Gerusalemme sotto attacco
Assalti, sassaiole, morti e feriti. I problemi del “containment”
“Gerusalemme è sotto attacco“, ha detto ieri il premier israeliano Bibi Netanyahu, e si riferiva, certo, all’attentato terroristico di mercoledì, quando Abdel Rahman al Shaludi, un affiliato di Hamas con precedenti per violenza, è piombato sulla banchina di un treno urbano, alla fermata Ammunition Hill, e ha travolto i passeggeri che uscivano dal mezzo: una bambina di tre mesi è stata uccisa, sette persone sono rimaste ferite.
Ma quando dice che Gerusalemme è sotto attacco, Bibi parla di una situazione che va avanti da mesi, e di cui l’attentato di mercoledì è solo l’esplosione più recente. Nella capitale, anche quando il conflitto di questa estate nella Striscia di Gaza si è spento, la violenza non si è mai fermata. Ieri a Gerusalemme est, ad appena un giorno dall’attacco, qualcuno ha iniziato a lanciare pietre nel cortile di un asilo frequentato soprattutto da bambini israeliani. I bimbi sono corsi dentro, nessuno si è fatto male, ma le pietre lanciate hanno un valore simbolico enorme. Hanno tirato dei sassi tutte le sere anche contro il treno leggero che è stato il bersaglio dell’attentato. Il treno collega il centro della città con Gerusalemme est ed è stato elogiato come un simbolo di pace, ma quando entra dentro i quartieri arabi puntualmente i suoi vetri sono rotti da grosse pietre, a volte le carrozze sono colpite da bombe molotov. E’ così in tutta Gerusalemme est, almeno da luglio, e ieri Haaretz ha parlato di Intifada.
Il governo israeliano da tempo è diviso su come gestire la sicurezza nella capitale, il problema è la strategia del “containment”, che cerca di prevenire l’escalation della violenza e l’estensione del conflitto, ma non cura la violenza che è già presente, la faida quotidiana che rende la vita della città un incubo di cui sembra impossibile vedere la fine e che fa di Gerusalemme il simbolo di tutte le cose che non funzionano nel processo di pace. Pochi giorni fa il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen, che governa insieme con i terroristi di Hamas, ha incitato indirettamente i palestinesi ad attaccare gli ebrei di Gerusalemme, e ieri il suo portavoce ha definito l’attentato di mercoledì una “risposta naturale” alle politiche aggressive di Israele. All’interno del processo di pace, fermo da mesi, non sono previsti nuovi colloqui.
(Fonte: Il Foglio, 24 Ottobre 2014)
Nelle foto in alto: il presidente (con mandato scaduto) dell’ANP Abu Mazen e la piccola Haya Zissel Braun (3 mesi), l’ultima vittima innocente del terrorismo palestinese a Gerusalemme
#1Emanuel Baroz
Israele: pace con chi? Quando uccidere bambini e ragazzi ebrei rende eroi
di Miriam Bolaffi
Il terrorista palestinese che ha ucciso la piccola Haya Zissel Braun di soli tre mesi qualche settimana fa aveva pubblicato un video nel quale elogiava Marwan Kawasme e Amar Abu Aysha, i due terroristi legati ad Hamas che avevano rapito e ucciso i tre ragazzi israeliani.
Questo infame terrorista, che si chiamava Abdel Rahman al-Shaludi, è stato unanimemente riconosciuto dai palestinesi e dai gruppi filo-palestinesi come un eroe per aver ucciso la piccola neonata israeliana, un “martire” che ha compiuto il suo dovere di buon musulmano uccidendo una ebrea in fasce e cercando di uccidere quanti più ebrei possibile. Su Facebook, anche grazie alla complicità di certi pseudo “attivisti per i Diritti Umani” questo assassino di bambini è diventato una vera celebrità. Il suo video sta facendo il giro del web.
