Chi finanzia le ONG israeliane “filopalestinesi”?
di Evelyn Gordon
È pacifico che tutti si preoccupino giustamente di stigmatizzare in questo momento l’intesa con l’Iran. Ma non si può fare a meno di rilevare come la seguente notizia abbia ricevuto scarsa attenzione: durante il conflitto della scorsa estate a Gaza, due organizzazioni israeliane “per i diritti umani” – B’Tselem and Breaking the Silence hanno chiesto e ottenuto consistenti coperture finanziarie da parte dei palestinesi per finanziare la stesura di rapporti che accusano Israele di crimini di guerra.
In circostanze normali, accettare denaro dal nemico in tempi di guerra per realizzare propaganda avversa alla propria parte, sarebbe considerato un tradimento. In questo caso, dal punto di vista strettamente legale, non lo è. Ma moralmente, non è che siamo al limite: quel limite l’abbiamo abbondantemente superato.
Questa notizia è stata riportata per primo dal sito informativo in ebraico “NRG”, curato da Gidon Dokow. Ma non è necessario prendere per buone le parole di Dokow: che ha opportunamente reso disponibile il bilancio annuale sulle fonti di finanziamento dell’organizzazione.
Questa organizzazione vanta il nome un po’ ingombrante di Human Rights and International Humanitarian Law Secretariat. Secondo il suo bilancio, è «un progetto implementato da NIRAS NATURA AB, Svezia, e dall’Institute of Law, Università di Birzeit, “Palestina”, con il generoso sostegno dei governi di Svezia, Danimarca, Olanda e Svizzera».
In altre parole, il denaro proviene dall’Europa. Ma chi decide cosa farne è la Niras Natura, che si definisce una società internazionale di consulenza nel campo dello sviluppo sostenibile, e la facoltà di Birzeit. E dal momento che la gente di Birzeit è quella effettivamente sul campo, si presume che essi abbiano l’ultima parola sulla destinazione del denaro.
Il principale compito del Segretariato sembra essere quello di incanalare denaro verso altre organizzazioni. Secondo il bilancio annuale, l’anno scorso ha lavorato a 24 “concessioni principali” e a 19 “concessioni progetto”. Nove delle prime e due delle seconde sono israeliane; il resto sono palestinesi.
Quando la guerra di Gaza scoppiò a luglio 2014, il Segretariato contattò tutti i concessionari, sollecitando l’erogazione di finanziamenti di emergenza: «il richiamo si focalizzò sulle attività connesse al monitoraggio e alla documentazione dell’IHL (legge umanitaria internazionale) e delle violazioni dei diritti umani nella Striscia di Gaza, conseguenti alla guerra appena iniziata», afferma il rapporto. Le richieste furono ricevute dalle 11 organizzazioni, incluse tre israeliane, e il Segretariato decise di finanziarne nove di esse, fra cui le israeliane B’Tselem e Breaking the Silence.
Ma il denaro era finalizzato al «monitoraggio e documentazione» delle presunte violazioni di un solo contendente: Israele. Questo è lampante dall’esame del sommario dei “conseguimenti” riportato nel bilancio: nessuno dei nove riportati cita lontanamente le violazioni palestinesi del diritto internazionale umanitario.
La sezione di Breaking the Silence è particolarmente ripugnante. Secondo quanto afferma il rapporto, il Segretariato avrebbe considerato il denaro ben speso, se BtS avesse estorto una testimonianza antiisraeliana ad ogni soldato dell’IDF:
Breaking the Silence (BtS) ha presentato una proposta unica per il finanziamento d’emergenza laddove ha cercato di raccogliere testimonianze di soldati israeliani impegnati nel conflitto. BtS fu molto cauta circa l’efficacia del proprio operato al culmine del conflitto. Sulle prime, non erano nemmeno sicuri di riuscire a persuadere i soldati. Così il Segretariato si dichiarò pronto ad accettare anche una sola testimonianza.
Naturalmente, qualora le presunte violazioni fossero state reali, chiunque avrebbe sostenuto che B’Tselem e BtS avevano fatto un ottimo lavoro. Ma ciò che è stato realizzato altro non è che una calcolata campagna diffamatoria. Ecco ad esempio una prova eclatante che emerge dal rapporto di BtS, scovata dal blog Elder of Ziyon: un soldato testimonia circa quella che appare come una ragazza che manifesta apparenti disturbi mentali che si avvicina alla sua compagna. I soldati temono che essa sia imbottita da Hamas di esplosivo, avendo in precedenza incrociato un anziano sulla settantina che ad un esame si è rivelato una santabarbara dalla testa ai piedi. Conseguentemente, sparano a terra vicino ai suoi piedi nel tentativo di dissuaderla dal procedere oltre. Un soldato testimonia che ad un certo punto, di fronte alla sua determinazione, avrebbe considerato l’ipotesi di colpirla. Ma nessuno lo ha fatto.
Il titolo della testimonianza, tuttavia, recita «Avrei davvero tanto voluto spararla alle ginocchia», il che induce il lettore superficiale a ritenere che l’esercito israeliano abbia problemi di moralità. E così BtS confeziona una storia che denuncia l’assenza di autocontrollo, che risulta doppiamente infamante, a fronte delle ripugnanti tattiche adottate da Hamas.
Come già fatto rilevare, probabilmente B’Tselem and BtS non hanno violato alcuna legge. Al di là del fatto che gli assegni sono stati probabilmente staccati dagli europei, Israele non sottoscrive la vulgata internazionale secondo cui West Bank e Gaza costituiscono un unico (futuro) stato palestinese; al contrario, distingue fra un West Bank controllato dal Fatah, e una Gaza controllata da Hamas. Birzeit è localizzata nel primo, mentre la guerra è stata combattuta nella seconda.
Tuttavia, sono i palestinesi a reclamare l’unità di West Bank e Gaza, il che implica che la facoltà di Birzeit che ha deciso di concedere questi riconoscimenti a B’Tselem e BtS si schiara nel conflitto dalla parte di Hamas. Pertanto, questi due gruppi finiscono per ottenere denaro dal nemico in tempo di guerra, allo scopo di produrre propaganda e diffamazione nei confronti dello stato a cui appartengono.
Sarà pure legale, ma moralmente, è ripugnante. E colloca definitivamente B’Tselem e BtS oltre ogni accettabile soglia.