Criticare Israele si può, ma così è nuovo antisemitismo
di Christian Rocca
Mai un appello di intellettuali occidentali rivolto ad Hamas o ad Al Qaeda o agli Ayatollah affinché rinuncino alla violenza, all’odio razzista, ai missili, ai kamikaze, al terrorismo. Mai. Nemmeno un tweet. Gli intellettuali occidentali si appellano solo a Israele, perché si ritiri, perché rimuova l’embargo, perché fermi l’esercito. E poi boicottano. Boicottano gli studenti israeliani, i professori israeliani, anche le aziende israeliane di acqua gassata. In teoria, ma solo in teoria, tutto questo potrebbe anche avere un senso perché Israele è un Paese democratico con un’opinione pubblica che può influenzare le scelte del governo, mentre le altre sono organizzazioni terroristiche di stampo religioso non particolarmente sensibili alle prediche peace&love.
Ma è inutile girarci intorno: l’antisionismo è il nuovo antisemitismo. È una versione aggiornata, ipocrita e politicamente corretta dell’antico pregiudizio antiebraico ben radicato a destra come a sinistra nella tradizione europea. Non c’è altro esempio di Paese messo in discussione in quanto tale. Non c’è altro esempio di Stato circondato da nemici che non ne riconoscono l’esistenza e da detrattori internazionali che lo mettono costantemente in discussione. Non c’è altro esempio di nazione criticata perché si difende da attacchi continui e ripetuti contro la sua popolazione e nonostante sia sempre pronta a deporre le armi, come ha già fatto, nel momento esatto in cui le autorità vicine smettano di voler spillare sangue ai «porci» e alle «scimmie» ebree.
Certo che è lecito criticare il governo di Israele, come quello di qualsiasi altro Paese. Certo che è giusto piangere le troppe vittime civili di un conflitto armato drammatico e infinito. Epperò quando si criticano le politiche russe o tedesche o siriane o iraniane o nordcoreane nessuno nega il diritto di russi, tedeschi, siriani, iraniani o nordcoreani a vivere serenamente in uno Stato, fianco a fianco con vicini rispettosi e pacifici. Nessuno vuole cancellare la Russia, la Germania, la Siria, l’Iran o la Corea del Nord dalla cartina geografica. Nessuno li chiama con disprezzo «entità» né definisce «razzista» con egida Onu il diritto alla loro esistenza.
Qual è dunque la differenza tra le critiche a questi e altri Paesi e quelle a Israele? Una soltanto: Israele è lo Stato degli ebrei. Come è possibile, inoltre, criticare il governo di Israele sempre, comunque e in ogni occasione, quando è di sinistra ma anche quando è di destra, quando è di unità nazionale e quando è di minoranza, quando cerca la pace con i vicini e quando non si fida degli interlocutori? Possibile che questo governo sia sempre criminale, ogni singolo giorno dell’anno dal 1948 a oggi? Che cosa nasconde la critica indistinta e imperitura al «governo di Israele» sia che lo guidi Begin sia che lo guidi Rabin, quando il leader è Sharon e quando lo è Peres, se al potere c’è Barak e anche se c’è Netanyahu?
Delle due l’una: o dietro questa fanatica e ingiustificata ossessione anti israeliana ci sono le ultime scorie ideologiche delle dottrine comuniste, antimperialiste e antiliberali oppure, appunto, è una critica radicata nell’antisemitismo. In entrambi i casi siamo in zona spazzatura della storia, e senza necessità di raccolta differenziata.
Ai firmatari degli appelli contro lo Stato ebraico evidentemente non importa che Hamas abbia come obiettivo principale distruggere Israele, instaurare la legge islamica e proclamare una Palestina Judenfrei. Non gli interessa che le guerre mediorientali di aggressione araba siano cominciate il giorno stesso della proclamazione all’Onu dello Stato di Israele. Non gli risulta che lo Stato palestinese non sia nato, contemporaneamente a quello israeliano come previsto dalla risoluzione Onu 181, per espressa scelta dei Paesi arabi che invece hanno preferito attaccare gli ebrei per provare a impedire la nascita di Israele. Non importa che da sessantasei anni Israele non faccia altro che difendersi e per questo sia diventato più che sospettoso dei suoi interlocutori e vieppiù arrogante, spietato e crudele con i nemici (sul trionfo e la tragedia di Israele leggete My Promised Land del giornalista pacifista israeliano di Haaretz Ari Shavit e scaricate la nuova serie tv della Bbc The Honorable Woman con Maggie Gyllenhaal). Ma che deve fare, Israele, farsi gentilmente annientare?
Gli israeliani, per i firmatari degli appelli, non si possono difendere del tutto, non devono esercitare la loro superiorità militare, forse dovrebbero morire un po’ di più in modo da pareggiare i conti con le vittime dell’altra parte. L’ebreo buono è sempre quello che muore, e non è nemmeno detto. In L’eterno antisemita, Henryk Broder cita uno psichiatra israeliano, Zvi Rex, che offre una spiegazione apparentemente paradossale e grottesca del rancore e del risentimento occidentale contro gli ebrei noto come “antisemitismo secondario”: «I tedeschi non perdoneranno mai gli ebrei per Auschwitz». Qui i tedeschi non c’entrano niente, ma su certi intellettuali da appello meglio non scommettere.
(Fonte: Il Sole 24 Ore, 22 Agosto 2014)
#1Parvus
Esatto inutile girarci attorno. l’antisionismo è il nuovo antisemitismo. Anzi, una congrega che vede assieme i prezzolati dagli sceicchi, i razzisti e gli imbecilli che si aggregano credendo così di essere a la page.