Quando i palestinesi spararono in Sinagoga
Il 9 ottobre 1982 un commando armato provocò la morte del piccolo Gaj Taché e altri feriti.
di Dimitri Buffa
«Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Gaj Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano».
Chi non ricorda questo passaggio del discorso di insediamento dell’attuale capo dello stato Sergio Mattarella?
Fino a quel giorno, 3 febbraio 2015, e nonostante un precedente analogo invito del suo predecessore Giorgio Napolitano, la giovane vittima del terrorismo palestinese, così come l’attentato che provocò molti altri feriti quel sabato 9 ottobre 1982 alle 11 e 55 all’uscita della funzione davanti al tempio maggiore ebraico di Roma, era giudicata nei fatti «di serie B».
Perché nell’Italia dei primi anni ’80, a cavallo della famosa prima guerra del Libano condotta da Ariel Sharon, su cui poi avrebbe scritto pagine memorabili Oriana Fallaci nel suo libro «Insciallah», uccidere un ebreo, specie da parte di un terrorista palestinese, quasi non era considerato reato. L’attentato alla Sinagoga in cui perse la vita il piccolo Taché maturò all’epoca in un clima di odio internazionale fomentato dalle organizzazioni di sinistra, anche eversive, favorevoli alla causa palestinese. C’era stato il massacro di Sabra e Chatila perpetrato dai falangisti traditori di Elie Hobeika (come ha rivelato la sua guardia del corpo nel libro «From Israel to Damascus») pagati dalla Siria per fare ricadere la colpa su Sharon.
Il massacro c’era stato il 16 settembre precedente all’attentato alla Sinagoga.
E l’attentato alla Sinagoga arrivò due giorni dopo una manifestazione sindacale promossa dalla Cgil dell’epoca che finì con un macabro episodio: la deposizione di una bara vuota davanti al Tempio Maggiore. Il commento degli ebrei dell’epoca fu il seguente: «Ecco adesso quella bara vuota è stata riempita… saranno contenti…».
(Fonte: Il Tempo, 9 Ottobre 2015)
#1Emanuel Baroz
L’attentato alla sinagoga di Roma il 9 ottobre 1982
di Giulia Mammoliti
Erano le 11.55 del 9 ottobre 1982 quando un gruppo di terroristi appartenenti al Consiglio rivoluzionario di al-Fath di Abu Nidal causarono la morte di Stefano Gaj Taché, un bambino di due anni, e il ferimento di 37 persone nell’attentato alla sinagoga di Roma. Quel giorno si stava celebrando il giorno della benedizione dei bambini, lo Sheminì Azzereth. All’uscita dal Tempio i fedeli furono vittime dell’assalto dei terroristi, che bloccarono le vie di fuga di via Catalana e colpirono le persone con granate e mitragliatrici. Diversi feriti e un morto, il piccolo Stefano, il primo ebreo ucciso in Italia dal 1945, che fu colpito da un colpo di mitra. Fu così che un giorno di festa si trasformò in tragedia.
I primi a soccorrere gli ebrei furono le persone scese per strada e subito dopo arrivarono polizia e ambulanza. Immediate le indagini delle forze dell’ordine, ma immediata fu anche la reazione della comunità, che accusò politici e media di averli abbandonati (ancor più grave risultò la totale assenza di protezione delle forze dell’ordine) e di essere i “carnefici” morali dell’attentato alla sinagoga di Roma.
Da tempo, infatti, andava avanti una vera e propria campagna contro Israele e gli ebrei furono anche paragonati ai nazisti. Giorni prima, poi, Arafat, leader dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) che in quegli anni tesseva le trame del terrorismo internazionale fu ricevuto con grande entusiasmo da Pertini, da Vetere e dal Papa. Solo Pannella, Spadolini (all’epoca presidente del Consiglio), e la Bonino si rifiutarono. E proprio il capo del Governo andò a verificare la situazione e fu l’unico a non essere cacciato dagli ebrei.
Solo uno degli attentatori in seguito fu arrestato. Era il 20 novembre del 1982 quando Osama Abdel Al Zomar fu arrestato in Grecia e identificato come uno dei componenti del commando. L’uomo fu condannato e scontò la pena, ma risultò inutile la richiesta di estradizione dell’Italia e alla fine di lui si persero le tracce. Nel 2008 si parlò del Lodo Moro, l’accordo – come detto da Cossiga – che avrebbero stabilito servizi segreti e terroristi palestinesi all’epoca: l’Italia non sarebbe intervenuta nelle attività dei terroristi, ma in cambio non sarebbe stata vittima di attacchi. Esclusi da questo patto furono gli ebrei di Roma.
http://newsgo.it/2015/10/lattentato-alla-sinagoga-di-roma-il-9-ottobre-1982/