Il voto dell’Unesco conferma ancora una volta il disegno antiebraico dei palestinesi

 
Emanuel Baroz
30 ottobre 2015
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La spudoratezza dell’Unesco

di Maurizio Del Maschio

muro-occidentale-gerusalemme-unesco-focus-on-israelAlla mistificazione della storia non c’è limite. Una risoluzione di tipo politico, sfacciatamente critica nei confronti della politica israeliana riguardante Gerusalemme peraltro presentata in modo falso e pretestuoso, è stata votata il 21 ottobre scorso dall’Unesco, uno dei piccoli carrozzoni facenti parte del grande carrozzone che è l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nel testo si chiedeva che il Muro Occidentale, detto “del Pianto” dai non ebrei, venisse considerato un’appendice facente parte integrante della Spianata delle Moschee, il cosiddetto Haram as-Sherif, il Recinto Nobile. Quindi, sotto la giurisdizione del Jerusalem Muslim Council. In realtà, esso costituisce il grande basamento fatto costruire da Erode il Grande per sorreggere la vasta area del Santuario di Gerusalemme da lui ingrandito ed abbellito fra il 19 e il 64. Da quando il Tempio fu distrutto dalle legioni romane di Flavio Tito, vincitore della prima guerra giudaica nel 70, il Muro è divenuto il luogo santo più venerato dagli ebrei, l’unico reperto rimasto dell’antico Santuario.

Il testo, emendato della pretesa di sottrarre il Muro agli ebrei, è stato votato da 58 membri del Consiglio esecutivo dell’Unesco, con 26 voti a favore, 6 contrari, 25 astenuti e un assente. Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Repubblica Ceca ed Estonia sono i Paesi che hanno dato voto negativo, mentre la Francia è fra quelli che si sono astenuti.

La risoluzione “condanna fermamente le aggressioni israeliane e le misure illegali limitanti la libertà di culto e l’accesso dei musulmani al sito sacro della Moschea Al-Aqsa“. Deplora, inoltre, le “irruzioni persistenti di estremisti della destra israeliana sul sito” ed esorta Israele “a prendere le misure necessarie per impedire gli atti provocatori che violano la sua sacralità“, ovviamente islamica.

unesco-muro-occidentale-gerusalemme-focus-on-israelIl testo votato è stato emendato della richiesta palestinese di considerare il Muro Occidentale o “del Pianto” come parte integrante della Spianata delle Moschee. La pretesa, invece, faceva parte del primo testo stilato da Algeria, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Marocco e Tunisia e aveva suscitato l’opposizione di Israele e la preoccupazione della direttrice generale dell’Unesco, la bulgara Irina Georgeva Bokova. Nel testo era scritto: “la piazza al Buraq è parte integrante della Moschea Al-Aqsa“. La stessa Bokova aveva reagito deplorando l’iniziativa come rischiosa, in quanto poteva essere “percepita come una modifica allo statuto della Città Vecchia di Gerusalemme e delle sue mura” e chiedendo al Comitato di “non prendere decisioni che avrebbero alimentato le tensioni sul territorio“. Peraltro, l’Unesco ha riconosciuto come parte del patrimonio musulmano due luoghi fondamentali della storia ebraica: la Tomba di Rachele a Betlemme e quella dei Patriarchi a Hevron. Nel testo, sfacciatamente proposto dai summenzionati Stati arabi, i siti venivano etichettati come “palestinesi”. Con 44 voti favorevoli, uno contrario e 12 astensioni, il Comitato dell’Unesco ha dichiarato che l'”Haram al-Ibrahim/Grotta dei Patriarchi e la moschea Bilal bin Rabah/Tomba di Rachele” sono “parte integrante dei territori occupati palestinesi“, aggiungendo che “qualsiasi azione unilaterale delle autorità israeliane è da considerarsi una violazione del diritto internazionale“.

Una formulazione delirante, dal momento che nel primo è sepolta Rachele, la quarta delle madri del popolo ebraico, che con gli arabi non ha nulla a che fare e nel secondo sono sepolti, oltre ad Abramo padre di Ismaele considerato capostipite del popolo arabo, anche Isacco e Giacobbe, i patriarchi ebrei, oltre a Sara, Rebecca e Lea, tre delle quattro matriarche (dal momento che Rachele è sepolta a Betlemme). La mossa è stata vista da alcuni come una ritorsione alla decisione israeliana del febbraio scorso di includere la Grotta dei Patriarchi (a Hevron) e la Tomba di Rachele (fra Gerusalemme e Betlemme) in un elenco di siti del patrimonio storico nazionale destinati a ricevere finanziamenti aggiuntivi per necessari lavori di restauro e risistemazione nonché per la promozione di visite didattiche. Se la decisione di febbraio era stata spiegata dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu come un modo per “ricollegare” gli israeliani alla loro storia, la decisione dell’Unesco viene ora denunciata dallo stesso primo ministro israeliano come un assurdo tentativo di “separare il popolo d’Israele dal suo patrimonio storico“. Si è chiesto infatti: “Se non fanno parte del patrimonio ebraico i luoghi venerati da quasi quattromila anni come sepolture dei patriarchi e delle matriarche della nazione ebraica Abramo, Isacco, Giacobbe, Sara, Rebecca, Lea e Rachele, allora cosa mai ne fa parte?

