Israele, il vero volto del boicottaggio
Ipocrisie. Il movimento Bds, creato nel 2005, sostiene di ispirarsi alla ricerca di giustizia, democrazia e diritti dell’uomo, e di riprendere i metodi di Mandela. Ma i suoi istigatori vogliono solo discriminare, delegittimare e demonizzare lo Stato ebraico.
di Bernard-Henri Lévy
In poco tempo abbiamo avuto: l’annuncio del presidente-direttore generale di Orange di voler rompere con un partner industriale troppo legato a Israele; le velleità palestinesi di far escludere dalla Fifa la federazione di calcio israeliana; il dibattito sull’etichettatura di certi prodotti che si è riaperto in Europa più che mai; l’Unione degli studenti britannici che vota una risoluzione di sostegno all’idea del boicottaggio. Senza parlare di artisti che, come Brian Eno, Elvis Costello o Vanessa Paradis, si chiedono se sia il caso di esibirsi nella «Palestina occupata».
Nessuno di questi eventi ha, in sé, grande importanza. Ma insieme creano un clima, e forse un’opportunità. Quella di ricordare a chi voglia farne parte cosa sia il famoso movimento Bds (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) creato nel 2005 dalle Organizzazioni non governative (Ong) palestinesi, e che è all’origine, più o meno direttamente, di tutte queste iniziative.
È un movimento della società civile mondiale, dicono, animato dalla questione del diritto, della democrazia, dei diritti dell’uomo. E sia. Ma perché prendersela, allora, con l’unico Paese della regione che come fondamenta si è dato tali valori e continua, bene o male e malgrado quasi 70 anni di guerra, ad essere loro fedele? E come mai, limitandoci ai soli Paesi vicini, i puntigliosi umanisti del movimento non hanno mai proferito parola sui 200.000 morti di Bashar Assad, sui crimini dell’Isis, sulla deportazione di massa dei cristiani della pianura di Ninive? E potrei continuare.
È un movimento anti-apartheid, si precisa, che riprende metodi e spirito di Nelson Mandela. Ma perché, di nuovo, proprio Israele che — con i suoi cittadini venuti da ogni angolo del mondo, la sua società multietnica dove si mescolano europei, russi, americani, etiopi, turchi, curdi e iraniani, la sua minoranza araba di cui 13 deputati siedono alla Knesset — non è certo quello che possiamo definire uno Stato di apartheid? E perché non il Qatar, dove il 95% della manodopera è costituito da lavoratori asiatici schiavizzati, che vivono sotto il regime della kafala, simile all’apartheid?
E’ forse un modo di far pressione su Israele per indurlo a una pace, anche a costo di qualche accomodamento con Doha? Ammettiamolo. Sorvoliamo sulla strana maniera di fare la pace facendo pressione solo su uno dei belligeranti. Dimentichiamo il metodo che, invece di rafforzare chi fra gli israeliani è favorevole ai negoziati, consiste in una punizione collettiva che mette il Paese al bando delle nazioni. II problema è che esiste una sola formula seria per giungere alla pace; che tale formula, ratificata dagli accordi di Oslo, è quella dei due Stati. Basta leggere le dichiarazioni di Omar Barghuti, Ali Abunimah e degli altri ispiratori del movimento per constatare che la soluzione dei due Stati è proprio quella che non vogliono, preferendole una one state-solution (sotto bandiera palestinese). Si obietterà forse che si tratta di un dettaglio e che occorre andare oltre, poiché comunque Bds è interessato solo ai territori, agli insediamenti che vi si costruiscono, alle merci che vi si producono. Ma è un altro tranello. Infatti, basta leggere la dichiarazione del 9 luglio 2005, costitutiva del movimento, per vedere come uno dei tre obiettivi sia di «proteggere» il «diritto dei profughi palestinesi a tomare nelle loro case e nelle loro proprietà, come stipulato nella Risoluzione 194»: il che, di fatto e di diritto, equivarrebbe a cacciare gli ebrei e a installare su questa terra un Paese arabo supplementare che, possiamo scommetterlo, non tarderebbe a subire una pulizia etnica che lo renderebbe, anch’esso, Judenfrei.
