l’enorme debito accumulato dall’Autorità Nazionale Palestinese verso la Israel Electric Corporation (più di 1,4 miliardi di shekel, 400 milioni di dollari), così come verso molti altri creditori israeliani. Non si vede come possa esserci un’altra opzione legale. E gli europei potrebbero ritirare gli aiuti inutilmente investiti nell’Autorità Palestinese e usarli piuttosto per aiutare i propri disoccupati.
L’unità con Hamas è uno schiaffo in faccia anche a molti regimi arabi, in quanto si tratta sostanzialmente di uno spostamento verso la collaborazione con il loro nemico, la Fratellanza Musulmana, di cui Hamas è una ramificazione. È un insulto a Egitto, Arabia Saudita, Giordania e ad altri stati che considerano l’islamismo estremista una minaccia per la loro stessa esistenza.
Sia Fatah che Hamas sono diventate entità altrettanto detestate nelle opinioni pubbliche arabe e fra molti degli stessi palestinesi. Non c’è sostegno, non c’è interesse, non c’è aspettativa. I regimi arabi non hanno nessuna voglia di finanziare l’Autorità Palestinese se si ferma l’afflusso di denaro europeo-americano-israeliano. E così, senza alternative, si sono gettati l’uno nelle braccia dell’altro.
La mossa costituisce anche un tentativo di fermare il loro nemico comune: le forze salafite e jihadiste, che già contano decine di migliaia di membri e rappresentano il futuro (Siria docet?). Hamas e Fatah lo sanno. Sia Hamas che Fatah temono una nuova intifada perché, pur iniziando contro Israele, potrebbe finire col seppellire entrambe.
Che si concretizzi o meno, è un bene che questa ritrovata unità Fatah-Hamas avvenga ora, dal momento che l’intenzione è chiara. Si provi a immaginare cosa sarebbe successo se Israele avesse trasferito ai palestinesi i cruciali territori al centro del paese, e poi fosse spuntata l’unità con Hamas e Jihad Islamica, e dunque queste ultime ne avessero preso il controllo. Che minaccia esistenziale si sarebbe trovato ad affrontare Israele in quel caso, con i missili puntati su Tel Aviv, sulla piana costiera, su Haifa e su Gerusalemme?
Sarebbe meglio dire la verità, dopo aver venduto per mesi alla gente tante illusioni sul “processo di pace” e su interlocutori di pace che probabilmente non ci sono mai stati: illusioni a cui la generale popolazione israeliana non ha mai veramente creduto fino in fondo. E dunque, addio illusioni: benvenuti nella realtà.
(Fonte: YnetNews, 24 Aprile 2014)
Nella foto in alto: la stretta di mano tra il dirigente di Al Fatah Azzam al Ahmad e il “primo ministro” di Hamas Ismail Haniyeh, che ha sancito il raggiungimento di un accordo tra le due fazioni palestinesi
#1Emanuel Baroz
Lo stato di Abu Mazen, fra illusione e incubo
Uno stato palestinese a fianco di Israele sarebbe l’anticamera di un disastro interno palestinese, e i loro capi lo sanno
di Reuven Berko
Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha sicuramente saputo del recente video-messaggio in cui il capo di al-Qaeda, Ayman al-Zawahri, lo definisce “un traditore che sta svendendo la Palestina”, e dev’essere rimasto impietrito.
Ma anche senza quel video, Abu Mazen può facilmente immaginare cosa hanno in serbo per lui i jihadisti islamisti.
La sua minaccia di “rimettere nelle mani di Israele le chiavi dell’Autorità Palestinese” riflette la generale atmosfera di cupa rassegnazione che si respira dalla sue parti.
Fino a poco fa Abu Mazen e i suoi avevano l’impressione di poter sfruttare la pressione esercitata su Israele da Stati Uniti e Unione Europea circa i negoziati di pace. L’illusione di poter ottenere successi gratis era sostenuta dagli allarmi continuamente agitati in Israele circa una “terza intifada”, il “boicottaggio”, lo “stato bi-nazionale”. L’ansia diffusa per le “inevitabili” dimissioni di Abu Mazen, che avrebbero accollato su Israele il caos dei territori palestinesi, ha portato i palestinesi a credere di poter estorcere ulteriori concessioni sulla via verso uno stato palestinese de facto senza dover fare a propria volta delle concessioni che sarebbero viste assai male in campo palestinese, arabo e islamico.
