Lo status quo tranquillamente sostenibile e quello insopportabile
Nella proposta di risoluzione Onu avanzata dalla Francia riecheggia l’eterna illusione di placare il mondo arabo-islamico voltando le spalle a Israele
di Emmanuel Navon
La visita in Israele di Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha lo scopo di rilanciare il coinvolgimento dell’Unione Europea nel cosiddetto “processo di pace in Medio Oriente”. “Lo status quo non è un’opzione”, ha dichiarato la signora Mogherini alla vigilia della visita. Tra i membri dell’Unione Europea, la Francia sta attivamente promuovendo una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza sul conflitto israelo-palestinese.
Il testo francese definirebbe l’ex linea armistiziale tra Israele e Giordania, rimasta in vigore nei soli diciannove anni fra il 1949 e il 1967, come il confine internazionale tra Israele e lo stato palestinese; designerebbe Gerusalemme come capitale sia di Israele che dello stato palestinese; e richiederebbe “una soluzione equa” al problema dei profughi palestinesi. In pratica tale risoluzione, se approvata, sposerebbe completamente la posizione palestinese escludendo quella israeliana, e rappresenterebbe un grave allontanamento dalla risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza (quella citata nel preambolo di tutti gli accordi tra israeliani e palestinesi, così come dei trattati di pace con Egitto e Giordania).
L’ex linea armistiziale fra Israele e Giordania non è mai stata, né era destinata a diventare, un confine internazionale. La risoluzione 242 non esige il ritiro di Israele su quella linea di armistizio in cambio della pace, bensì un ritiro “da territori” conquistati che sia tale da garantire a Israele e ai suoi vicini “confini sicuri e riconosciuti”. La linea armistiziale del ’49 (la cosiddetta “linea verde”) non può assolutamente essere considerata un confine sicuro dal momento che imponeva a Israele una “vita stretta” di meno di 15 km fra la Giordania e il mare, circondava Gerusalemme su tre lati e sovrastava l’area di Tel Aviv dalle alture di Samaria. Quanto a Gerusalemme, la risoluzione 242 non la menziona nemmeno.
La risoluzione 242 richiede “una giusta soluzione del problema dei profughi”, e in questo il testo proposto dalla Francia sembrerebbe solo ridondante. Non è così. La proposta francese apporta due modifiche sostanziali per quanto riguarda la questione dei profughi. In primo luogo, si riferisce soltanto ai “profughi palestinesi”, laddove la risoluzione 242 parlando di “profughi” intende sia i circa 600.000 profughi arabo-palestinesi da Israele, sia i circa 900.000 profughi ebrei dai paesi arabi. Come spiegò dopo l’adozione della 242 l’ambasciatore americano all’Onu nel 1967, il giudice Arthur Goldberg, la risoluzione “si riferisce sia ai profughi arabi che ebrei, giacché un numero circa eguale di ciascuna parte abbandonò le rispettive case a causa di vari eventi bellici”.
Non basta. Col termine “profughi” la 242 intende i veri profughi arabi ed ebrei delle guerre arabo-israeliane, non i loro discendenti. I palestinesi, invece, sostengono che lo status di profugo si applica a tutti i discendenti dei profughi (arabi) del 1948. Benché non esista alcun fondamento giuridico e nessun precedente storico per una simile pretesa, essa è entrata a far parte della “neo-lingua” odierna, adottata a quanto pare anche dai diplomatici francesi. Pertanto, secondo palestinesi e francesi bisogna trovare una “soluzione equa” non per i profughi ebrei e nemmeno per i reali profughi palestinesi, bensì per i discendenti dei profughi palestinesi (che secondo l’UNRWA ammontano a circa cinque milioni). La risoluzione francese non chiede ai palestinesi di abbandonare questa assurda pretesa, che è stata il principale motivo del fallimento del “processo di pace” negli ultimi vent’anni.
“Lo status quo non è un’opzione”
Quando, nel 2008, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas spiegò all’allora segretario di stato Usa Condoleezza Rice perché non aveva accettato l’offerta di pace del primo ministro israeliano Ehud Olmert, disse che non poteva abbandonare il “diritto al ritorno” (lo riferisce la stessa Rice nelle sue memorie No Higher Honor). Dunque la risoluzione francese non chiede nulla alla parte palestinese, lasciando aperta la questione “diritto al ritorno” sebbene questa fantasia sia stata il pretesto utilizzato sia Yasser Arafat (nel 2000) che da Abu Mazen (nel 2008) per non firmare concretissimi accordi di pace con Israele.
In un incontro che ho avuto questa settimana con una delegazione di parlamentari francesi, ho chiesto loro se avevano da proporre una soluzione per il conflitto a Cipro. La risposta è stata un chiaro “no”. Ho anche chiesto loro se non fossero “stanchi” della quarantennale occupazione turca di una parte di Cipro (che uno stato membro dell’Unione Europea). La loro risposta è stata di nuovo “no”. Così, quando ho chiesto loro come immaginano il futuro di Cipro, mi hanno spiegato che l’attuale status quo è l’unica opzione possibile. Quando ho cercato di capire perché si lavavano le mani del conflitto cipriota pur essendo così ossessionati da quello israelo-palestinese, la loro risposta è stata non meno sorprendente: “Perché il conflitto di Cipro non produce instabilità”.
Ora, il Medio Oriente è la regione più instabile del mondo, con la gente che si massacra a vicenda, con paesi che implodono e generano terrorismo, con l’Iran e lo “Stato Islamico” (ISIS) che vanno a riempire i vuoti. Eppure i francesi non riescono a pensare a nulla di più urgente che istituire uno stato fallimentare nel bel mezzo dell’unico paese stabile e di successo di questa enorme zona di guerra.
Finché la Francia e l’Unione Europea non faranno esplicitamente cadere il cosiddetto “diritto al ritorno” dalle loro iniziative diplomatiche, lo status quo israelo-palestinese non solo continuerà, ma sarà anche l’unica opzione realistica, proprio come a Cipro.
(Fonte: i24news, 20 Maggio 2015)