E come non ricordare infine, a chi ha la memoria corta quanto le idee, che la volontà di boicottare Israele non è nuova, avendo più o meno la stessa età dello Stato ebraico, essendo nata il 2 dicembre 1945 da una decisione della Lega araba che presto avrebbe rifiutato, su tale base, la doppia Risoluzione dell’Onu che istituiva i due Stati? E che gli ispiratori di questa idea brillante furono, fra gli altri, quei criminali di guerra nazisti venuti a riciclarsi in Siria o Egitto e a dare ai loro nuovi padroni lezioni di «marchiatura» di negozi e imprese ebraiche? Un paragone non è una prova. E il senso di uno slogan non è tutto nella sua genealogia. Ma le parole hanno una storia. I dibattiti anche. Ed è meglio conoscere questa storia se si vuole evitare di ripetere gli stessi pessimi scenari.
No. La verità è che questo movimento è solo una sinistra caricatura delle lotte antitotalitarie della fine del secolo scorso. È una campagna i cui istigatori hanno come unico scopo di discriminare, delegittimare, demonizzare un Israele che decisamente continua a portare la sua stella gialla.
Ai militanti di buona volontà che fossero stati ingannati da una presentazione menzognera dell’impresa, desidero soltanto dire che ci sono troppe cause nobili in giacenza per lasciarsi imbarcare in questa lotta ambigua: la lotta contro i tagliatori di teste jihadisti, la difesa delle donne schiave di Boko Haram, il salvataggio dei cristiani d’Oriente e dei democratici del mondo arabo. E anche, naturalmente, la giusta pace fra israeliani e palestinesi.
(Fonte: Corriere della Sera, 20 Giugno 2015, traduzione di Daniela Maggioni)
#1Emanuel Baroz
Video: “Chi vuole davvero la pace deve condannare il movimento BDS contro Israele”
Il grande giurista americano Alan Dershowitz svela le menzogne e i secondi fini della campagna per il boicottaggio d’Israele
di Alan Dershowitz
Spiegata in modo semplice e chiaro, in un video di poco più di 5 minuti, l’ipocrisia del movimento BDS che non mira affatto a difendere i diritti umani e a creare uno stato palestinese in Cisgiordania e Gaza, ma soltanto a calunniare e strangolare Israele.
https://www.youtube.com/watch?v=hNOjflKNrjo
#2Emanuel Baroz
Gli attivisti BDS odiano Israele molto più di quanto non amino i diritti umani
Un’ipocrisia morale così spudorata che dovrebbe suscitare inquietudine in qualunque osservatore onesto e imparziale
di Emmanuel Navon
Un breve video recentemente caricato su YouTube dal cine-produttore americano Ami Horowitz dice tutto sul movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) contro Israele. Con una telecamera nascosta e presentandosi come un rappresentante di commercio, Horowitz ha incontrato tre negozianti irlandesi che dichiarano apertamente di boicottare i prodotti israeliani. Al primo negoziante, Horowitz ha detto che rappresentava un’azienda sudanese; al secondo, che lavorava per una azienda iraniana; al terzo, che vendeva i prodotti di un’azienda nordcoreana. Tutti e tre i negozianti hanno risposto negativamente quando Horowitz ha chiesto loro se avevano qualche problema politico a vendere prodotti di questi paesi (al primo negoziante Horowitz ha sottolineato che la sua azienda era “priva di erbicidi, priva di pesticidi, priva di ebrei”). Horowitz ha poi spiegato ai negozianti che la sua azienda preferisce non fare affari con negozi che vendono prodotti israeliani. “Oh, non lo facciamo, abbiamo una politica molto filo-palestinese”, ha risposto il primo. Il secondo ha mostrato con orgoglio sulla porta d’ingresso il cartello “Boicotta Israele-Apartheid”. Il terzo ha spiegato: “Abbiamo un embargo, non facciamo affari con Israele”. Con tutta evidenza quei negozianti non si preoccupano minimamente dei diritti umani e del diritto internazionale. Esattamente come gli attivisti della campagna BDS.
https://www.youtube.com/watch?v=YynbsN3X4qQ
Uno dei motori della campagna BDS è Omar Barghouti, co-fondatore del movimento nel 2005. Nato in Qatar e cresciuto in Egitto, Barghouti si è successivamente trasferito nell’Autorità Palestinese e si è iscritto all’Università di Tel-Aviv dove ha conseguito un master in filosofia e dove attualmente sta perseguendo un dottorato di ricerca. Barghouti diffama e boicotta attivamente sia il paese che l’università dove sta ottenendo il dottorato grazie alla libertà accademica che vi è garantita.