La cosa buffa, che in realtà dovrebbe essere tragica, è che in occidente si continua a chiedere a Israele di fare la pace con queste persone senza però pretendere nulla dalla controparte araba, nemmeno un misero riconoscimento o almeno l’introduzione della parola “pace” in un documento ufficiale. Non solo, il buon occidente finanzia ad ampie mani le prossime guerre che questi “signori” stanno già preparando contro Israele. Sono sempre i soldi occidentali che finanziano le scuole dove ai bambini si impara che uccidere gli ebrei non solo non è peccato ma è un dovere per ogni “buon musulmano”.
Il silenzio che è calato sull’omicidio della piccola Haya Zissel Braun è paragonabile solo a quello che è seguito al massacro di Itamar quando terroristi arabi massacrarono a sangue freddo una intera famiglia, compresi i bambini piccolissimi. Anche allora la stampa occidentale tacque quasi completamente. Anzi, nonostante l’aperta rivendicazione da parte delle Brigate dei martiri di al Aqsa, il braccio armato di Fatah (e quindi della ANP di Abu Mazen) continuarono imperterriti a chiamare queste bestie “interlocutori per la pace”. Ma quale pace? Di cosa stiamo parlando?
Non vorrei che si considerassero i casi dell’omicidio della piccola Haya Zissel Braun e dei tre ragazzi israeliani come casi isolati, frutto della follia di singoli individui fanatici. Non lo sono e per capirlo basta guardare le reazioni sui social network. I palestinesi la pensano tutti così, senza alcuna distinzione. Non ci sono palestinesi buoni e “interlocutori della pace” e palestinesi cattivi. Ci sono solo palestinesi o cosiddetti tali. Prima se ne prende atto è meglio è per tutti. Sono nemici e come tali vanno trattati. E se è vero che la pace si fa con i nemici e altrettanto vero che prima è sempre meglio sconfiggerli, poi si può parlare di pace.
http://www.rightsreporter.org/israele-pace-con-chi-quando-uccidere-bambini-e-ragazzi-ebrei-rende-eroi/
#2Emanuel Baroz
Il “moderato” Abu Mazen, smentito dalle sue stesse parole
Definire moderato Abu Mazen è l’equivalente in diplomazia dell’affermare che Elvis Presley è ancora vivo
di Michael Freund
Negli ultimi dieci anni, da quando nel gennaio 2005 Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha preso le redini dell’Autorità Palestinese, la comunità internazionale ha fatto di tutto per dipingerlo come un moderato.
Ignorando il suo lungo curriculum di istigatore anti-Israele e di negazionista della Shoà, presidenti americani, primi ministri europei e anche diversi leader israeliani hanno spesso parlato di Abu Mazen in termini entusiastici, descrivendolo come un idealista e un uomo di pace. Lo scorso 17 marzo, quando Abu Mazen è stato ricevuto alla Casa Bianca, il presidente americano Barack Obama ha detto ai giornalisti: “Devo complimentarmi con il presidente Abu Mazen, un uomo che ha sempre coerentemente rifiutato la violenza, che ha sempre cercato una soluzione diplomatica e pacifica che permetta a due stati, fianco a fianco, di vivere in pace e sicurezza”. Più di recente, in occasione della conferenza dei donatori per Gaza tenutasi al Cairo il 12 ottobre, il Segretario di stato John Kerry si è sperticato in elogi per il capo palestinese dicendo: “Presidente Abu Mazen, grazie per la vostra perseveranza e la vostra collaborazione”.
Ma la maschera è caduta. Il comportamento di Abu Mazen e le sue recenti esternazioni anti-israeliane dimostrano chiaramente che la sua apparente moderazione non è altro che una frottola. Definire moderato Abu Mazen è l’equivalente, in diplomazia, dell’affermare che Elvis Presley è ancora vivo e che l’uomo nero si nasconde sotto al letto.
