Perché Israele ha bisogno di checkpoint
di Giulio Meotti
Questa mattina l’esercito israeliano ha arrestato un palestinese che indossava una cintura esplosiva da kamikaze. Indossava un pesante giubbotto, nonostante il caldo. Mentre la grande stampa, a cominciare dal Corriere della Sera, ha dato grande risalto a presunti abusi dell’esercito sui ragazzini palestinesi a Hebron, il ritorno dei kamikaze non arriverà sul desk dei giornali.
Senza i checkpoint, i blocchi stradali e la barriera di separazione, sotto cui ha pregato sciaguratamente Papa Francesco, gli israeliani salterebbero in aria. Filo spinato, pattugliamenti stradali, telecamere e sensori elettronici sono utilizzati in Israele per impedire che un ristorante, un centro commerciale o un albergo possano trasformarsi in tappeti di corpi umani. Corpi di ebrei.
A differenza del Checkpoint Charlie di Berlino, che era un monumento di sfida contro gli oppressi, i checkpoint israeliani sono un simbolo di vita. Israele ne ha migliorato le condizioni, li ha rimossi, ma i terroristi arabi palestinesi ne hanno deliberatamente approfittato. Nel 2004, una donna palestinese ha ucciso quattro israeliani a un posto di blocco a Gaza, fingendo di essere disabile. A causa del suo stato, i soldati avevano proceduto ai controlli di sicurezza senza prima utilizzare un metal detector. Lei ha quindi potuto far esplodere l’ ordigno esplosivo che portava con sè.
Ci sono 63 posti di blocco lungo la barriera, noti come “porte” e “ostacoli”, quali blocchi stradali e passaggi sotto controllo. Per questo i terroristi arabi hanno trovato difficoltà a procurarsi armi da quando l’esercito controlla ogni città. Quando rimangono bloccati ai posti di blocco, comunicano con i cellulari. In questo modo i servizi segreti israeliani riescono a intercettare la chiamata e individuare la rete. In passato, l’intelligence israeliana veniva a conoscenza di un attacco mentre questo era già in corso. Fu la Seconda Intifada.
Con i posti di blocco, l’esercito previene le manovre dei terroristi. Ecco perché il checkpoint di Kalandia, tra Gerusalemme e Ramallah, assomiglia a un vero e proprio confine, dove vanno a manifestare legioni di pacifisti occidentali. Senza posti di controllo, barriere di sicurezza e blocchi stradali, Israele non sarebbe in grado di esistere. Se gli arabi si disarmano, ci sarà la “pace”; ma se è Israele a disarmarsi, ci sarà un nuovo genocidio.
Nella foto in alto: l’esplosivo che aveva indosso il terrorista palestinese fermato oggi al check point di Tapuach, visto dagli occhi del robot che lo ha disinnescato. L’unità degli artificieri dell’IDF ha fatto sapere che il terrorista, di circa 20 anni, indossava una cintura con 12 tubi di ferro contenenti esplosivo (Thanks to Progetto Dreyfus)
#1Emanuel Baroz
1 giugno 2014 – Sventato attentato suicida palestinese. Le guardie di frontiera israeliane in servizio al posto di blocco di Tapuach (Cisgiordania) hanno individuato in tempo, fermato e disarmato un palestinese che aveva addosso barre di ferro collegate a un ordigno esplosivo. L’anno scorso, allo stesso posto di blocco i soldati israeliani avevano ucciso un terrorista palestinese che aveva aperto il fuoco verso le persone in attesa a una vicina fermata d’autobus.
(Fonte: Israele.net)