Un po’ troppa fretta, Santa Sede
Il Vaticano dovrebbe aspettare a riconoscere lo “Stato di Palestina”.
E’ dal 2012 che il Vaticano, Papa Ratzinger regnante, nei suoi documenti ufficiali parla di “Stato di Palestina”. Dunque la decisione di ieri della Santa Sede di nominare questo stato in un documento bilaterale è l’esito di un percorso iniziato addirittura nel 2000 da Giovanni Paolo II. Il trattato è comunque il primo documento in cui il Vaticano parla di “Stato di Palestina” e non più di “Organizzazione per la Liberazione della Palestina” (Olp): si tratta, di fatto, di un riconoscimento ufficiale.
Una svolta simbolica di un certo peso, proprio mentre i palestinesi sono impegnati in una campagna internazionale per il riconoscimento del loro stato senza passare dai negoziati con Israele, anzi disconoscendone le ragioni, e da ultimo, l’esistenza. E questo è il problema. Quando il Vaticano riconobbe Israele, agli inizi degli anni Novanta, lo fece all’interno della cornice degli accordi di Oslo: Israele riconosce l’Olp e la chiesa cattolica in cambio apre allo stato ebraico. Un baratto cinico, ma comprensibile nella cornice di politica estera realista da sempre seguita dal Vaticano, che pure deve tenere conto della fragile condizione degli arabi cristiani.
Oggi la situazione è ben diversa: i palestinesi stanno internazionalizzando il conflitto con Israele, mentre il mondo arabo islamico è percorso da un odio ipnotizzante verso “i sionisti” e vaste masse di cristiani sono cacciati dalle terre islamiche, palestinesi comprese. Oggi il Vaticano poteva permettersi di prendere tempo, adducendo numerose ragioni, prima fra tutte l’esposizione globale di Israele alla tagliola della umma islamica.
Per sessant’anni, dopo che lo stato ebraico ottenne l’indipendenza nel 1948, il Vaticano ha adottato una politica diplomatica che non prescindesse dal raccordo anche con i nemici di Israele: non riconoscimento totale della statualità ebraica. Va detto che nel lungo contenzioso ha pesato la questione, estremamente sensibile per entrambi, dello status dei Luoghi santi. Nonostante l’accettazione da parte di tutte le nazioni occidentali, compreso all’inizio il blocco comunista, il riconoscimento reciproco tra Israele e Vaticano è avvenuto solo nel 1993. La chiesa cattolica ieri ha avuto un po’ troppa fretta nel riconoscere questo fantomatico “Stato di Palestina”. Si tratta di qualcosa in più di un semplice errore politico.
(Fonte: Il Foglio, 13 Maggio 2015)
Nella foto in alto: Papa Francesco ed Abu Mazen
#1Emanuel Baroz
Intesa globale Vaticano-Palestina Israele esprime la sua delusione
La Santa Sede rilancia la soluzione «due popoli, due Paesi». «Cristiani tutelati»
di Gian Guido Vecchi
Quelle tre parole nero su bianco, «Stato di Palestina», hanno fatto presto il giro del mondo. L’«accordo globale» annunciato ieri dalla Santa Sede con lo «Stato di Palestina» – e che rilancia la soluzione «due popoli, due Stati» – sarà firmato «nel prossimo futuro» e avrà conseguenze politiche e pratiche notevoli, mentre il governo israeliano si dice «deluso».
In Vaticano si parla di «continuità»: il riconoscimento dello «status» palestinese c’era fin da quando, il 29 novembre 2012, l’Assemblea generale dell’Onu approvò la risoluzione che accoglieva la Palestina come «Stato osservatore non membro» e la Santa Sede, «osservatore permanente», firmò una dichiarazione a favore. Già dall’Annuario pontificio 2014, riferito al 2013, nell’elenco del corpo diplomatico la voce «Rappresentanza dell’Olp» è stata sostituita dal «rappresentante dello Stato di Palestina». La stessa dicitura compariva l’anno scorso nel programma ufficiale del viaggio in Terra Santa di Francesco e si ripeteva quando il Papa accolse l’8 giugno in Vaticano Abu Mazen e Shimon Peres.
Ma certo l’«accordo globale» è il primo firmato dalla Santa Sede con lo «Stato di Palestina». I rapporti ufficiali nel ‘94 e l’«accordo base» del 15 febbraio 2000 furono sottoscritti con l’Olp. Nel preambolo «si esprime l’auspicio per una soluzione della questione palestinese e del conflitto tra israeliani e palestinesi nell’ambito della soluzione dei due Stati e delle risoluzioni della comunità internazionale, rinviando a un’intesa tra le parti», spiega monsignor Antoine Camilleri, numero tre della Segreteria di Stato che guida la delegazione vaticana. Seppure «in forma indiretta», dice Camilleri all’ Osservatore Romano , si auspica possa «aiutare i palestinesi nel vedere stabilito e riconosciuto uno Stato della Palestina indipendente, sovrano e democratico che viva in pace e sicurezza con Israele e i suoi vicini», e «incoraggiare la comunità internazionale a intraprendere un’azione più incisiva».
Almeno per ora, comunque, resta il «rappresentante» palestinese e il nunzio vaticano in Israele continuerà ad essere anche «delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina». L’accordo riguarda l’attività e il riconoscimento della Chiesa nei Territori, fa notare Camilleri: «La sua libertà di azione, il personale e la giurisdizione, lo statuto personale, i luoghi di culto, l’attività sociale e caritativa, le questioni fiscali e di proprietà». Si spera sia un modello dove i cristiani sono minoranza: «Il fatto che si riconoscano la personalità della Chiesa e la libertà religiosa e di coscienza può essere seguito da altri Paesi, anche a maggioranza musulmana». Del resto procede anche l’intesa con Israele, «l’accordo economico è quasi pronto». Dopodomani il Papa riceverà Abu Mazen, che domenica assisterà in San Pietro alla canonizzazione delle prime due sante palestinesi. Come i predecessori, Francesco aveva invocato a Betlemme la soluzione dei due Stati: «Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento».
http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_14/intesa-globale-vaticano-palestina-israele-esprime-sua-delusione-efb66102-f9f7-11e4-8080-f59274262d65.shtml