C’è del marcio in Norvegia, dove élite e giornali chiamano Israele “assassino” e “nazista”
La rivista simbolo dei socialdemocratici è accusata di antisemitismo per alcune vignette.
di Giulio Meotti
Il Dagbladet è una vecchia gloria del giornalismo norvegese. Fondato nel 1869, il tabloid è un simbolo della Oslo socialdemocratica, pacifista e multiculturale che commina il Nobel per la Pace. Da giorni è accusato di antisemitismo. Dagbladet ha pubblicato una striscia di vignette che mostra una donna in un supermercato. “Che succede se il cibo è prodotto in maniera non etica?“. La donna tiene in mano delle arance. “Queste vengono da Israele. Se le compri sostieni degli assassini“. Poi si passa allo scaffale della pasta. “Questi maccheroni vengono dalla Corea del Nord“. Nell’ultima striscia c’é una confezione di pizza surgelata con una svastica e la scritta “Made in Nazi Germany“. Israele ha denunciato il Dagbladet, sostenendo che “incita alla violenza”.
Non è la prima volta che il quotidiano simbolo dell’intellighenzia norvegese eccede in odio per lo stato ebraico. Dagbladet ha pubblicato una vignetta in cui si vedono terroristi palestinesi, liberati in cambio di Gilad Shalit, uscire da una prigione che reca l’insegna di Buchenwald: “Jedem das Seine” (a ciascuno il suo). E’ lo stesso Dagbladet che ha pubblicato una vignetta che “avrebbe fatto urlare di gioia Hitler“, come ha denunciato il Centro Wiesenthal. Si vede un bambino in attesa di essere circonciso e in un bagno di sangue. La didascalia dice: “Maltrattamenti? No è una parte importante della nostra fede“. Quello che dovrebbe essere il padre del bambino, intanto, lo trafigge con un forcone a tre punte, mentre un altro gli taglia le dita dei piedi con delle cesoie e tiene una Torah grondante sangue. C’è del marcio in Norvegia, avrebbe detto il Marcello dell’Amleto di Shakespeare. Giorni fa una immagine è stata impressa come sfondo a una carta di credito emessa dalla Dnb Bank, il più grande istituto finanziario del paese. Si vede un ebreo con il naso adunco, la kippah in testa, lo scialle da preghiera e una cascata di monete d’oro. Un mese fa gli organizzatori di un festival del cinema a Oslo hanno rifiutato un documentario israeliano, “The other dreamers”, sui bambini disabili perché sostenitori del boicottaggio. Il fondo sovrano della Norvegia, che amministra i proventi del petrolio, ha disinvestito dalla società israeliana Elbit, colpevole di aver costruito la barriera che ha fermato gli attentatori suicidi. Il sindacato El & It, che rappresenta i lavoratori dell’industria energetica, ha adottato il boicottaggio del sindacato israeliano Histadrut.
Anche la comunità culturale e scientifica è imbevuta di odio. Ingrid Harbitz della Scuola di veterinaria di Oslo si è rifiutata di spedire un campione di sangue al Goldyne Savad Institute di Gerusalemme con questa motivazione: “Non vogliamo consegnare materiale a un’università israeliana“. Johan Galtung, il sociologo norvegese noto come “il padre degli studi per la pace”, insignito di numerosi premi, all’Università di Oslo ha affermato che esiste un legame fra il terrorista responsabile del massacro di Utoya e il Mossad, il servizio segreto israeliano. L’autore del best seller “Il mondo di Sofia”, Jostein Gaarder, in un articolo per i quotidiani norvegesi si è apertamente augurato la distruzione d’Israele: “Che Israele non abbia pace fino a che non depone le armi“. E ancora: “Date un rifugio ai profughi israeliani”, immaginando il giorno in cui di Israele non resterà traccia. Nessun antisemita dopo la Shoah si era mai avventurato su questo terreno. Comprese le vignette dei quisling socialdemocratici.
(Fonte: Il Foglio, 30 Settembre 2015)