Ma l’ultimo round di colloqui ha portato i palestinesi a un bivio: possono ottenere il loro stato, ma devono dichiarare la fine del conflitto israelo-palestinese e riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico: il che segnerebbe la fine delle loro rivendicazioni sul resto del paese, in particolare attraverso il cosiddetto “diritto al ritorno” (cioè all’invasione demografica di Israele). Questo ineluttabile momento della verità ha gettato la furba strategia palestinese in un circolo vizioso. Dal momento che l’Autorità Palestinese non ha alcuna possibilità di “vendere” i concetti di fine del conflitto e di riconoscimento d’Israele come stato ebraico a Hamas, alla Jihad Islamica, ai furibondi discendenti dei profughi e in generale a una popolazione nutrita per generazioni di revanscismo estremista, pur di evitare qualsiasi decisione cruciale Abu Mazen ha optato per una politica a zig-zag e per una serie di scuse e pretesti (come la questione del rilascio dei detenuti, bloccata dalla sua pretesa che Israele scarcerasse anche terroristi arabo-israeliani senza espellerli, cioè tenendoseli in casa a piede libero).
Con l’aiuto degli americani, i palestinesi hanno cominciato poco a poco a capire che Israele non accetterà mai il “ritorno” dei discendenti dei profughi o di qualunque altra massa di persone votate alla sua distruzione. Ma il fatto che i palestinesi dovrebbero accogliere costoro dentro il loro (futuro) stato viene percepito come un disastro esistenziale. Se poi verrà affidato allo stato palestinese il controllo sulla Valle del Giordano e sui valichi di confine con i paesi vicini, la situazione peggiorerà in modo esponenziale, giacché la Palestina verrà inondata di terroristi d’ogni sorta provenienti da Iraq, Siria e Libano. E coloro che vi si installeranno pretenderanno certamente una redistribuzione delle risorse e delle terre, inaugurando una stagione di conflittualità interna potenzialmente infinita. E i miliziani della Jihad approdati da Siria e Iraq vorranno imporre la sharia, la legge islamica, in tutta l’area “liberata”. Una volta che il rais, il presidente, non fosse più al riparo dell’ombrello di Israele, gli islamisti esigerebbero la restituzione del bottino incamerato in tutti questi anni da Fatah, mentre Abu Mazen e i suoi finirebbero probabilmente impiccati nella pubblica piazza. Gli islamisti passerebbero poi a formare un emirato islamico unito con la striscia di Gaza, che vedrebbe la luce sullo sfondo di sanguinose lotte di potere fra gruppi e clan terroristici, il tutto mentre i mujaheddin lancerebbero devastanti attacchi terroristici contro i civili israeliani provocando disastrose contromisure da parte di Israele.
Poi, come al solito, verrebbe addossata a Israele la colpa per i massacri fra arabi nei territori palestinesi, come accadde nel 1982 col massacro fra arabi di Sabra e Chatila, in Libano.
Uno stato palestinese a fianco di Israele sarebbe l’anticamera di un disastro interno palestinese, e i capi lo sanno. Dovrebbero rifiutare ai discendenti dei profughi il “diritto al ritorno”, condurre politiche fiscali trasparenti, fare a meno degli enormi aiuti del mondo arabo e occidentale, porre fine alla diffusa corruzione, assumersi la responsabilità effettiva per i propri cittadini giacché non potrebbero più incolpare “l’occupazione” per i loro fallimenti.
C’è da stupirsi se Abu Mazen non vuole davvero uno stato palestinese a fianco di Israele? Ecco perché ha deciso di perseguire ancora una volta l’alleanza con Hamas. Per quanto lo riguarda, la prospettiva di uno stato palestinese a fianco di Israele è, per dirla con il compianto Gabriel García Marquez, la cronaca di una morte annunciata.
(Fonte: Israel HaYom, 23 Aprile 2014)
http://www.israele.net/lo-stato-di-abu-mazen-fra-illusione-e-incubo
#2Emanuel Baroz
Anziché con Gerusalemme, Abu Mazen si è accordato con Hamas
http://www.ilborghesino.blogspot.it/2014/04/anziche-con-gerusalemme-abu-mazen-si-e.html
#3Emanuel Baroz
Dove vuole arrivare Abu Mazen?
di Khaled Abu Toameh
Il presidente dell’Autorità Palestinese (ANP) Mahmoud Abbas ha colto ancora una volta di sorpresa Israele e Stati Uniti, questa volta sottoscrivendo un accordo di “riconciliazione” con Hamas. Il 23 aprile, Abbas ha inviato una delegazione dell’OLP a Gaza per sottoscrivere lo “storico” accordo con il primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh. L’accordo prevede la formazione di un governo di unità nazionale, presieduto da Abbas, entro cinque settimane. Sei mesi dopo la formazione del nuovo governo, secondo l’intesa, saranno tenute elezioni presidenziali e parlamentari in tutti i territori palestinesi.