Si prendano, ad esempio, le dichiarazioni a dir poco smodate fatte da Abu Mazen venerdì scorso a un raduno del partito Fatah. Riferendosi agli ebrei che desiderano visitare il Monte del Tempio di Gerusalemme, il luogo più sacro del giudaismo, Abu Mazen li ha definiti “coloni” e “mandrie di bestiame”, e ha esortato i palestinesi a usare “ogni mezzo” per fermarli. “Non basta dire che arrivano i coloni – ha proclamato – bisogna impedire loro di entrare nel complesso (del Monte del Tempio) con qualsiasi mezzo. E’ la nostra al-Aqsa e loro non hanno alcun diritto di entrare e profanarla”. Per Abu Mazen, evidentemente, la presenza stessa di ebrei sulla spianata dove un tempo sorgeva il loro Tempio costituisce un abominio.
Se questo non è un invito alla violenza, che cosa lo è? Inutile dire che il vergognoso sfogo di Abu Mazen non è caduto nel vuoto. Meno di 48 ore più tardi, dei teppisti palestinesi deturpavano il Monte del Tempio scarabocchiando svastiche e altre offensive immagini antisemite nel sito la cui santità sostengono di voler tutelare. Puntuale, poi, è arrivato l’attentato di mercoledì costato la vita a una bambina ebrea di 3 mesi.
Commentando le parole del presidente palestinese, il ministro degli esteri israeliano Avigdor Liberman ha giustamente osservato che Abu Mazen sta “cercando di incendiare la situazione sfruttando il luogo più sensibile, il Monte del Tempio”. “Sotto il doppiopetto e la bonomia rivolti alla comunità internazionale – ha detto Liberman – Abu Mazen alimenta l’istigazione all’odio contro Israele e gli ebrei, e invoca una guerra di religione. Abu Mazen si è di fatto schierato con le organizzazioni islamiste estremiste, come l’ISIS e il fronte al-Nusra, che santificano la guerra di religione”. Prima di alzare gli occhi al cielo per il paragone, si ricordi che agli inizi di giugno Abu Mazen ha varato un governo unitario con Hamas, un’organizzazione jihadista non meno estremista nell’ideologia e nei metodi (e giudicata terroristica non solo da Israele, ma anche da Stati Uniti, Canada, Unione Europea, Giappone, Australia e altri). Il presidente palestinese continua a presiedere un governo che include la stessa organizzazione che ha sparato migliaia di razzi contro i civili israeliani e che costruisce tunnel sotto la frontiera per uccidere civili innocenti.
Poi, naturalmente, c’è la performance di Abu Mazen il mese scorso alle Nazioni Unite, quando si è prodotto in un’odiosa intemerata contro Israele davanti all’Assemblea Generale. Il “ragionevole” Abu Mazen ha denigrato la creazione dello stato ebraico nel 1948 come un atto di “ingiustizia storica” e ha definito Israele “lo stato razzista occupante” accusandolo di “crimini di guerra”, “genocidio” e “terrorismo” contro palestinesi. Tutto questo da un uomo che ha più volte insistito sul fatto che, se dovesse mai sorgere uno stato palestinese, a nessun ebreo sarà permesso viverci.
Sarebbe ora che Israele e Occidente la smettessero di farsi illusioni circa la vera natura di Abu Mazen. L’uomo che ha ripetutamente respinto concrete proposte di pace non porta la kefiah di Yasser Arafat, e non esibisce la pistola nell’aula delle Nazioni Unite come faceva quello, ma i contenuti rimangono gli stessi, e sarebbe ora di prenderne atto.
