Sydney (Australia): teatro rifiuta spettacolo sulla Shoah di gruppo ebraico per colpa della “Palestina occupata”!
Sydney (Australia), 23 Marzo 2015 – Il Red Rattler Theatre di Marrickville, a Sydney ha respinto una richiesta di prenotazione proveniente da una organizzazione ebraica culturale locale, la Hillel, che aveva in programma una serie di spettacoli sulla Shoah, adducendo come motivazione il fatto che il teatro non ospita gruppi di supporto di “colonizzazione e occupazione della Palestina“.
L’inquietante risposta è giunta a Shailee Mendelvich, responsabile dell’organizzazione dello spettacolo con una e-mail che recitava testualmente: “La nostra politica non appoggia il colonialismo / sionismo. Per questo motivo non ospitiamo gruppi che supportano la colonizzazione e l’occupazione della Palestina“. La serie di spettacoli consistevano in una serie di narrazione sull’ultima generazione ad avere avuto contatto diretto con i sopravvissuti della Shoah, ed avrebbe cinvolto sia giovani studenti che adulti.
Come è normale e prevedibile questa risposta ha generato le forti proteste delle comunità ebraiche australiane, che hanno giustamente denunciato l’accaduto dichiarandosi sotto shock per la decisione dei responsabili del teatro.
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Nella foto in alto: l’insegna del Red Rattler Theatre di Marrickville, a Sydney
#1Daniel
Antisemitismo (di sinistra) pure nell’Australia Felix
Che cosa accomuna il mite autunno soleggiato di Sydney all’autunno spaventoso di una Berlino d’anteguerra? Un manipolo di ratti. Rossi
di Mario Rimini
La fine di marzo, a queste latitudini, dal punto di vista dell’alternarsi delle stagioni equivale alla fine di Settembre nel vecchio continente. Era proprio la fine di un Settembre lontano – il 29 del mese – quando nella Germania di Goebbels il silenzio delle foglie caduche fu sovrastato dal rumore sinistro di un ennesimo proclama antisemita: l’esclusione degli ebrei da tutti gli eventi culturali e di spettacolo, compreso il teatro. Le voci degli ebrei non dovevano più risuonare su un palcoscenico e dalla pellicola di un film, esprimersi nelle colonne di un giornale o parlare dalle pagine di un libro. Come le betulle autunnali, l’albero dell’ebraismo teutonico si ritrovo’ d’improvviso spoglio e nudo. Il primo atto verso l’abbattimento.
Un’organizzazione ebraica australiana, Hillel, aveva in progetto nel 2015 di mettere in scena una serie di rappresentazioni legate alla memoria dell’Olocausto. Per questo si rivolse a un piccolo teatro del territorio municipale di Marrickville, sobborgo occidentale nel centro della metropoli del Sud, chiedendo di affittarlo per l’occasione. La risposta, recapitata per posta elettronica, lascerebbe esterrefatti. Se non si trattasse del copione di un dramma già andato in scena altrove.
“The Red Rattler” – il teatro il cui nome associa in un gioco di parole lo scricchiolio di vecchie locomotive all’immagine volutamente sciatta e radical chic del ratto – così ha argomentato il rifiuto di concedere lo spazio all’associazione ebraica: “La nostra politica non appoggia il colonialismo / sionismo. Per questo motivo non ospitiamo gruppi che supportano la colonizzazione e l’occupazione della Palestina”.
Non è il primo segno di un antisemitismo di sinistra che striscia arrogante tra i sobborghi perbene d’Australia. Avevano iniziato, qualche anno fa, dove si inizio’ allora anche a Berlino: dal boicottaggio economico. Anche stavolta, e non per caso, attore protagonista era stato il municipio di Marrickville. I suoi consiglieri – tutti appartenenti al partito dei Verdi – proposero una crociata miserabile che avrebbe fatto impallidire i grigi contabili di Eichma: la redazione di una minuziosa lista di ogni azienda che avesse rapporti con Israele, e il successivo boicottaggio, con l’interruzione e la cancellazione di ogni contratto e cooperazione economica.
L’episodio del teatro non fa che confermare una teoria ormai ineccepibile: non solo che esiste un antisemitismo di sinistra, ma che esso si annida non tra le classi subalterne e i gironi dell’esclusione e della rabbia popolare, bensì tra i cappuccini di soia e le esistenze confortevoli all’essenza di Ylang Ylang della borghesia illuminata d’Occidente.
E’ tutto li’, in quella email di rifiuto, l’alpha e l’omega dell’antisemitismo di sinistra. C’è l’odio ideologico contro un gruppo colpevole solo di rappresentare la cultura ebraica. C’è il pregiudizio che lega ogni ebreo al sionismo (Hillel è invece un’associazione apolitica); c’è, in nero su bianco, l’equazione antisemita del sionismo come crimine; c’è la teoria ma c’è anche l’azione, il boicottaggio – l’arma “perbene” per ridurre le vittime al silenzio, all’emarginazione, per spegnerne la voce e negarne l’immagine e l’espressione.