Lo scopo del boicottaggio che Barghouti predica nei suoi viaggi in giro per il mondo non è quello di arrivare alla soluzione a due stati. Come Barghouti ha ribadito anche questa settimana in un’intervista a +972 Magazine, il suo scopo è realizzare il cosiddetto “diritto al ritorno” che garantirebbe la cittadinanza israeliana ai discendenti, veri e presunti, dei profughi arabi della guerra del 1948 (cinque milioni di persone, stando ai dati dell’UNRWA). Dunque il “diritto al ritorno” trasformerebbe l’Israele pre-‘67 in uno stato a maggioranza araba (mentre la Cisgiordania, al contrario, diventerebbe judenrein, priva di ebrei). Ciò che Barghouti spaccia come “un dovere morale” è, di fatto, la fine di Israele.
Ha scritto la scorsa settimana Mudar Zahran, un attivista politico giordano-palestinese, sul quotidiano Israel HaYom: “Ho personalmente contattato diversi noti gruppi BDS chiedendo loro di boicottare tanti paesi arabi per come trattano il mio popolo, e non c’è stata una sola volta che abbia riscontrato un briciolo di interesse”. Zahran sottolinea che in Libano i palestinesi sono banditi da 72 professioni, in Siria vengono letteralmente ammazzati per fame sia dal regime di Assad che dai ribelli islamisti, in Giordania sono banditi dalla maggior parte dei posti nel pubblico impiego. Milioni di palestinesi in Siria e Libano non hanno un solo rappresentante in parlamento. In Giordania i palestinesi costituiscono l’80% della popolazione, ma hanno solo il 10% dei parlamentari. “Ciò dimostra – conclude Zahran – che la mentalità BDS è imperniata su demonizzare Israele, e non sul prendersi cura dei palestinesi”.
Barghouti dipinge Israele come un sadico e malvagio oppressore di vittime innocenti. Se fosse vero, non si potrebbe rimproverare a quei negozianti irlandesi d’essersi rifiutati di vendere i prodotti di un tale mostro. Ma nell’era di internet e dei voli low-cost queste persone non hanno scuse: possono controllare di persona. E se hanno veramente a cuore la difesa dei diritti umani e del diritto internazionale, devono spiegare come mai non sono nemmeno sfiorati dall’idea di boicottare chi davvero fa scempio dei diritti umani. La lista purtroppo è lunga, ma almeno due paesi hanno fatto notizia di recente: il Sudan e Myanmar.
Questa settimana, il presidente sudanese Omar al-Bashir è scappato dal Sud Africa sfuggendo a un mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale che lo ha incriminato per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra nel Darfur. Eppure non c’è un movimento BDS contro al-Bashir o contro il Sudan.
L’altro esempio recente è il Myanmar, che pratica una delle forme peggiori al mondo di apartheid contro la minoranza Rohingya: un milione di musulmani cui viene negata la cittadinanza, il diritto di voto e l’accesso alle scuole pubbliche. Nel 2012 sono stati vittime di attacchi da pulizia etnica. Fuggendo segregazione, abusi e violenze, cercano di raggiungere le vicine Malesia e Indonesia, finendo spesso col morire in mare: senza campagne su internet, senza flottiglie di solidarietà, senza mobilitazioni internazionali ecc. L’Economist ha dedicato questa settimana uno speciale reportage ai Rohingya, nel quale si sostiene che l’imposizione di sanzioni economiche contro il Myanmar sarebbe “un’arma troppo spuntata”. Quindi, niente BDS anche lì. Per parafrasare Golda Meir, gli attivisti BDS odiano Israele molto più di quanto non amino i diritti umani.