La decisione di Abbas di unire le forze con Hamas è vista come mossa tattica allo scopo di mettere pressione su Israele e Stati Uniti affinché siano accettate le sue condizioni per estendere i colloqui di pace oltre la scadenza prevista del 29 aprile. Ma malgrado la solennità della firma dell’accordo, tenutasi presso la residenza di Haniyeh, la distanza fra la fazione del Fatah di Abbas e quella di Hamas, rimane più ampia che mai.
Non si scorge da nessuna parte che, in virtù degli accordi sottoscritti con Fatah, Hamas cambierà la sua ideologia radicale, abbandonando la lotta armata. Ne’ ci sono segnali che indichino la disponibilità da parte di Hamas a consentire alle forze di sicurezza dell’ANP di tornare nella Striscia di Gaza, caduta nelle mani del movimento islamico nel 2007 (dopo un sanguinoso colpo di stato che vide diverse vittime nella fazione del Fatah, NdT).
I leader e i portavoce di Hamas hanno chiarito che l’accordo di “riconciliazione” non implica che Hamas abbandonerà la strada del terrorismo per conseguire i suoi obiettivi: «l’opzione del negoziato è fallita», ha affermato Ra’fat Murra, un dirigente di Hamas dal Libano; « La strada giusta rimane la resistenza».
Ibrahim Hamami, uno scrittore palestinese con forti legami con Hamas, dice di non credere che un accordo di riconciliazione con «gli agenti di Israele» (Abbas e l’ANP, NdR) sia possibile: «non ci dovrebbero essere incontri e riappacificazioni con traditori e collaboratori», conclude.
L’accordo di questi giorni non porrà fine alle dispute fra Hamas e Fatah, così come intenderà esercitare pressioni sui governi di Gerusalemme e Washington. Ne’ Hamas e Fatah appaiono intenzionati a condividere il potere nello stesso governo. L’accordo di “riconciliazione” è l’ultimo di una serie di mosse adottate da Abbas da quando i negoziati di pace sono stati fatti deragliare alcune settimane fa. Le manovra di Abbas sono cominciate con la richiesta di adesione a 15 organizzazioni internazionali, ed sono continuate con le minaccie di dissolvimento dell’Autorità Palestinese. Tutte queste mosse hanno colto di sorpresa i governi israeliano e americano (NdT: si capisce bene come siano state meditate da tempo, e non il risultato di una decisione impulsiva. Abbas agiva su due tavoli: su uno fingeva di discutere di pace per compiacere il pubblico mondiale; sull’altro preparava queste mosse clamorose. E ci si chiede se l’amministrazione americana fosse davvero all’oscuro di tutto ciò).
Abbas deve aver concluso che il segretario di Stato americano, John Kerry, sia talmente ansioso di conseguire un accordo di pace fra israeliani e palestinesi, che sia stato disposto a tutto pur di non far naufragare il processo di pace. Apparentemente Abbas non ha percepito che l’amministrazione americana fosse completamente contraria alla richiesta di aderire a 15 trattati e organizzazioni internazionali; ne’ ha colto una risposta fermamente contraria da parte di Washington alla minaccia di smantellare l’ANP. Ecco perché ha deciso di saggiare le reazioni degli Stati Uniti firmando un accordo “storico” con Hamas: qualcosa che lo stesso Abbas deve ritenere di improbabile realizzazione.
Abbas non sembra intimorito dalla decisione di Israele di sospendere i colloqui di pace con l’ANP. Al contrario, metteva in conto una risposta aspra da parte di Gerusalemme. Ma sapeva che le misure intraprese sarebbero state contenute, e che Israele non aveva alcun interesse nel veder collassare l’ANP. Sarebbe ben più preoccupato se l’amministrazione americana reagisse fermamente opponendosi all’intesa con Hamas. Il timore più consistente è che siano tagliati i finanziamenti americani ai palestinesi, conducendo ciò all’isolamento; così’ come fece Bush nei confronti di Arafat nel 2002.
Inoltre, Abbas vuole che gli USA continuino a proporsi nel ruolo di mediatori, perché sa che ne’ l’Europa, ne’ i russi ne’ tantomeno la Cina possano subentrarvi. Abbas è convinto che è solo questione di tempo prima che Kerry o altri diplomatici volino a Ramallah per tentare di persuaderlo a non stringere un accordo con Hamas.
