L’ambasciatrice di Abu Mazen che in Italia esalta i terroristi
La Mogherini mette il riconoscimento dello Stato palestinese in cima alla sua agenda Peccato che la rappresentante Anp a Roma consideri «martiri» gli assassini politici.
di Fausto Carioti
Stavolta forse ci siamo: la Palestina come Stato sovrano dotato di pieno riconoscimento. Al momento non è cosi: la Palestina non è membro dell’Onu, dove deve accontentarsi dello status di osservatore permanente presso l’Assemblea. Sul suo definitivo upgrade pesa il veto di Stati Uniti e Israele. Nei prossimi giorni l’Autorità nazionale palestinese presenterà una proposta al Consiglio di sicurezza per ottenere il completo riconoscimento. Quanto all’Italia, non ha effettuato scambi ufficiali di ambasciatori con la Palestina. Il nostro Paese ha comunque una propria rappresentanza consolare a Gerusalemme Est e ospita una missione diplomatica palestinese (di cui ci siamo già occupati in passato), guidata dalla signora Mai Al Kaila, riconosciuta ufficialmente come «ambasciatore straordinario e plenipotenziario».
Federica Mogherini, ex funzionaria del PD, quindi ministro degli Esteri e da qualche giorno responsabile della politica estera europea, appena entrata in carica ha messo il riconoscimento della Palestina in cima alla propria agenda. «Sono profondamente convinta che la migliore garanzia perla sicurezza di Israele sia la nascita di uno Stato palestinese», ha spiegato. Nessun riflesso pavloviano di una esponente di sinistra verso la questione palestinese, insomma, ma sana realpolitik condotta anche nell’interesse di Israele.
Sarebbe una posizione apprezzabile, se non fosse contraddetta dalle frequenti prese di posizione di un personaggio che la Mogherini dovrebbe conoscere bene: la stessa Mai Al Kaila, che non perde occasione per manifestare la propria vicinanza ai terroristi responsabili di azioni contro Israele e i civili israeliani.
Classe 1955, legata al partito Al Fatah, prima di venire in Italia la signora Al Kaila ha servito come ambasciatore in Cile. Nata a Gerusalemme, ha studiato medicina. Per 17 anni ha lavorato per la Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi e i cui dipendenti spesso sono stati scoperti essere complici o affiliati di Hamas e altre organizzazioni terroristiche. Nel 1986 è stata prigioniera nelle carceri israeliane. Ha ricevuto il gradimento di Giorgio Napolitano come ambasciatore in Italia nell’agosto del 2013. Le uscite di Mai Al Kaila forse sfuggono all’attenzione della Mogherini e degli altri responsabili della diplomazia italiana ed europea perché rilasciate non su canali ufficiali, ma su Facebook e in arabo, dunque ad «uso interno», o quasi, dei suoi referenti palestinesi. Una traduzione dall’arabo di alcuni dei suoi post più recenti può quindi essere utile.
Il 4 luglio scorso la signora Al Kaila dedica il suo messaggio a Moataz Washaha, 22 anni, membro del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, organizzazione terroristica (riconosciuta come tale anche dalla UE) di matrice marxista. Washaha era stato ucciso dall’esercito israeliano il 27 febbraio, nella città di Birzeit in Cisgiordania. Era accusato di avere pianificato e condotto numerosi raid terroristici. L’uomo aveva rifiutato di arrendersi ai soldati: barricatosi in casa, aveva iniziato a sparare con un fucile d’assalto. Al Kaila si reca in visita alla casa del terrorista e scrive sul social network: «Migliaia di ringraziamenti al martire Moataz, rimarrà immortale nei nostri ricordi».
Il 20 agosto la benedizione via Facebook dell’ambasciatrice ricade su un membro delle brigate Abdul Qader Husseini, braccio armato di Al Fatah. Costui faceva parte della unità che Ianciava missili sugli israeliani. Al Kaila chiede per lui la misericordia di Allah e l’accesso al paradiso islamico. Il 5 novembre Al Kaila annuncia via Facebook un evento organizzato dalla sua ambasciata per richiamare la solidarietà degli italiani su Ahmad Sa’dat e Marwan Barghouti, prigionieri nelle carceri israeliane. Previsto anche un seminario per spiegare «la lotta coraggiosa dei nostri prigionieri». In realtà Sa’dat, segretario del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, è in carcere perché ritenuto responsabile dell’omicidio del ministro israeliano del Turismo Rehavam Zeevi nel 2001, oltre che di diversi civili. Era stato arrestato nel 2002 dall’Autorità nazionale palestinese e prelevato con la forza dall’esercito israeliano nel 2006. Quanto a Barghouti, leader dell’Intifada, in carcere dal 2002, è stato condannato a cinque ergastoli per altrettanti omicidi.
Il 6 novembre oggetto degli elogi di Al Kaila è il terrorista Moataz Hijazi, 32 anni, ucciso pochi giorni prima dall’esercito israeliano dopo che costui aveva tentato di assassinare il rabbino ed attivista Yehuda Joshua Glick. «Pietà per il mille volte martire Moataz Hijazi e per Abu Ammar, signore dei martiri», scrive su Facebook l’ambasciatore palestinese, che con ogni probabilità quando parla di «Abu Ammar» intende riferirsi ad Arafat. Difficile capire come il riconoscimento di uno Stato i cui rappresentanti considerano «martiri» i responsabili di atti terroristici contro i civili possa portare sicurezza a Israele.
(Fonte: Libero, 16 Novembre 2014)
Nella foto in alto: Mai Al Kaila, la cosiddetta “ambasciatrice” della Palestina in Italia
#1Micol
Ma è’ vero che la sede della rappresentanza diplomatica palestinese a Roma e’ stata data in comodato d’Uso gratuito?!?!?!