La Sharia in Belgio: così mettono radici le cellule jihadiste europee
di Roberto Bongiorni
Pochi chilometri a nord di Bruxelles c’è una piccola cittadina da cui sono partiti davvero in tanti. Quasi che i quartieri degradati della sua periferia si fossero trasformati in una fucina di aspiranti jihadisti. C’è chi dice 30 – e sono i più prudenti – , chi 45, citando dati semi ufficiali, e chi parla di almeno 50-60 giovani musulmani reclutati, indottrinati e spediti a combattere tra le file dei gruppi estremisti islamici in Siria e in Iraq.
Vilvoorde si è così guadagnata la fama di essere la città con il più alto numero di jihadisti per abitante in un Paese – il Belgio – che a sua volta detiene il primato in Europa: 400 aspiranti combattenti su 11 milioni di abitanti. Da anni si parla delle Fiandre come un terreno estremamente fertile per i gruppi radicali impegnati nel reclutamento. Ma fino allo scorso agosto, quando il flusso si è ingrandito finendo soprattutto nello Stato islamico, non si pensava che le cifre potessero assumere simili proporzioni. Né che la vicina Anversa, la città più grande delle Fiandre, fosse una delle basi delle cellule jihadiste europee.
In questo centro portuale nasce Sharia4Belgium, l’organizzazione estremista che segna la svolta. Creato nel febbraio del 2010 come costola dell’organizzazione britannica Sharia4UK, il movimento si distingue subito per il suo attivismo e il suo dinamismo sui social media. Il leader indiscusso è Fouad Belkacem, (nome di battaglia Abu Imran). Il carismatico religioso ha un curriculum di tutto rispetto: 32 anni e già condannato tre volte. Comprende subito che Sharia4 può far presa facilmente sui giovani musulmani emarginati.
E si distingue per la ferocia delle sue invettive – Lui , che incitava a condannare a morte gli omosessuali in prigione, e che ribadiva di aver pregato più volte per Osama Bin Laden, non esitava a diffondere l’obiettivo del gruppo: imporre la Sharia nel Belgio. Personaggio accorto, Belkacem sapeva che il reclutamento dei giovani più vulnerabili non doveva avvenire nelle moschee e nei centri islamici, sempre più sorvegliati dalle forze dell’ordine, ma con un discreto invito – il dawah – fatto per conoscenze a degli incontri privati.
Il reclutamento seguiva così un percorso molto rigoroso: uno studio quasi ossessivo del Corano, interpretato tuttavia nella maniera più radicale, la lettura strumentale di altri testi islamici, e infine un primo , basilare addestramento per divenire Syrièstrijder, guerrieri della Siria.
Secondo le ricerche di giornalisti specializzati i primi reclutamenti avvenivano soprattutto tra le fasce di giovani disoccupati, spesso dediti alla droga, con alle spalle precedenti per microcriminalità. Ragazzi frutto della quarta generazione dell’immigrazione, spesso con passaporto belga, che non parlavano una parola di arabo e che non la impareranno mai. Nemmeno sul fronte, dove il battaglione di jihadisti belgi si è distinto per l’uso esclusivo della lingua fiamminga.
(Fonte: Il Sole 24 Ore, 17 Gennaio 2015)