Terrorismo nel Nord-Est, perquisite le case di 5 presunti jihadisti
Indagine della procura padovana contro cinque individui. Ipotesi di reato: associazione con fini di terrorismo internazionale e arruolamento. Si cerca di svelare la rete di contatti che ha portato alla radicalizzazione degli indagati
di Giuliano Foschini e Fabio Tonacci
Padova, 30 Ottobre 2014 – Terroristi. E reclutatori. Con la testa in Italia ma con il cuore in Siria, accanto ai combattenti dell’Isis. E’ questa l’accusa che viene mossa dai carabinieri del Ros di Padova hanno bussato alle porte dei cinque indagati principali (quattro bosniaci e un macedone) dell’inchiesta sulla presunta nuova cellula terrorista del Nord Est.
Sono state perquisite le case dei due fondamentalisti di Belluno partiti per la Siria e finiti a combattere nelle file dell’Isis: l’imbianchino bosniaco Ismar Mesinovic (morto a gennaio nei pressi di Aleppo) e Munifer Karameleski, il 26enne macedone residente a Chies D’Alpago e amico di Mesinovic (entrambi frequentatori del centro islamico Assalam di Ponte nelle Alpi). Di Karameleski si sono perse le tracce. Secondo alcuni blog stranieri sarebbe morto anche lui durante uno scontro con le milizie di Bashar al-Assad, a marzo. Ma della notizia non si è mai avuta la conferma ufficiale, dunque gli investigatori italiani ritengono che possa essere ancora vivo e non escludono un suo ritorno in Italia da reduce.
Ma non ci sono solo loro, nell’indagine avviata a gennaio dal pm Valter Ignazitto e che li vede accusati a vario titolo in base all’articolo 270 bis e quater del codice penale per associazione con fini di terrorismo anche internazionale e arruolamento. Tra i perquisiti figurano P.P., un giovane bosniaco che vive a Longarone, e altri due soggetti di religione islamica che di recente si sono radicalizzati: O.A. e V.A., entrambi residenti nel piccolo comune friulano di Azzano Decimo e assidui frequentatori del Centro di preghiera di Pordenone, dove nel 2013 potrebbero aver conosciuto Bilal Bosnic, l’imam errante salafita che si muoveva tra la Bosnia, l’Austria e il Nord Italia, arrestato nel settembre scorso e tuttora detenuto a Sarajevo.
Anche Karameleski e Mesinovic, almeno in un’occasione, sono andati a pregare a Pordenone nello stesso centro culturale, prima di mollare tutto e partire per la Jihad. Mesinovic si è portato dietro anche il figlioletto di tre anni, che secondo alcune fonti straniere sarebbe stato affidato a una famiglia bosniaca in Siria, mentre la moglie cubana di Ismar è rimasta in Italia.
In particolare V.A. è ritenuto dagli inquirenti soggetto particolarmente interessante: operaio, sulla trentina, sposato con una donna slava. Ad Azzano Decimo non passa inosservato: look da predicatore islamico e parole da convinto sostenitore dell’Is. Nelle cinque abitazioni perquisite sono stati sequestrati 5 pc e varie chiavette usb e altro materiale hardware. Nei prossimi giorni saranno analizzati dai tecnici forensi della procura. Era attraverso i portatili e attraverso software quali Skype e Viber che i cinque comunicavano tra loro e con soggetti all’estero. Anche se al momento non sono state individuate conversazioni particolarmente “pericolose” o indicative di un imminente “passaggio all’azione”.
Quello che gli inquirenti stanno cercando di capire è la rete di contatti che ha consentito ai due di Belluno di arrivare in Siria, passando via terra dalla Turchia. E quale sia stato il ruolo dell’imam salafita Bosnic nel percorso di radicalizzazione dei quattro uomini.
Nella foto in alto: l’imam Bilal Bosnic, reclutatore per l’Isis in Europa