Dopo la strage nel Sinai le mire del Califfato su Gaza
Lo Stato Islamico vuole regolare i conti con i nemici palestinesi colpevoli di avere rapporti con Hezbollah e i pasdaran iraniani.
di Gian Micalessin
A dieci anni esatti dal ritiro israeliano la Striscia di Gaza rischia di cadere sotto il controllo dello Stato Islamico. Sembra un azzardo, ma da mercoledì l’ipotesi è al vaglio dei comandi militari e dei servizi di sicurezza israeliani.
L’offensiva di «Ansar Bayit al Maqdes», un’ex formazione qaidista del Sinai allineatasi con lo Stato Islamico, sta cambiando tutti gli scenari. Dopo l’attacco, costato la vita ad una settantina di militari egiziani, gli israeliani sono pronti ad ogni evenienza. Anche quella di un’alleanza tra «Ansar Bayit al Maqdes» e gli adepti dello Stato Islamico per cacciare Hamas da Gaza e trasformarla in una nuova appendice del Califfato da cui colpire gli «eretici» di Hamas e lo Stato ebraico.
«Saremo la spina nel fianco di Hamas e di Israele», promette fin da ora Abu Al Ayna Al Ansari, portavoce dei «Sostenitori dello Stato Islamico», l’organizzazione radicale a cui fa capo qualche migliaio di ex qaidisti palestinesi allineatisi con il Califfato. Lo Stato Islamico sembra, insomma, deciso a regolare i conti con i rivali palestinesi colpevoli, per quel che riguarda l’ala militare, d’intrattenere rapporti con Hezbollah e con i pasdaran iraniani. Ovvero con i peggiori nemici del Califfato. Il primo segnale lo si è visto a Yarmouk, l’enorme campo profughi alla periferia di Damasco dove le fazioni filo e anti siriane di Hamas si massacrano a vicenda da tre anni. Lì, ai primi di aprile, lo Stato Islamico ha fatto piazza pulita di Hamas per conquistare il pieno controllo del campo. E così ora qualcuno s’attende uno scacco matto al cuore di Gaza. Un video intitolato «Messaggio alla nostra gente a Gerusalemme» diffuso dallo Stato Islamico di Aleppo invita «tutti i monoteisti di Gaza ad unirsi ai mujaheddin e allo Stato Islamico». A dar retta ad Abu Qataba Al Filistini (il Palestinese), il predicatore protagonista del video, la discesa di Hamas nell’eresia risale al 2009 quando i suoi militanti attaccano una moschea uccidendo una dozzina di jihadisti ultraradicali. Jihadisti legati, a quel tempo, ad Al Qaida, ma che oggi lo Stato Islamico considera i propri precursori a Gaza.
Tra questi anche Mahmoud Al Salfiti, responsabile nel 2011 dell’assassinio del cooperante italiano Vittorio Arrigoni ucciso perché colpevole di collaborare con Hamas. Uscito di galera grazie ad un permesso carcerario concesso dalle autorità di Gaza nel tentativo d’ingraziarsi i detenuti più radicali Al Salfiti è velocemente riparato prima in Sinai e poi in Siria dove combatte sotto le bandiere dell’Isis. Anche lì lo Stato Islamico non manca di scontrarsi con i propri simili. E proprio lì ha sviluppato una delle proprie caratteristiche più peculiari ovvero la capacità d’ampliarsi e rafforzarsi prima combattendo e poi inglobando i gruppi jihadisti concorrenti. La conquista di mezza Siria non è tanto il frutto delle sconfitte inflitte al regime di Bashar Assad, ma delle stragi di rivali messe a segno nelle zone controllate dai ribelli appoggiati dai sauditi o da quelli legati alla Fratellanza Musulmana. Spregiudicato quanto crudele l’Isis non manca di stringere – nelle aree dove il regime è ancora forte – alleanze tattiche con Jabat Al Nusra, il gruppo alqaidista considerato il suo principale rivale.
Una tecnica utilizzata anche in Libia e Tunisia. Lì il Califfato ha rapidamente assorbito tutte le posizioni di Ansar Al Sharia, la formazione qaidista responsabile nel 2012 dell’uccisione a Bengasi dell’ambasciatore statunitense. Un’operazione fallita soltanto a Derna. Nel caposaldo jihadista della Cirenaica dove lo Stato Islamico ha aperto la sua prima base infuriano, da due settimane, le battaglie con i militanti dei «Martiri di Abu Salim», una formazione radicale poco disposta ad accettare l’egemonia del Califfato. Il prossimo inevitabile capitolo della guerra fratricida tra formazioni qaidiste e sostenitori del Califfato sembra a questo punto l’Afghanistan. La prima mossa l’ha messa a segno il Califfo Abu Bakr Al Baghdadi che ad aprile ha liquidato il Mullah Omar come un «signore della guerra folle ed analfabeta». Un attacco verbale seguito dagli assalti nella provincia afghana di Nagahar dove i mujaheddin fedeli allo Stato Islamico hanno strappato ai talebani il controllo di sei province. Insomma la guerra tra lo Stato Islamico e i propri simili sembra appena agli inizi. Auguriamoci che si riveli lunga e sanguinosa.