Particolarmente assurda è la decisione riguardante la Tomba di Rachele. È solo da una quindicina d’anni che i palestinesi hanno “scoperto” l’importanza storica del sito dal punto di vista islamico. Fu nel giorno di Kippur dell’anno 2000, mentre veniva lanciata l’intifada delle stragi terroristiche, che il quotidiano palestinese “Al-Hayat al-Jadida” pubblicò un articolo in cui, allontanandosi spudoratamente dalla tradizione musulmana fino ad allora perfettamente coerente con quella ebraica, si sosteneva, senza alcuna prova concreta, che “la tomba è falsa, ed era originariamente una moschea musulmana” (in particolare una moschea costruita, in un imprecisato momento dopo la conquista araba, in onore di Bilal ibn Rabah, un etiope ritenuto il primo muezzin della storia islamica). Fino ad allora, tutti i riferimenti ufficiali dell’Autorità Palestinese al sito lo avevano riconosciuto, in linea con la stessa tradizione islamica, come “Qubbat Rakhil”, la Tomba di Rachele. Una tattica simile venne già usata dopo le violenze arabe anti-ebraiche del 1929, culminate nel massacro di Hevron, per trasformare il Kotel, il Muro Occidentale del Tempio di Gerusalemme, fino ad allora indicato come il Muro “El-Mubki”, del Pianto, nel “Hait al-Buraq”, vale a dire il luogo dove il profeta Maometto avrebbe legato la sua cavalcatura alata, dopo il mistico volo notturno dalla Mecca.

Indipendentemente dal fatto che si sia a favore o contro gli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria e che si sia a favore o contro la sottolineatura del carattere “ebraico” di Israele a fronte del suo carattere “democratico”, è un dato di fatto innegabile che l’area geografica nota come Cisgiordania, che comprende Hevron e Betlemme, fu la culla della storia ebraica. Tutto il “negazionismo” storico, tutte le risoluzioni dell’Unesco e tutti i tentativi palestinesi di cancellarne o negarne le tracce non potranno eliminare questo semplice dato di fatto. Né vi è alcun dubbio che Israele si è comportato molto meglio, per quanto riguarda l’equo accesso di tutte le fedi ai luoghi religiosi sotto la sua amministrazione. Infatti, mai ai cristiani, da che i loro luoghi santi sono sotto il controllo israeliano, è stato interdetto l’accesso, mentre chi vi si recava prima della Guerra dei Sei Giorni del 1967 non era sicuro di poter visitare il Santo Sepolcro. La Giordania, che ebbe il controllo su Hevron, Betlemme e Gerusalemme est dal 1949 al 1967, negò sempre agli israeliani il libero accesso ai luoghi santi (compreso il Muro Occidentale della Spianata del Santuario o “delle Moschee” di Gerusalemme), alle istituzioni culturali e al cimitero ebraico sul Monte degli Ulivi, anche se era esplicitamente previsto dall’Armistizio firmato fra i due Paesi nel 1949. Né ha fatto di meglio l’Autorità Palestinese subentrata a metà anni Novanta. Se non fosse per la presenza delle forze di sicurezza israeliane, la Tomba di Rachele, la Grotta dei Patriarchi e la Tomba di Giuseppe a Nablus in Samaria, più volte fatta oggetto di tentativi di distruzione da parte dei palestinesi, oggi sarebbero totalmente inaccessibili a tutti gli ebrei (e pure ai cristiani). Qualunque accordo territoriale verrà raggiunto in futuro con i palestinesi, sarebbe un’ingiustizia intollerabile e indifendibile se agli ebrei fosse impedito di accedere a luoghi di tale portata storica, culturale e religiosa. Il governo di Gerusalemme accusa l’Unesco di “unirsi ai piromani che cercano di appiccare il fuoco sui luoghi più sensibili dell’umanità“. Ciò dimostra inequivocabilmente che sono gli arabi palestinesi a voler sovvertire lo “status quo” e non gli israeliani. Questa strategia mira solo a impedire il legittimo rapporto dello Stato di Israele e degli ebrei con la loro terra e la loro storia.

Allora, da dove nasce tanta protervia che se ne infischia pure della storia pur di avere il sopravvento? Su questo aspetto è opportuno ritornare, dal momento che l’ignoranza sull’islam wahabita, oggi imperante, regna sovrana nell’Occidente “progredito”.

(Fonte: Online News, 28 Ottobre 2015)

Nelle due foto in alto: ebrei in preghiera al Muro Occidentale nel 1890 e una ricostruzione grafica del Santuario di Gerusalemme

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