Il tutto in nome di una cultura di sinistra rivendicata da quell’aggettivo – Red, Rosso. Lo conferma esplicitamente la stessa compagnia teatrale, che spiega il proprio nome sottolineando che “il colore rosso ha un legame di lunga data con la politica di sinistra, la rivoluzione e l’anarchismo”.
Gli adepti di questo nuovo dogma antisemita, che sostituendo i semiti con i sionisti crede di poter scrollarsi di dosso e dalla coscienza il peso sconveniente del pregiudizio e dello sterminio, non li troverete a marciare al passo dell’oca lungo vie austere immerse nel freddo pungente delle brughiere del Brandeburgo d’antan. Non vestono camice nere, e avrebbero difficoltà nel distinguere una svastica da un tatuaggio tribale. E’ probabile invece che li incontriate al mercato biologico della domenica, tra una bancarella vegana e la giovane dai capelli rasta che vende candele agli olii essenziali. Li vedrete sudati e sorridenti di ritorno da una sessione di bikram yoga, infilarsi nella pace surreale di una SPA ayurvedica per il massaggio abyhanga settimanale. Come in un villaggio dell’utopia felice, tutto è vicino, buono, naturale. Una vita etica a emissioni zero, tra il naturopata e la dieta paleo.
Li trovate oggi, gli antisemiti di sinistra, in tanti quartieri riscopertisi trendy – come appunto Marrickville – tra palazzetti art deco ed eleganti edifici vittoriani che l’oblio, la decadenza e la marginalità di ieri hanno preservato dall’amalgama mediocre del capitalismo edilizio.
Marrickville, d’altronde, appare così lontana dalla Berlino del 1933. I suoi alberi sono carichi di verde anche nel cuore dell’inverno. Gli eucaliptus che regnano in questa fetta di mondo conservano le foglie tutto l’anno, sicchécon l’eccezione di qualche boulevard dei più sofisticati quartieri orientali, piantati ad alberi europei da coloni nostalgici, in una giornata di sole autunnale vi sarebbe perdonato di credervi, in giro per Sydney, immersi in una tiepida estate boreale.
Marrickville chic invece non è mai stata. Sobborgo dell’Inner West, il ventricolo occidentale alternativo e sinistroide nel cuore della metropoli australiana, Il quartiere fu per gran parte della propria storia una tipica propaggine semi industriale e periferica, come gran parte dei villaggi inglobati nella più grande metropoli d’Australia che soltanto negli ultimi due decenni hanno scoperto di avere fascino e carattere.
Nelle successive ondate migratorie interne che hanno caratterizzato e stravolto la demografia di Sydney nel nuovo millennio, una folta popolazione di studenti senza mezzi, artisti senza mecenati, minoranze sessuali e in generale di reietti della vertiginosa ascesa del costo delle abitazioni si è riversata sempre più a Ovest, occupando quartieri sino ad allora senza lustro. Trovata una parte, vi è’ così fiorita anche l’arte.
Accanto ai mutamenti demografici, la medesima storia marginale ha regalato a queste aree una fortuna che oggi paga: la relativa assenza di speculazione edilizia, che altrove ha sventrato quartieri e demolito gioielli architettonici in una devastazione che talora ricorda il destino delle città europee del dopoguerra, ha risparmiato quasi interamente diversi rioni dell’ovest cittadino. Il risultato è la grazia vintage che oggi si respira in posti come Newtown, abbellita dalle facciate color pastello della più lunga strada vittoriana d’Australia, palcoscenico ideale per una miriade di ristoranti, caffè, negozi d’ogni sorta – soprattutto però biologici, equo-solidali e alternativi per antonomasia. Marrickville non è molto dissimile. E’ accaduto che gli studenti squattrinati di ieri nel frattempo abbiano iniziato a guadagnare bene, e le classi subalterne di due decenni fa siano diventate a pieno titolo benestanti classi medie. Salvo credersi ancora hippies ed eterni bohémiens.
Questi progressisti nostrani non sembrano tuttavia scalfiti dalle inquietanti similitudini con gli eventi che sconvolsero l’Europa d’anteguerra.
Se Il boicottaggio economico contro Israele del municipio di Marrickville è fallito, non è per un ravvedimento tardivo. A conti fatti dai minuziosi amministratore delle finanze pubbliche, venne fuori che sarebbe costato ai contribuenti almeno 4 milioni di dollari. Il sindaco annuncio’ dunque che non avrebbe appoggiato in toto la risoluzione presentata dai suoi consiglieri per colpire l’economia dello stato ebraico. Rimase però la volontà di fondo di appoggiare un boicottaggio che non avesse un impatto negativo sulle tasche dei cittadini. Cioè antisemiti si, ma gratis.
Quanto al Red Rattlers, vedremo se i suoi avventori avranno qualcosa da ridire, o se continueranno ad affollarne la sala senza lasciarsi turbare dal pensiero che il loro teatro, che ieri era proibito ai cani, da oggi lo è anche agli ebrei.
http://www.ilfoglio.it/esteri/2015/03/23/antisemitismo-di-sinistra-pure-in-australia-felix___1-v-126934-rubriche_c132.htm