(Fonte: Il Giornale, 3 Luglio 2015)
Nell’immagine in alto: la grande differenza tra Hamas e ISIS…
#1Emanuel Baroz
L’Isis insedia le sue basi anche nel deserto del Sinai
di Maurizio Molinari
Sono sempre di più le sacche di territorio controllate dagli jihadisti Gli egiziani preoccupati dallo scontro di terra ricorrono agli F16.
Lo Stato Islamico si è insediato nel Nord Sinai, gli F-16 egiziani lo bersagliano dall’alto e lo scontro minaccia di estendersi a Gaza. Vista da Kerem Shalom, l’ultimo lembo di deserto israeliano stretto fra Gaza e l’Egitto, la guerra di Abdel Fattah Al Sisi contro i jihadisti del Califfo è in pieno svolgimento. All’indomani della cruenta battaglia di terra a Sheikh Zuwaid, i protagonisti sono gli F-16 egiziani: il boato delle bombe che sganciano attorno a Rafah arriva fino al kibbutz di Nirim, a 20 km dalla frontiera. Sono tuoni costanti, ravvicinati, che danno la sensazione della guerra e fanno rintanare i bambini nelle case.
Armi avanzate
Il comando egiziano parla di almeno 23 jihadisti uccisi nei raid delle ultima giornata ma ciò che conta, spiega l’analista israeliano Uri Rosset esperto di jihadisti, è che «devono usare i jet perché le sacche controllate da Isis nel Nord Sinai sono molte e non possono colpirle con gli elicotteri Apache». È una delle scoperte che gli egiziani hanno fatto mercoledì: il «Welayat Sinai» (Provincia di Sinai) di Isis dispone non solo dei missili anti-tank «Kornet» ma di vettori anti-aerei, lanciati a spalla, che minacciano gli elicotteri.
L’analisi israeliana
A spiegare cosa sta avvenendo oltre frontiera è Nir Peled, vice capo della pianificazione di «Tzahal» in questo teatro di operazioni: «Isis combatte qui come in Siria, Iraq e Libia, si insedia in aree minori, le consolida e poi lancia all’improvviso offensive multiple usando attacchi suicidi e ondate di jihadisti, alcuni dei quali in divise governative». È un’analisi coincidente con quanto affermano gli ex generali egiziani Hisham El-Halaby e Talaat Moussa (già capo dell’intelligence militare) secondo cui l’intento finale di Isis «è allargare il territorio che controlla dando vita a proprie enclave». L’analisi convergente rivela la stretta cooperazione nella sicurezza fra i due Paesi.
Ma rispetto alle altre cellule dello Stato Islamico il «Welayat Sinai» vanta «il più alto rapporto fra propri militanti e vittime nemiche» osserva l’esperto militare Amos Harel su «Haaretz» riferendosi ai quasi 650 soldati e poliziotti egiziani uccisi in meno di 24 mesi da «poche centinaia di jihadisti».
L’aiuto di Hamas
A spiegare tale efficacia negli attacchi è Yoav Mordechai, generale israeliano che coordina le attività nei Territori palestinesi, secondo cui «i leader militari di Hamas a Gaza aiutano Isis nel Sinai ed hanno collaborato agli ultimi attacchi» a Rafah, Al-Arish e Sheikh Zuwaid. «Durante la battaglia alcuni feriti di Isis sono stati evacuati a Gaza» afferma in particolare Mordechai. E il maggior sospetto riguarda i razzi anti-aerei usati contro gli Apache egiziani: sono simili a quelli lanciati da Hamas contro gli elicotteri israeliani durante il conflitto della scorsa estate.
Da qui l’ipotesi di raid egiziani a Gaza per colpire retrovie e arsenali di Isis. Hamas percepisce il pericolo e schiera unità scelte a ridosso di Rafah. «Hamas è spaccata – osserva Rosset, che risiede nel kibbutz di Magen – perché i leader militari a cominciare da Mohammed Deif sono sensibili ai jihadisti mentre quelli politici, tipo Ismail Haniyeh, se ne sentono minacciati». Il video con cui Isis ha detto di voler rovesciare i «tiranni di Hamas» è per Rosset «una sfida ai leader politici che negoziano in segreto la tregua con Israele e sono l’espressione palestinese dei Fratelli Musulmani, considerati da Isis degli apostati perché tendono a operare legalmente negli Stati arabi, non a distruggerli».
I due fronti
Nel Nord Sinai, Isis dunque ha due fronti aperti: contro Egitto e Israele da un lato, contro i leader politici di Hamas dall’altro. È il fronte occidentale della guerra del Califfo al-Baghdadi, dove gli odiati sciiti non ci sono. I tank israeliani schierati a Kerem Shalom, con i cannoni non verso Gaza ma il Sinai, svelano il timore per uno scenario divenuto verosimile: attacchi suicidi alla frontiera.
(Fonte: La Stampa, 3 Luglio 2015)