(Fonte: i24news, 17 Giugno 2015)
http://www.israele.net/gli-attivisti-bds-odiano-israele-molto-piu-di-quanto-non-amino-i-diritti-umani
#3Emanuel Baroz
Se il Bds (e il mondo) boicottano Israele
di Fiamma Nirenstein
No, non è esagerato Benjamin Netanyahu quando dichiara che l’attacco del Bds a Israele è simile a quello dei nazisti agli ebrei subito prima di Hitler. È così, anche se non hanno gli stivali o la divisa i protagionisti del «boicottaggio e disinvestimento» antisraeliano. Ci sono fra loro gli studenti e i professori di Londra che votano democraticamente per chiudere ogni contatto con le università israeliane; c’è la ditta di telefonia Orange dichiara che «se potesse lascerebbe Israele domani» (poi si è dovuta scusare); c’è la Fifa che all’ultimo momento si è tirata indietro ma che su richiesta del terrorista Jibril Rajoub, capo dello sport palestinese, stava per escludere Israele da tutti i campi di calcio; ci sono 16 ministri degli esteri con una lettera alla Mogherini per chiederle che i prodotti del West Bank siano etichettati così da mettergli una specie di stella gialla; c’è l’Onu il cui «Comitato per le Ong» ha appena conferito il distintivo dell’organizzazione al «PalestinianReturn Center» che èin pratica la rappresentanza di Hamas, mentre ha escluso Zaka, volontari santi che raccolgono i resti degli uccisi negli attentati; sempre l’Onu che ha evitato solo di striscio, dopo pressanti richieste, di mettere Israele con Boko Haram e l’Isis, fra i soggetti che uccidono i bambini; e Ban Ki Mun che negando il diritto di Israele a difendersi lo biasima per l’intervento a Gaza; ci sono attori e musicisti che escludono Israele dai teatri, irresponsabili gruppi di scienziati che non vogliono contatti con le ricerche d’Israele che ci possono salvare dal cancro e dall’alzheimer; o di ricercatori di high tec che sanno benissimo che senza Israele non saremmo arrivati ai livelli d’oggi eppure la respingono. Nei campus universitari americani ed europei ogni minuto si svolge una settimana in cui si spargono le più inverosimili menzogne, accuse di apartheid, di pulizia etnica… mentre gli arabi israeliani che sono un quinto della popolazione sono i più liberi, i più integrati (anche alla Knesset), i più sicuri di tutto il mediorente… Questi santi difensori dei diritti umani non hanno mai difeso le vittime della tragedia siriana, del regime iraniano, delle mattanze libiche. Il Bds è antisemita, è un nuovo tipo di guerra molto astuto perché legalizza una vera persecuzione antisraeliana, coprendola della menzogna di essere a favore del benessere dei palestinesi, per la pace, contro l’occupazione: ma non è vero. È un attacco onnicomprensivo contro l’esistenza stessa dello Stato ebraico, che ignora il fatto che lo Stato Palestinese deve essere costruito con la trattativa perché i Territori, che erano giordani e che furono occupati nel ’67 solo perché la Giordania attaccò Israele, devono, in un accordo futuro, far parte di uno stato palestinese che però dia garanzie di sicurezza. I confini del ’67 non lo fanno. Israele ha offerto di lasciarli per la stragrande parte già varie volte, e ha ricevuto rifiuti perché i palestinesi puntano a far sparire Israele, non a vivere al suo fianco. E la trattativa, indispensabile per stabilire come i due stati possano vivere in sicurezza, diventa impossibile se il mondo con il Bds cerca di consegnare ai palestinesi una situazione confezionata dall’odio. Il Bds, inoltre, può danneggiare tutto il mondo dal punto di vista scientifico, culturale, economico, della lotta contro il terrorismo, e anche dal punto divista morale più profondo. Sta crescendo una generazione di giovani, che come a suo tempo i giovani nazisti o i giovani comunisti fanno di una menzogna la bandiera della loro identità. Intanto, bisogna bloccare i fondi che sotto la bandiera dei diritti umani finanziano a cascata il Bds. È urgente, è un grande compito. Si potrebbe dire che spetta all’Europa, ma viene da ridere.
(Fonte: il Giornale, 21 Giugno 2015)
#4Parvus
Sono gli ultimi colpi di coda di una bestia mostruosa composta da rottami del nazismo, rottami del comunismo e stipendiati dagli sceicchi