(Fonte: Jerusalem Post, 22 Ottobre 2014)
http://www.israele.net/il-moderato-abu-mazen-smentito-dalle-sue-stesse-parole
#3Emanuel Baroz
Gerusalemme: se l’attentatore diventa la vittima, e la vittima un ‘estremista’
Incredibile ricostruzione dei fatti all’Ansa e al Corriere della Sera
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=55757
#4Emanuel Baroz
Addio bombe e mitra: la strage ora arriva con l’auto sulla folla
di Fiamma Nirenstein
Sono le armi più vili e pericolose quelle della vita quotidiana. Le immagini del video dell’attentato di mercoledì a Gerusalemme minacciano tutti: una piccola folla scende dal tram, fra loro una coppia con una carrozzina dove Chaia Zisser vive i suoi ultimi momenti di creatura di tre mesi. La mamma si liscia la gonna, il padre spinge la carrozzina, anche loro sono quasi ragazzi. E, un attimo dopo, sui viaggiatori piomba un’auto bianca. Si avventa a tutta velocità sulla pensilina affollata, uccide Chaia, ferisce 7 persone. Niente rende un attacco più letale della sua domesticità, e che cosa può essere più usuale di un’utilitaria che si avvicina. Eli Dayan, uno dei passeggeri del tram appena sceso, racconta che, alla vista dell’auto bianca, ha afferrato il figlio e l’ha trascinato giù dalla pensilina, mentre due donne venivano travolte. «Durante la prima Intifada, dicevo ai miei figli di guardarsi dall’autobus; poi, dopo l’attacco del 4 agosto, gli ho detto di cambiare strada alla vista di una ruspa. Ci sono stati diversi attacchi col caterpillar. Quello rovesciò un autobus e un’auto uccidendo una persona e ferendone cinque. Adesso, cerco di evitare le fermate, e occhio a qualsiasi macchina che si avvicina». «Che devo fare», dice una donna alla fermata dell’attacco, a Givat ha Tachmoshet, Gerusalemme est, «devo per forza prendere questo tram per andare a lavorare ogni mattina, aspettare con gli altri… non c’è che incrociare le dita e sorvegliare ogni macchina che si avvicina. Se corre, saltare».
Non ci aveva pensato, in Canada, Patrice Vincent, il soldato ucciso lunedì scorso a Montreal con un’automobile dal neoconvertito islamista Martin Couture Rouleau, che voleva unirsi all’Isis e glorificava il martirio sul sito del gruppo islamista. Anche il terrorista di Gerusalemme è stato esaltato da Hamas e dalla Jihad islamica, che hanno salutato con ammirazione il «martire» Abdel Rahman al Shaludi che, come Vincent, ci ha rimesso la vita. «L’attacco a Gerusalemme è un atto di eroismo», ha detto Mushir al Masri, un importante portavoce di Hamas. Un incoraggiamento a compiere altri attacchi con tutti i mezzi a disposizione. Frase che suona sinistramente analoga a quella diffusa nei giorni scorsi dall’Isis per suggerire ai suoi adepti in Occidente: «Se non riuscite a trovare una bomba o un proiettile… usate la vostra auto e investiteli». E Rouleau ha eseguito alla lettera, puntando l’auto contro due soldati investendoli e causando la morte di uno di loro. Eppure la polizia canadese l’aveva messo sotto sorveglianza da cinque mesi e gli aveva ritirato il passaporto. Ma non è bastato: tutti possono avere un’auto e la futura moda del terrorismo sembra essere accelerare e trasformarla in un’arma letale. Quindi da oggi Londra, Roma o Parigi potrebbero essere come Gerusalemme, che in questi giorni è un campo di battaglia: città in cui ogni passante può essere un obiettivo, ogni automobilista può essere un attentatore. Ed è qui che la nostra mentalità ci impedisce di capire il punto di vista del terrorismo: gli infedeli, per motivi svariati, sia che partecipino alla coalizione che attacca l’Isis in Irak e in Siria, sia che parteggino per gli israeliani su una terra che essi ritengono proprietà dell’ummah islamica, sono nemici dell’unica soluzione auspicabile, l’islamizzazione complessiva. La scelta degli strumenti quotidiani è la nuova strategia che permette di passare dal deserto alle nostre citta. E adesso fra le armi alla portata di tutti quella che si profila più pericolosa è l’uso di malattie infettive. Uno «shahid» che porta una malattia mortale è una bomba atomica.
(Fonte: Il Giornale, 24 Ottobre 2014)