Ormai il capo dell’OLP ha capito che, ogni volte che compie un gesto drammatico, l’amministrazione americana lancia una nuova iniziativa diplomatica per convincerlo a ripiegare. Sembra quasi godere nell’umiliare la superpotenza americana. E vuole che il suo popolo e gli arabi lo vedano come un eroe che mette in difficoltà gli americani.
Abbas ora è in attesa di verificare cosa otterrà dagli USA in cambio della disponibilità di tornare sui suoi passi in merito all’accordo con Hamas. Se e quando ciò accadrà, Abbas tornerà alla carica con nuove richieste e condizioni, così come ha fatto nelle ultime settimane.
http://www.ilborghesino.blogspot.it/2014/04/dove-vuole-arrivare-abu-mazen.html
#4Emanuel Baroz
Balle palestinesi: la coalizione Hamas-Fatah riconoscerà Israele
di Sarah F.
Cosa non si fa per una manciata di dollari. L’ultima piroletta palestinese arriva, manco a dirlo, da Abu Mazen il quale, secondo quanto riportato dal Jerusalem Post, ieri avrebbe avuto una telefonata con Segretario di Stato americano, John Kerry, durante la quale avrebbe assicurato che il Governo di Unità Nazionale palestinese riconoscerà Israele.
Ora però c’è un piccolo problema, Hamas (ma anche Fatah, anche se tutti fanno finta di niente) nel suo Statuto ha al primo posto la distruzione di Israele e non certo il suo riconoscimento. Detto in parole povere, se quanto detto da Abu Mazen a John Kerry fosse vero Hamas dovrebbe rinnegare pubblicamente il suo statuto. La cosa francamente ci sembra un po’ improbabile.
Il punto su cui occorre concentrarsi sono gli aiuti economici dati dagli americani ai palestinesi. Tali aiuti, che sono centinaia di milioni di dollari, sono vincolati dal Congresso americano a precise condizioni tra le quali vi è proprio l’obbligo per qualsiasi Governo palestinese di riconoscere Israele.Cosa significa questo? Che se quanto detto da Abu Mazen pochi giorni fa, cioè che entro brevissimo tempo verrà costituito un Governo di Unità Nazionale di cui farà parte anche Hamas, quella condizione verrà meno e il Congresso americano congelerà gli aiuti economici alla Palestina.
Ed ecco allora la clamorosa balla palestinese, profusa da quel professionista della balle che è il cittadino onorario di Napoli, che il nuovo Governo di Unità Nazionale palestinese riconoscerà Israele, una balla tanto clamorosa quanto ridicola alla quale solo Kerry e Obama possono credere.
http://www.rightsreporter.org/balle-palestinesi-la-coalizione-hamas-fatah-riconoscera-israele/
#5Emanuel Baroz
Hamas ribadisce: “Non riconosceremo mai Israele”
GAZA – Nonostante l’intesa raggiunta con i rivali di Fatah di Abu Mazen per formare un governo palestinese di unita’ nazionale Hamas non cambia in alcun modo la sua posizione su Israele: “Il riconoscimento di Israele da parte del presidente dell’Anp, Abu Mazen, non e’ una novita’. Quello che e’ importante e Hamas non ha mai (riconosciuto) e non riconoscera’ mai Israele”, ha spiegato il portavoce del movimento di resistenza islamico Sami Abu Zuhri.
(Fonte: AGI, 26 Aprile 2014)
#6Emanuel Baroz
Abu Mazen: “Non riconosceremo Israele Stato ebraico”
“Nel 1993 abbiamo riconosciuto Israele”, ha ricordato Abu Mazen, aggiungendo che non si può chiedere ai palestinesi di fare un passo ulteriore e riconoscere l’identità religiosa israeliana”
I palestinesi non riconosceranno mai Israele come lo “Stato ebraico”: lo ha detto lo stesso presidente dell’Anp, Abu Mazen, al comitato centrale dell’Olp. “Nel 1993 abbiamo riconosciuto Israele”, ha ricordato Abu Mazen, aggiungendo che non si può chiedere ai palestinesi di fare un passo ulteriore e riconoscere l’identità religiosa israeliana. Israele aveva fatto della richiesta di riconoscimento come Stato ebraico uno dei punti-chiave nelle trattative per i colloqui di pace, da cui peraltro si è ritirato, dopo che, nella notte tra martedì e mercoledì, l’Olp ha firmato l’accordo di riconciliazione con il movimento islamista, Hamas, che non riconosce il diritto di Israele a esistere.
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Abu-Mazen-Non-riconosceremo-Israele-Stato-ebraico-67795b08-e0d8-4205-8fc1-80e8257cebca.html